In alcuni articoli apparsi su vari siti, non ultimo LaVoce.info, si tende a confutare la tesi, ripresa dalla presidente del Consiglio Meloni, secondo la quale il rincaro dei costi energetici sarebbe la causa della ripresa inflazionistica. Se Meloni avesse ragione ad attribuire alla guerra la causa del rincaro delle tariffe energetiche e della crisi in corso, e non abbiamo alcun dubbio a tal riguardo ritenendo l’escalation militare devastante per le economie soprattutto europee, dovrebbe essere conseguente e adoperarsi per una soluzione pacifica in aperto contrasto con le strategie imperialiste USA che invece avalla e sostiene, come dimostra il sostegno all’Ucraina e alle scelte di militarizzazione della NATO.
Il ricorso strutturale alla guerra è necessario per gli USA e la salvaguardia del loro primato economico, politico e militare; l’UE dovrebbe invece riflettere sul suo operato a partire dall’aumento esponenziale delle spese militari.
L’inflazione è stata alimentata dal rincaro dei costi energetici, ma soprattutto dalla salvaguardia dei profitti. Dopo l’impennata iniziale dei costi, le politiche europee hanno contenuto l’impatto negativo sull’economia pagando petrolio e gas tre volte tanto, diversificando i corridoi di approvvigionamento e pagando il triplo il gas liquefatto proveniente dagli USA.
Una volta superata la crisi delle forniture, l’inflazione è scesa ma non ai livelli previsti, tanto che USA e UE sono stati costretti a più riprese ad aumentare il costo del denaro e il tasso di interesse con i costi dei mutui accresciuti, come non accadeva da circa vent’anni.
Le famiglie hanno a loro volta finanziato gli acquisti grazie ai risparmi accumulati, che invece si sono erosi progressivamente con la pandemia prima e la guerra poi.
La crisi del settore manifatturiero è ormai acclarata, e a farne le spese sono soprattutto i paesi UE economicamente più forti come Francia e Germania, dove la questione della riconversione energetica è tema assai dibattuto e tale da prefigurare scenari futuri all’insegna di processi feroci di ristrutturazione.
In Germania, scioperi di settimane tra inverno e primavera 2023 hanno portato il governo e le associazioni datoriali a concedere aumenti reali dei salari attorno a 200 euro netti al mese con l’impegno, per il 2024, di accrescere di un ulteriore 5-6% gli stipendi.
In Francia la crisi sociale derivante dall’aumento dell'età pensionabile ha acuito il conflitto sociale con una violenza poliziesca maggiore di quella scatenata dopo il Sessantotto e con manifestazioni di piazza che vedono protagonisti uomini e donne in età da lavoro e giovanissimi che poi rappresentano la stragrande maggioranza degli arrestati (sono migliaia sono nelle ultime settimane).
La debolezza degli Stati e le politiche dell’UE hanno determinato politiche comunitarie tali da trasferire i maggiori costi ai consumatori aumentando i prezzi dei beni e dei servizi. E paradossalmente, invece di investire nel welfare, nell’istruzione e nella sanità, alcuni paesi stanno diminuendo investimenti e spese destinate a questi capitoli di bilancio precarizzando al contempo il lavoro e dando vita a nuovi processi di privatizzazione e riduzione della spesa.
Le imprese e il grande capitale, per conservare inalterati i loro profitti, hanno semplicemente scaricato sulla forza-lavoro e sulla cittadinanza i costi della crisi, e la sola preoccupazione delle realtà statali è stata quella di preservare l’aumento della spesa pubblica nel rispetto dei dettami di Maastricht.
Gli extraprofitti delle imprese non hanno favorito l’aumento del potere di acquisto dei salari, tanto che a fronte – i dati sono dei sindacati europei – di profitti in crescita dell’1%, i salari sono diminuiti del 2,5%, e in alcuni paesi, come l’Italia, in misura maggiore dopo anni di stagnazione.
Lagarde ha dovuto ammettere la realtà, ossia che da anni a fronte dell’aumento dei profitti di impresa il potere di acquisto dei salari risulta in caduta libera e lo stesso welfare è ormai del tutto inadeguato ai reali fabbisogni.
La previsione di Lagarde che nell’arco di un anno e mezzo i salari torneranno a crescere recuperando i ritardi pandemici è ottimistica; questa situazione potrà valere per la Germania, ma non certo per i paesi economicamente deboli nei quali da lustri è particolarmente accentuata la perdita del potere di acquisto.
Se i vertici dell’UE attribuiscono ormai la crisi del potere di acquisto salariale all’aumento dei profitti e a politiche costruite su misura a tutela delle imprese, i sindacati dovrebbero almeno rivendicare aumenti salariali dignitosi invece di far propria la politica della moderazione salariale.
Per recuperare potere di acquisto a salari in caduta libera non servono politiche concertative e subalterne.
Lo scontro in atto nell’UE vede il centro-sinistra fautore della crescita dei tassi di interessi e settori della destra invece riluttanti nel timore che aumentando il costo del denaro siano proprio i profitti a essere minacciati. Di certo Lagarde e company non sono divenuti improvvisamente paladini delle classi lavoratrici, bensì questo atteggiamento ci fa comprendere come lo scontro in atto nel polo imperialista europeo avvenga senza esclusioni di colpi fino all’ammissione che salvaguardare gli interessi del capitale abbia in qualche misura nuociuto alle economie comunitarie.
È evidente che l’aumento del costo del denaro abbia impatti negativi sulle famiglie e sul loro risparmio, ma probabilmente sono proprio i settori capitalisti a spingere verso alcune politiche per scaricare sui salariati i maggiori costi della crisi lasciando invece i margini di accumulazione inalterati. E acuendosi la forbice salariale e sociale, incrementandosi i profitti con politiche finanziarie di sostegno acritico alle imprese, non solo i salari perderanno ulteriore potere di acquisto ma anche il nostro welfare rischia quel ridimensionamento che farebbe solo la fortuna delle privatizzazioni e delle politiche speculative o delle pensioni e della sanità integrative.
Se è arrivato il momento delle scelte per il grande capitale e gli organismi di comando dell’UE, a maggior ragione la campana suona per i salariati e le classi subalterne.