Inflazione, salari bassi, minori aiuti e trasferimenti pubblici alle famiglie e alle persone. Sarebbero questi i colpevoli secondo il rapporto dell’Istat sulla povertà in Italia nel 2023. Dalla lettura del documento scopriamo che sono 5,7 milioni le persone in povertà assoluta nel nostro Paese, un decimo della popolazione residente, e di queste ben 1,3 milioni sono minorenni. Un dato agghiacciante che smentisce la diversa narrazione del Governo Meloni fatta di crescita e sviluppo e benessere, con il Sud sempre più in difficoltà, il Nord in crescente affanno, i nuclei familiari numerosi e le famiglie di stranieri, arrivate da noi per lavorare, che rappresentano la quota maggiore dei poveri (tra gli stranieri quattro su dieci si trovano in povertà). Ma la povertà da noi non è più monopolio di senza fissa dimora, immigrati e disoccupati, perché è ormai presente anche fra chi un’occupazione ce l’ha ancora (il 16% di operai è ormai ricompreso nella categoria, mentre più sale il livello di istruzione meno si rischia di scivolare nella povertà). E poi ci sono gli anziani a cui la pensione sociale non basta più, le badanti straniere che dopo la morte dell’anziano che assistevano in attesa di ricominciare con un altro non riescono a mettere insieme il pranzo con la cena, i 40enni e i 50enni espulsi dal mercato del lavoro perché troppo anziani per affrontare il nuovo che avanza e troppo giovani per andare in pensione, i lavoratori che nell’ultimo mese hanno lavorato solo pochi giorni perché operai a Mirafiori o muratori di cantieri ormai fermi dopo l’ubriacatura del bonus casa 110%, i malati gravi, i disadattati, i giovani che hanno abbandonato troppo presto la scuola, ma che non riescono a racimolare gli euro sufficienti per un’esistenza dignitosa tra lavori saltuari, part-time e il nero assoluto. In questa situazione le file davanti alle mense dei poveri o alla Caritas si stanno facendo sempre più lunghe e affollate… Ma se vogliamo essere proprio ottimisti fino in fondo e guardare al di là dei freddi numeri statistici, l’unico elemento positivo è che, rispetto al 2022, la povertà non è aumentata, magra consolazione…
Secondo l’Istat nel 2023 vivevano in condizione di povertà in Italia poco più di 2,2 milioni di famiglie (l’8,4% delle famiglie residenti) e 5,7 milioni di persone (il 9,7% dei residenti, quasi uno su dieci), come detto valore stabile rispetto all’anno precedente. Cresce però la povertà assoluta tra i minorenni, che si attesta al 13,8%, rispetto al 13,4% del 2022, con 1,3 milioni di bambini registrati in questa fascia economico-sociale, il valore più elevato dal 2014, mentre tra i giovani di età compresa fra i 18 e i 34 anni la povertà è all’11,8%, pari a 1,1 milioni di persone, dato stabile rispetto al 2022. Invece, tra i 35-64enni la povertà assoluta riguarda il 9,4% di loro, dato che scende al 6,2% fra gli over 65 (887mila persone). Guardando ora alle aree geografiche dove si attesta la povertà assoluta, essa è più alta al Sud, con 572mila famiglie, pari al 10,2% del totale, seguito dalle Isole (287mila famiglie, il 10,2% del totale), dal Nord-Ovest (585mila famiglie, l’8,0% del totale), dal Nord-Est (413mila famiglie, il 7,9% del totale) e dal Centro (360mila famiglie, il 6,7% del totale); rispetto allo scorso anno essa è cresciuta al Nord-Ovest, al Centro e nelle Isole (nel 2022 riguardava rispettivamente il 7,2, 6,4 e 9,8% del totale delle famiglie), calata al Sud (era all’11,2% lo scorso anno), stabile nel Nord-Est. La povertà assoluta fra le famiglie con almeno un componente straniero si è attestata nel 2023 al 30,4%, mentre per le famiglie composte solamente da italiani si ferma al 6,3%; tra le famiglie di operai la quota di povertà assoluta è aumentata al 16,5% (era ferma al 14,7% del 2022); la povertà assoluta è più elevata tra le famiglie più numerose, raggiungendo addirittura il 20,1% tra quelle con cinque e più componenti e il 21,6% per le famiglie con tre o più figli minori. La povertà morde meno tra le famiglie più anziane, perché quelle più giovani hanno di solito redditi più bassi, minori risparmi accumulati o beni ereditati e quindi ridotte capacità di spesa. Quanto alle cause che hanno determinato lo scorso anno la povertà in Italia, l’inflazione la fa da padrona, nonostante l’andamento positivo del mercato del lavoro, che ha registrato lo scorso anno un segno positivo (+2,1% di occupati). La crescita dei prezzi al consumo è infatti risultata elevata (+5,9%) con effetti ovviamente più dirompenti per le famiglie meno abbienti. Le spese per consumi di queste famiglie non sono riuscite a tenere il passo dell’inflazione in aumento, subendo un calo in termini reali del potere d’acquisto. Ad essa si devono aggiungere salari bassi, minori aiuti e trasferimenti pubblici alle famiglie e alle persone. Il Governo Meloni ha infatti abolito il reddito di cittadinanza, ritenuto troppo costoso e assistenzialistico, preferendo sostenere solo i nuclei familiari con figli senza interventi strutturali e universali, riducendo così la copertura assistenziale a meno del 30% dei poveri assoluti e ricorrendo a strumenti parziali e incongrui, quali l’assegno di inclusione, il supporto alla formazione e lavoro, la Carta dedicata a te che regala una somma di 500 euro una tantum a famiglia, poco più di un caffè al giorno, il bonus Natale, il bonus bebè… Ma l’Italia non può crescere se la povertà non diminuisce. Occorrono allora proposte serie di intervento strutturale contro la povertà, riconsiderando anche le politiche di welfare, di istruzione, di lavoro, della casa, accompagnate da un cambio di passo culturale che superi la tendenza a colpevolizzare il povero e minimizzare il problema, perché la povertà ormai non va più di moda.