Domenico De Masi, sociologo del lavoro e del non lavoro, ha recentemente pubblicato un libro, edito da Rizzoli, dal titolo emblematico: Lavorare gratis, lavorare tutti. Una sorta di manifesto (lui lo chiama "testo militante") con l'obiettivo di "rompere" il mercato del lavoro italiano.
La teoria è semplice e disarmante. I disoccupati dovrebbero offrire gratuitamente il proprio lavoro attraverso una app o qualcosa di simile, in modo da costringere chi lavora a cedere loro alcune ore del proprio tempo di lavoro.
Per la cronaca, De Masi è stato il mio professore, quello con cui mi sono laureata nel 1999 in Sociologia e quello con cui per alcuni anni ho fatto l'assistente all'università di via Salaria a Roma (gratis, ovviamente!). Lo conosco bene e da lui ho imparato molto, nonostante la sua teoria dell'ozio creativo e della fine del lavoro non mi abbiano mai convinto e avessero poco o niente a che fare con i miei studi sull'organizzazione taylor-fordista del lavoro e sul sindacato. A dire il vero, molti anni prima, De Masi era stato il curatore di una interessantissima riedizione degli atti del processo a Frederick Taylor. Un testo fondamentale nella mia formazione, in cui, spietatamente, il suo stesso inventore spiegava il taylorismo per difendersi nel processo a suo carico, contro gli effetti del suo sistema di organizzazione del lavoro sui lavoratori. E considero tutt'ora irripetibile il suo bellissimo libro L'emozione e la regola, in cui, tenendo insieme arte, cultura e organizzazione del lavoro, analizza il lavoro di gruppi creativi come il Bauhaus, i ragazzi di via Panisperna, la Wiener Werkstätte, il Gruppo di Bloomsbury e molti altri.
Detto questo Lavorare gratis, lavorare tutti è tutta un'altra cosa. A De Masi piace provocare, non c'è dubbio. Ma questo suo ultimo pamphlet va oltre, perché il lavoro gratuito non è una invenzione o una probabilità. Esiste eccome! Ed è una piaga, quasi quanto la disoccupazione.
La vertenza degli scontrinisti esplosa alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma ne è l'emblema. Lavoratori e lavoratrici, impiegati tramite una associazione di falso volontariato, con turni di quattro o più ore al giorno, cinque o sei giorni a settimana, pagati da 400 a 600 euro al mese a fronte del rimborso di scontrini! Lavoratori e lavoratrici che hanno svolto per anni un servizio indispensabile, con degli orari fissi, chiedendo le ferie quando ne avevano bisogno, tanto che ora il tempo di attesa per la richiesta di un libro è passato da 30 a 60 minuti. Lavoratori e lavoratrici messi a svolgere un lavoro esecutivo, che in niente può giustificare il fatto che non venissero pagati. Né passione, né militanza, né sete di conoscenza. Niente! Come i volontari di EXPO: con la differenza che invece di lavorare in un parco giochi milanese, prestavano servizio in un luogo pubblico (quello dove non si può scioperare perché vi si svolge un servizio essenziale…talmente essenziale da non essere pagato).
Il loro caso ha fatto notizia, perché a un certo momento hanno parlato e hanno denunciato, finendo per essere licenziati da un lavoro che nemmeno avevano. Ora la loro denuncia è diventata una vertenza e, dignitosamente, dopo avere per anni accumulato scontrini, lottano per ottenere un lavoro vero. E un salario vero.
Per questo mi fa arrabbiare De Masi. Dietro la sua provocazione ci sono uomini e donne, che quotidianamente accettano loro malgrado il ricatto di lavorare gratis o a scontrini o con gli stage o con i voucher o a chiamata o in nero. E non per gioco, per noia, per vincere la depressione o per alzarsi dal letto la mattina e nemmeno per fare esperienza. Ma perché hanno bisogno di lavorare e di guadagnare, poco o niente che sia.
La vera battaglia allora è esattamente il contrario di quella che lancia De Masi: qualunque sia la tua condizione, che tu sia avvocato, infermiere, bibliotecario o qualsiasi altra cosa, non accettare mai lavoro gratuito! Perché ogni volta che accetti di lavorare gratis, diventi "esercito industriale di riserva". Non crei lavoro, ma lo distruggi e abbassi il salario di qualcun altro. Se per anni la Biblioteca Nazionale non avesse avuto persone disposte a lavorare gratis, avrebbe dovuto creare nuovi posti di lavoro per coprire quel servizio. Basta vedere che nel Ministero dei Beni Culturali c'è una carenza cronica di personale in organico e l'età media supera i 56 anni.
De Masi considera la sua come una proposta di "lotta". Sì certo, è vero. La lotta tra i poveri: disoccupati contro lavoratori costretti alla fine a cedere parte delle loro ore per redistribuire il lavoro. De Masi cita Keynes e la sua proposta (già del 1930) di ridurre l'orario di lavoro per lavorare tutti! Giustissimo! Soltanto che l'economista inglese lo proponeva a parità di salario, non a parità di sfruttamento. Redistribuire il lavoro, sì, ma non quello gratuito e mal pagato. Lavorare meno ma con meno diritti: proprio una bella idea, professore! E nemmeno tanto originale, stavolta: da anni, la propone il mercato.
Si crea molto più lavoro pretendendo diritti che assecondando ricatti. Smettere di accettare di lavorare gratis, quindi, e imporre che ogni servizio venga semplicemente pagato, come tutti gli altri. Peraltro, come si può pensare che si crei lavoro, rubandoselo gli uni contro gli altri! I lavoratori dovrebbero al limite essere solidali tra loro, non competitivi. Non lavorare gratis per strappare ore di lavoro a chi già lavora, ma rifiutare il lavoro gratis e lottare per pretendere salario e diritti. La lotta di classe professor De Masi non si fa tra lavoratori ma contro i padroni (sì, sono passati tanti anni, ma non mi hai mai convinto: la classe operaia esiste, eccome! Ed esistono i padroni, anche se oggi è più provocatorio questo che la fine del lavoro).
Caro professore, negli anni mi ha insegnato tanto e gliene sono riconoscente. Ma stavolta la lezione la prenda lei dai lavoratori e dalle lavoratrici della Biblioteca nazionale.