Il salario minimo sociale sarà il cavallo di troia per il sindacato e per il conflitto nei luoghi di lavoro? Forse esageriamo ma la proposta, tanto cara al Grillismo, avrà effetti negativi sulla contrattazione.
Non che gli imprenditori siano felici perché da sempre rivendicano massima flessibilità delle mansioni, degli orari e vorrebbero il salario come variabile dipendente dai profitti, dagli utili aziendali. In questi anni le pretese dei padroni sono state fin troppo assecondate dal sindacato rappresentativo, è bene ricordare che il problema non sta nel contratto nazionale da contrapporre a quello di secondo livello perché entrambi sono figli di una contrattazione che non favorisce gli interessi dei lavoratori. I contratti nazionali rinviano sovente alla contrattazione aziendale che prevede innumerevoli deroghe rispetto ai contratti nazionale su materie rilevanti che, disciplinate dal contratto nazionale, possono essere facilmente aggirate e vanificate con l'assenso sindacale, proprio dei sindacati che rivendicano la centralità del contratto nazionale (Ccnl).
Questo meccanismo truffaldino ha distrutto il potere di acquisto e di contrattazione riducendo ai minimi termini l'agibilità e il potere delle Rsu. Chi oggi parla di minaccia al contratto nazionale dovrebbe prima fare autocritica perché quell'idea di contratto uguale per tutti è stata distrutta negli ultimi 20 anni a colpa di accordi al massimo ribasso.
Sono numerose le proposte di reddito minimo presenti in Parlamento ma ai più sfugge che tutto è iniziato nel 2014 quando il Governo Renzi approvava il Jobs Act e l'idea del reddito minimo mette d'accordo tutti: dal Pd a Fratelli d’Italia, dal Movimento 5 stelle a Liberi e uguali e in buona parte anche la stessa Lega i cui distinguo sono semmai le obiezioni padronali.
La proposta del Pd prevede un compenso minimo compreso fra i 9 e i 10 euro netti all’ora; il Movimento 5 stelle propone 9 euro lordi, ancora meno prevedono Leu e Fratelli d’Italia che non celano la loro idea di nuove “gabbie salariali” collegate ai livelli di produttività e di occupazione varianti da regione a regione e potrebbero andare d'amore e d'accordo con quella autonomia differenziata tanto cara alla Lega o con un salario diversificato, magari deciso nella contrattazione di secondo livello, di cui si va parlando in questi giorni su alcune riviste liberal come Lavoce.info.
Tra le poche voci critiche troviamo un giornale cattolico come l'Avvenire o i settori del sindacalismo di base e di classe (ma non tutto, l’USB infatti è a favore del salario minimo versione pentastellata), qualche esponente, in ordine sparso, della minoranza Cgil.
La retribuzione oraria minima esiste in 22 dei 28 paesi Ue e viene disciplinata per legge, l'Italia non rientra tra queste nazioni. In Germania la retribuzione minima è arrivata meno di 4 anni fa, fissata inizialmente a 8,84 per arrivare ai 9,19 odierni.
Non si tratta allora di stabilire una cifra in astratto ma di capire a quanto dovrebbe ammontare un salario minimo mensile. In Italia i redditi sono tra più bassi, ci sono professioni decisamente sottopagate rispetto ai loro colleghi europei, esistono troppi part-time la stragrande maggioranza dei quali non è volontaria ma imposta dai datori di lavoro. Stabilire un salario minimo prevede delle merci di scambio che sappiamo, vista l'arrendevolezza sindacale italiana, potrebbero essere un vero boomerang per i lavoratori e le lavoratrici.
Il salario minimo serve per combattere il lavoro nero? E in tal caso per combattere il nero cosa intende fare il Governo quando lesina fondi per assumere ispettori nelle Asl e nelle direzioni territoriali del lavoro, figure indispensabili per effettuare controlli e sopralluoghi?
I 9 euro netti sarebbero superiori o identici alle retribuzioni minime previste da alcuni contratti nazionali, sta qui la paura dei sindacati complici, quella di essere delegittimati da una legge che dimostrerebbe la inutilità della contrattazione in tanti settori. La paura di Cgil, Cisl e Uil è di trovarsi datori di lavoro e associazioni datoriali disinteressate a concludere accordi quando possono applicare una legge che in molti casi sarebbe per loro più onerosa di certi contratti di primo e secondo livello sottoscritti. La paura di Cgil, Cisl e Uil è rivolta alla conservazione del monopolio della rappresentanza che detengono e difendono con le unghie e i denti, disposti a tutto per escludere i sindacati di base e le Rsu dai tavoli di trattativa.
Noi dobbiamo avere paura?
L'art 36 della Costituzione è tra i più disattesi. La retribuzione equa per una vita dignitosa non esiste in tanti settori, dall'agricoltura al facchinaggio senza dimenticare le cooperative sociali. L'applicazione di un salario minimo poi cancellerebbe anche istituti contrattuali che portano altri soldi nelle buste paga dei lavoratori. Dunque, se la merce di scambio del salario minimo è la distruzione del contratto nazionale la nostra risposta è una sola: NO.
Ma allo stesso tempo non possiamo difendere l'indifendibile, ossia l'attuale modello di contrattazione, il sistema delle deroghe e il secondo livello di contrattazione a uso e consumo dei padroni, lo scambio tra salario e benefit con la benedizione della sanità e della previdenza integrative cogestite con i sindacati.
Il salario minimo non va respinto in toto o per pregiudizio ideologico. Va compreso e analizzato il contesto in cui nasce e per le conseguenze che avrà sul sistema di contrattazione, quel sistema che oggi viene difeso da Cgil, Cisl e Uil ma non dal sindacato di base che da anni ha criticato la perdita di democrazia, di salario e del potere contrattuale.
Forse bisognerebbe arricchire la discussione con alcune proposte, vediamone solo una per sviluppare dibattito e confronto nello stagnante mondo sindacale.
A uguale lavoro uguale salario, basta con la differenziazione dei contratti tra lavoratori che operano fianco a fianco nel pubblico, nel privato e negli appalti. La nostra proposta è contratto unico, ovviamente quello più favorevole. Prendiamo ad esempio un cantiere dell'igiene ambientale dove possono coesistere 4 contratti diversi: il Fise (per i dipendenti delle imprese e società private esercenti servizi ambientali), quello dell'igiene ambientale pubblica, il multiservizi e il Ccnl cooperative sociali. Le differenze possono essere anche di 400-500 euro al mese per svolgere lo stesso lavoro con differenti datori di lavoro. Proviamo a lanciare una campagna unitaria per corrispondere uguale salario e contratto a chi svolge lo stesso lavoro?
Al contrario, la Cgil criticando il salario minimo si sottrae a questa rivendicazione egualitarista e lo fa con un meschino giro di parole quali “a minimi legali inter-categoriali e inter-professionali, sarebbe più utile e opportuno varare una legge che conferisca efficacia erga omnes solo a quei contratti stipulati dalle organizzazioni in grado di attestare una certificata rappresentatività sociale”.
In qualunque modo si legga la posizione della Cgil si capisce che per la principale organizzazione sindacale italiana la priorità non è la tutela dei lavoratori ma il monopolio della rappresentanza in nome della quale hanno sottoscritto anni di accordi indecorosi, disponibili a ogni genere di compromesso (come il patto per la fabbrica da cui nasce il sindacato unico) per tutelare Caf, patronati, enti bilaterali, previdenza e sanità integrativa. La discussione sul salario minimo allora va riportata sui giusti binari a partire dalla critica dell'attuale modello di contrattazione da cui scaturisce la debolezza della classe lavoratrice.