Il 31 gennaio ci sarà un nuovo sciopero generale in Francia. Fra il 1 e il 6 febbraio la stessa cosa succederà in Gran Bretagna dove non è possibile dichiarare uno sciopero generale, a conferma che il diritto di sciopero è prossimo ad essere negato e non solo nei paesi sovranisti come l' Ungheria. In Europa ci si mobilita. In Italia scioperano solo i benzinai...
In Italia si va in pensione a 67 anni. Se continueranno ad applicare le norme che aumentano l'età previdenziale in base alle aspettative di vita, tra 10 anni arriveremo a 68 anni. In Francia stanno bloccando il paese perché si andrà in pensione a 64 anni. Secondo la proposta Macron, in discussione nel Parlamento a inizio Febbraio, saranno cancellati anche a i trattamenti previdenziali più favorevoli per alcune categorie, trattamenti che in Italia sono stati da lustri cancellati.
Sia sufficiente questo dato per arrivare ad una triste constatazione sul sindacato italiano e sulle sigle rappresentative (minoranze dissidenti incluse) alle quali preme assai più la previdenza integrativa di quella del'Inps e così facendo hanno taciuto sull'aumento dell'età pensionabile e sulla progressiva erosione del potere di acquisto.
Ora passiamo ad un altro punto, ossia alla crescita nominale dei prezzi e all'inflazione che stanno impoverendo salari e pensioni. Un sindacato degno di questo nome dovrebbe scendere in piazza per tutelare potere di acquisto e di contrattazione e non mediare al ribasso ai tavoli ministeriali.
Dalla legge di Bilancio del Governo Meloni è uscita una revisione dei meccanismi di adeguamento delle pensioni al costo della vita, senza per altro accrescere gli assegni minimi, come promesso in campagna elettorale.
Questa decisione è motivata dal contenimento dei costi per il bilancio pubblico. Da qui il rallentamento dell'indicizzazione per gli assegni medio alti. Una indicizzazione completa delle pensioni, ossia in adeguamento al reale costo della vita, sarebbe stato insostenibile per i vincoli di bilancio del settore pubblico. Qui tornano in gioco i pareggi di Bilancio e il Fiscal compact che in teoria il sindacato dovrebbe avversare ma che invece asseconda.
Il meccanismo di indicizzazione per fasce, con andamento decrescente rispetto alla crescita dell’importo del reddito complessivo da pensione, potrebbe anche essere condivisibile se i pensionati italiani non avessero già pagato a sufficienza i costi delle controriforme avvenute dagli anni novanta ai nostri giorni e se il Governo non facesse cassa sulla pelle degli ultimi eliminando il reddito di cittadinanza, a partire dal 2024, reddito che con tutti i suoi limiti resta una misura a sostegno delle classi sociali meno abbienti.
Il provvedimento del Governo colpisce quindi la classe media e quella popolare viene direttamente affossata con l'eliminazione del RdC.
La soluzione governativa di ridurre al 23 per cento l'indicizzazione delle pensioni di importo superiore a 68 mila euro annuali risulta invece accettabile ma non le altre misure che alla fine diventano penalizzanti per assegni di media entità.
Se vogliamo recuperare risorse al welfare ci sarebbe un'altra soluzione ossia aumentare la progressività dell'imposizione per far pagare più tasse a quanti percepiscono redditi elevati ma una decisione siffatta sarebbe in aperto contrasto con la politica della tassa piatta che alla fine alimenterà le disuguaglianze nella forza lavoro.
Così facendo la parziale indicizzazione delle pensioni diventa solo uno strumento per far cassa e vendere l'immagine del Governo che difende i poveri quando poi invece li affossa come dimostra la cancellazione del RdC o la dinamica salariale decisamente al ribasso per non parlare poi della dilagante precarietà contrattuale rispetto alla quale il centrodestra non muove un dito.