Presentando alla facoltà di economia il “rapporto sullo Stato sociale 2017”, il prof. R. F. Pizzuti ha usato toni forti, descrivendo – come aveva già fatto L. Summers, ex segretario del Tesoro negli Usa – nei termini di stagnazione secolare l’attuale crisi strutturale del modo di produzione capitalistico. L’accumulazione capitalistica non accenna a ripartire – nonostante le alchimie monetariste delle Banche centrali che continuano a drogare il mercato inondandolo di liquidità – a causa del drastico calo degli investimenti e del conseguente “eccesso di risparmio” causati dalla perdurante crisi di sovrapproduzione. Nonostante i tentativi del capitale di rilanciare il processo di accumulazione scaricando gli effetti sociali negativi della crisi sulle classi subalterne, a partire dal radicale aumento della precarietà, la produttività resta bassa. Anche perché la lotta di classe condotta in modo preponderante dall’alto – grazie alla crescita con la crisi della pressione sugli occupati dell’esercito industriale di riserva – gli imprenditori non sono spinti a innovare il processo produttivo, sviluppando ulteriormente il capitale costante, ma puntano a rilanciare l’accumulazione comprimendo i salari, aumentando i ritmi e gli orari di lavoro e rilanciando le esportazioni. Tutto ciò a ulteriore dimostrazione del fatto che il capitale tende a sostituire la forza lavoro umana con le macchine a un ritmo decisamente inferiore di quello che sarebbe possibile in un modo di produzione più razionale come quello socialista. Sono queste le principali conseguenze del dominio quasi incontrastato nell’UE delle politiche economiche ordoliberali tedesche.
Quest’ultime producono conseguenze nefaste non solo a livello economico generale, in quanto favoriscono l’ulteriore acutizzarsi della polarizzazione sociale, colpendo i paesi e le classi sociali subalterne. Particolarmente allarmante è il futuro che si prospetta per i lavoratori nel nostro paese in cui la crescente precarizzazione dell’occupazione non potrà che produrre delle pensioni decisamente al di sotto del livello di sussistenza. Se si considera che negli ultimi anni, con la drastica riduzione del salario, diversi lavoratori salariati riescono a riprodursi come tali solo grazie al supporto delle pensioni degli anziani – non ancora compresse dalle controriforme inaugurate dal governo Dini – gli scenari futuri, sic stantibus rebus, sono davvero inquietanti. Anche perché con il progressivo aumento dell’età pensionabile, che certo non contribuisce al rilancio della produttività, si è incrementata la disoccupazione giovanile, che ha prodotto un deciso aumento dell’immigrazione, del lavoro nero, della criminalità organizzata e un deciso peggioramento delle condizioni di occupazione.
La costante mistificazione prodotta dai mezzi di (dis)informazione di massa, ha fatto crescere fra i subalterni un’irrazionale terrore per la mancanza di lavoro, quando in realtà si tratta al contrario dello sviluppo di forme di lavoro sempre più precarie, sfruttate e sottopagate. Tale mistificazione ha consentito di far passare, senza suscitare una significativa opposizione sociale – per la debolezza e frammentazione dei comunisti, per la subalternità ideologica del resto della sinistra, per il prevalere di tendenze neocorporative nel sindacato – il Jobs act. Quest’ultimo ha prodotto l’eliminazione di ogni ostacolo alla diffusione di lavoro precario e sottopagato e la completa subordinazione della forza-lavoro al capitale, grazie alla cancellazione dell’articolo 18 con il conseguente aumento esponenziale dei licenziamenti disciplinari. Per cui le nuove generazioni di lavoratori dovranno lavorare sempre più a lungo, in condizioni di crescente subalternità a causa del progressivo aumento della ricattabilità, e se riusciranno a raggiungere la pensione, quest’ultima non gli garantirà nemmeno la sussistenza.
La rapida affermazione, mediante il Jobs act, dei “lavoretti”, non poteva che essere accompagnata da una altrettanto accelerata dequalificazione della scuola pubblica, necessariamente corrispondente alla dequalificazione delle condizioni di lavoro. Al punto che con la “Buona scuola” sono state drasticamente ridotte le ore di lezione, in ogni ordine di scuola superiore, progressivamente sostituite da attività lavorative, neanche a dirlo non retribuite, per abituare sin da subito i giovani a considerare “naturali” e, quindi, immodificabili le condizioni di sfruttamento che li attendono. Inoltre riducendo in modo radicale le ore di lezione e di studio, anche il sapere impartito e appreso dagli studenti non può che essere sempre meno critico e sempre più ideologico. Non a caso la stessa valutazione e la possibilità di accesso all’università e al mondo del lavoro sono sempre più legate alla capacità di indovinare l’unica risposta considerata esatta da test che necessariamente reprimono ogni forma di pensiero libero, critico e creativo.
Tali scenari prossimi venturi sono resi ancora più inquietanti dal fatto che le classi dirigenti europee, sempre più al servizio delle classi dominanti transnazionali, intendono in autunno rendere operativo il fiscal compact, facendolo definitivamente recepire dal diritto comunitario [1]. In tal modo la trappola del debito pubblico, che dovrà essere ogni anno drasticamente ridotto per non incorrere in pesantissime reazioni, consentirà di portare a termine nel nostro paese la ormai trentennale restaurazione liberista, con il definitivo attacco a quanto resta del sedicente “stato sociale” e della proprietà pubblica, per affermare la distopia liberale di uno Stato ridotto a guardiano notturno della proprietà privata.
Non a caso è in rapido aumento la repressione sociale verso ogni tentativo di reazione a questo progressivo precipitare della società capitalista in crisi in una nuova età di barbarie. Così i non molti giovani ancora consapevoli della necessità di opporsi al tentativo di rilanciare la prospettiva nazional-socialista, quale unica alternativa alla crisi del capitalismo, rischiano condanne a un numero spropositato di anni di carcere, come successo da ultimo a Pavia, mentre le rappresentanze sindacali unitarie che osano denunciare le politiche delle aziende – sempre più rivolte a massimizzare i profitti riducendo il numero degli occupati per farne aumentare le condizioni di sfruttamento – sono pesantemente sanzionate e rischiano il licenziamento, come si è visto recentemente nel caso di R. De Angelis.
D’altra parte è proprio chi si oppone a Renzi, in nome del rilancio del centro-sinistra – cui guarda con crescente interesse tutto il ceto politico di sinistra che ha di mira essenzialmente l’occupazione delle cariche istituzionali – a presentare due decreti legge, imposti alle camere con gli ennesimi voti di fiducia, che hanno nei fatti lasciato campo libero alla criminalizzazione della povertà e alla repressione di chi non si arrende all’ordine costituito. A tale scopo si è addirittura sacrificata l’eguaglianza davanti alla legge, per colpire i richiedenti protezione internazionale – aumentando il numero di coloro che per poter lavorare per vivere è costretto alla clandestinità, che massimizza lo sfruttamento anche del resto della forza-lavoro sempre più ricattata – e chi mina “il decoro urbano”, dando in mano ai sindaci, ridotti al ruolo di sceriffi, la possibilità di condannare al confino urbano il disaggio sociale e chi potrebbe mettere in discussione l’ordine costituito. In tal modo chi è costretto a ricercare cibo nei cassonetti rischia la galera, chi intende manifestare il proprio dissenso rischia di essere recluso ed espulso dal comune in cui si svolge la repressione e chi è costretto, per consentire di far sopravvivere i propri figli, a vendere merce contraffatta rischia di morire nelle retate scatenate da polizia e vigili urbani.
Nel frattempo si scatena una campagna di stampa – fomentata dai politici populisti sempre pronti a sfruttare biecamente le tragiche guerre fra poveri, che contribuiscono ad alimentare – contro le Ong ree di salvare i disperati costretti ad abbandonare i propri paesi per andare ad arricchire quelle nazioni ricche che sono spesso la causa della loro cattiva sorte. Così, nonostante vi siano stati nei primi messi dell’anno ben 1.300 immigrati affogati nel disperato tentativo di attraversare il Mediterraneo, invece di realizzare dei corridoi umanitari per i richiedenti asilo, si criminalizza chi tenta di porre un argine a questo scempio [2].
Infine, nonostante il mantra della riduzione della spesa pubblica, per onorare la trappola del debito, si continua a investire sempre più risorse nella produzione di armi, anche di distruzione di massa. Queste ultime sono funzionali a contribuire a imporre a livello internazionale delle politiche economiche sempre più irrazionali. Così, mentre il nostro territorio diviene sempre più il luogo di partenza delle aggressioni imperialiste, che stanno sconvolgendo la riva sud del Mediterraneo – facendo impennare l’immigrazione, funzionalizzata alla guerra fra poveri – le armi italiane continuano a essere vendute, aggirando la legge, a paesi dispotici e fondamentalisti come l’Arabia saudita. Questi ultimi ne approfittano per portare avanti la devastazione dello Yemen, comprese le infrastrutture e gli ospedali, condannando la popolazione civile a non aver accesso nemmeno all’acqua potabile, provocando così delle spaventose epidemie di colera.
Sono questi dunque gli effetti del ritorno in auge delle politiche liberiste, da restaurare nella loro forma originaria. Proprio per questo la sinistra radicale, se vuole tornare anche in Italia a rappresentare una reale alternativa – riconquistando consensi fra le classi subalterne – deve necessariamente liberarsi dall’egemonia che ha subito da parte del pensiero unico dominante, dopo aver rinunciato a una visione del mondo realmente autonoma e, a causa della crescente autofobia, al proprio stesso patrimonio storico, di cui è indispensabile riappropriarsi criticamente.
Note
[1] Inquietante è la subalternità della maggioranza della sinistra italiana al polo imperialista europeo, di cui il nostro paese è sempre più parte, per quanto in funzione subalterna. Così i pochi comunisti conseguenti che considerano coerentemente il proprio imperialismo il primo nemico da combattere, sono messi alla gogna dalla “sinistra mainstream” in quanto anche la destra radicale, populisticamente, denuncia – in una prospettiva reazionaria – le malefatte dell’Ue. Al contrario si consente al Pd di aprire la più importante manifestazione del 25 aprile con uno spezzone apologetico di quell’Unione europea che sta per rendere operativo il Fiscal compact.
[2] Così le Ong, esaltate dall’ideologia dominante nel momento in cui contribuiscono a rovesciare classi dirigenti non sufficientemente succubi del nuovo ordine mondiale, sono criminalizzate nel momento in cui cercano di mettere in salvo chi cerca di sfuggire ai disastri provocati proprio da questo sedicente ordine nuovo.