BREMA. Quando si discute in ambiente accademico del rapporto tra scienza medica ed economia, si parla di numeri dietro cui ci sono esseri umani: quelli delle patologie croniche che condizionano quanti ne sono colpiti e implicano anche negative incidenze sui bilanci sanitari dei Paesi più sviluppati. Là dove la sedentarietà e la dieta sconvolgono le abitudini di sempre più larghe fasce di popolazione e incide anche la genetica con l’ereditarietà di serie patologie.
Ci siamo incontrati per esaminare una vera e propria epidemia che crea allarme in molte parti del mondo, il diabete, gli alti valori di glicemia causati dagli eccessivi consumi di zuccheri, di cui si preoccupano i medici e pure gli analisti economici nonché le industrie, farmaceutiche e alimentari.
Quando si dice saccarosio si parla di comune zucchero composto da glucosio e fruttosio, un carboidrato che aiuta la concentrazione e la performance mentale, insomma rende un servizio importante al genere umano. È, allora, intuitivo capire che gli zuccheri semplici sono necessari, o almeno utili, durante l’attività fisica, sono l’energia prontamente utilizzabile dai muscoli.
L’estrazione dello zucchero dalla canna coinvolge numerose imprese della filiera agricola e manifatturiera, dunque incide sul Pil di diversi Paesi. In espansione notiamo industrie che nascono oppure si riconvertono per la produzione di cibi a elevato contenuto di Omega3 (mais, arachidi, soia, vinaccioli e verdure verdi) e di Omega6 (acidi grassi polinsaturi come oli di semi di girasole).
In Europa il consumo annuo procapite in chili di zucchero è di quasi 37, con la Svizzera dove è di quasi 50. A Cuba il consumo di zucchero è in un anno di oltre 71 chili a persona, 59 in Australia e Guatemala, 45 in Russia.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità consiglia di non eccedere l’assunzione di una quantità giornaliera di zuccheri oltre i 50-70 grammi. Dobbiamo allora ricordare che un barattolino di yogurt da 100 grammi contiene 9.5 grammi di zucchero e adesso sono già molte le industrie alimentari che producono vasetti di yogurt da 180 grammi contenenti zucchero ridotto a 0,45 grammi, un risparmio di 41 zollette all’anno.
L’8,3% della popolazione mondiale soffre di diabete, in Europa si tratta di 52 milioni di persone, d’ogni età. Il 90% di esse ha il diabete di tipo 2, mentre i rimanenti sono i casi di pazienti insulina-dipendenti, ogni giorno costretti a due e più iniezioni di insulina e a pungersi altrettante volte un dito per misurare, tramite appositi apparecchi, il valore della glicemia.
Il costo economico del diabete per la sanità si alza ogni anno, non soltanto per l’insulina su cui la ricerca di tipologia adeguata è avanzata e costante, ma anche per gli apparecchi che misurano la glicemia, pungi dito e sensori da inserire negli strumenti che ne determinano il valore.
Cresce pure il costo economico per l’industria alimentare, voluto anche dalla “Dichiarazione di Milano”, accordo firmato all’Expo del 2015. Il contenuto di zuccheri negli alimenti – come lo yogurt – è diminuito del 3%, mentre nei cereali del 5%. Dunque la filiera è costretta a rivedere le proprie strategie produttive e commerciali-distributive.
Abbiamo anche esaminato una nuova forma di diabete entrata nella letteratura medica e in quella di economia sanitaria: il diabete “gestazionale”. Interessa quasi il 15% delle donne incinte, che hanno più di 30 anni, familiarità per il diabete e condizioni di sovrappeso. Viene definito gestazionale perché capita durante la gravidanza. Nella pratica medica si descrive con i cambiamenti ormonali della donna incinta che necessitano di più insulina che non sempre il pancreas riesce a compensare. Il glucosio in eccesso nel sangue della futura mamma può raggiungere il feto su cui accade un’accumulazione di grassi e la crescita eccessiva oltre i 4 chili. Dopo il parto il 25% delle mamme in questa condizione rischia di diventare diabetica e il pericolo può interessare anche il bambino. Una diagnosi precoce del disturbo è indispensabile per contrastarlo, innanzitutto con la corretta alimentazione priva di grassi.
Qui subentra evidente il costo economico: controlli periodici, praticamente quotidiani, alimenti adatti, visite specialistiche, analisi e ricoveri nei day-hospital.
Togliere lo zucchero dagli alimenti induce anche reazioni critiche dei consumatori, perché il gusto del prodotto ne risente. Non è azzardato sottolineare che sia necessaria una seria educazione civica. Attualmente nel mondo i bambini sotto i cinque anni in sovrappeso od obesi sono 41 milioni, 10 milioni in più rispetto a 25 anni fa. E’ ovvio che non si tratta di una mera questione estetica (“grasso non è bello”), ciò che preoccupa è l’aprirsi della porta a numerose patologie che possono trascinarsi per tutta la vita, con costi sanitari notevoli.