Stefano Garroni, un comunista, un militante, ma anche uno studioso e fine intellettuale. Un uomo d'altri tempi se così possiamo dire per indicare la sua inadeguatezza al nostro tempo. Consapevole della sempre più grave situazione della società attuale e del mondo del lavoro in particolare. Ma altresì convinto della possibilità di uscirne recuperando una teoria "forte" dialettico-marxista capace di rinnovare le aspettative e le speranze dei lavoratori.
di Ermanno Semprebene
Circa 25 anni fa ho incontrato Stefano Garroni, che era docente di filosofia e ricercatore presso il CNR. Il mio incontro con lui fu una strana coincidenza. Avevo cominciato a frequentare il Circolo culturale "Valerio Verbano" a San Lorenzo (Roma). Non sono mai stato un gran frequentatore di circoli politici, ma era un periodo della mia vita in cui sentivo forte l'esigenza di approfondire meglio certe tematiche che, nonostante avessi sempre fatto parte di quell'area di sinistra alternativa ancora abbastanza diffusa (anche se già in crisi soprattutto dopo la caduta del blocco socialista), non avevo mai scandagliato seriamente. Anzi, nonostante la partecipazione anche assidua a manifestazioni, scioperi e letture varie, purtroppo mal comprese, la mia "militanza" era molto povera. Sostanzialmente m'ero fermato a quando, da giovane studente liceale e poi lavoratore avevo partecipato ai corsi di preparazione politica del PCdI marxista-leninista e alle letture della Nuova Unità, il loro giornale. E anche questa attività non era durata molto tempo. Poi, trovato un lavoro fisso (era un periodaccio quello del 1977), avevo cambiato città e mollato tutto tranne l'attività, anche questa di breve durata, nella CGIL, partecipando, chissà poi perché, a un congresso nazionale a Rimini come rappresentante sindacale. Non una bella esperienza per chi, come me, si aspettava tutta un'altra linea assai diversa da quella che invece si stava già da tempo portando avanti all'ombra del PCI. Avevo cominciato a frequentare un corso sul Capitale al circolo Valerio Verbano, una lettura in comune con altri compagni e con la frequente supervisione di Gianfranco Pala. Una presenza, quella di Pala, assolutamente necessaria per riuscire a comprendere un testo altrimenti arduo, almeno per me. Era qualche tempo che il nostro lavoro sul Capitale proseguiva proficuamente e mi si presentò casualmente la possibilità di assistere, sempre al circolo Verbano, ad un altro incontro (ma poi furono più d'uno) sul tema della dialettica in Marx tenuto da Stefano Garroni. Devo essere sincero ne rimasi meravigliato. Non solo per la capacità espositiva e argomentativa estremamente qualificata di Stefano, basata su rimandi puntuali e precisi alla letteratura, alla psicologia, all'arte, alla poesia e persino alla musica, ma anche per la presenza all'incontro di un docente di musica, di cui non ricordo più il nome, che intervallava l'esposizione di Stefano, facendoci ascoltare brani di musica classica legati all'argomento trattato. Fu un'esperienza particolarissima e fu per me, e non solo per me, l'inizio di una lunga frequentazione dei seminari e gruppi di studio tenuti in seguito da Stefano, che portarono alla costituzione del Collettivo di formazione marxista tuttora esistente.
Stefano Garroni era un ottimo insegnante, ma soprattutto era un convinto e convincente comunista. E la sua militanza è stato il lavoro di tutta una vita. Prima nella sua attività di studio, che non ha mai lasciato, poi nel PCI e nei quotidiani Unità e Paese Sera e, dopo l'abbandono del PCI, nel suo lavoro di ricercatore, nell'insegnamento, il cui obiettivo è sempre stata la formazione di “persone”, ossia uomini e donne dotati di uno spiccato senso critico. Era del tutto persuaso che per portare avanti la lotta politica fosse necessario un costante lavoro culturale e uno studio appassionato, senza i quali non sarebbe stato neppure immaginabile costruire una società fondata sull'autogoverno dei produttori; obiettivo che costituiva lo sfondo di tutta la sua attività intellettuale e di insegnamento, la quale era dunque fortemente animata da un pervadente impegno etico-politico.
E' in queste poche righe che si può tratteggiare la figura di Stefano. Non posso non sottolineare, tuttavia, anche il grande impegno profuso da Stefano nella preparazione delle sue “lezioni”, che non considerava tali, giacché per lui erano piuttosto sollecitazioni a riflettere e a costruire una visione critica della complicata realtà contemporanea, in cui spesso ci muoviamo con strumenti inefficaci e insoddisfacenti.
Amava trattare argomenti difficili e “astratti”, di non facile comprensione da parte di chi non ha avuto frequentazioni costanti con la riflessione filosofica. Dialettica/finitezza, razionalità/irrazionalità, astratto/concreto, materialismo/idealismo erano i temi centrali nelle lezioni di Stefano, che venivano analizzati nella loro opposizione, la quale veniva “risolta” grazie ad una chiave di lettura feconda del rapporto Marx / Hegel. Tale lettura metteva in discussione l'interpretazione riduttiva e semplicistica di tale rapporto, che per tanto tempo ha prevalso nel mondo comunista per ragioni di tipo culturale, ma anche politico. Ovviamente la sua lettura non nasceva dal nulla, giacché si richiamava al dibattito moderno e contemporaneo, che ha messo in luce la costante presenza nel pensiero di Marx della dialettica hegeliana e ha abbandonato la tesi del cosiddetto “rovesciamento” dell'immateriale nel materiale.
Credo che l'aspetto originale dell'insegnamento di Stefano stesse nella capacità di parlare di tali temi con grande semplicità argomentativa, seppure sempre con rigore e profondità; capacità che gli ha permesso di rivolgersi allo studente, ma anche al lavoratore, anche il più umile e di limitata cultura, spronandoli entrambi a non tralasciare mai l'impegno nello studio. Egli ci ha fatto comprendere cosa significa "la fatica della ragione", facendoci cogliere l'aspetto appassionante di tale impegno. E questa è la dote del grande insegnante, ma anche del vero studioso.
Per illustrare quanto sto dicendo val la pena di riportare le parole con le quali Stefano descrive cosa si debba intendere per “persona”:
<<Una persona mancante di carattere non esiste propriamente; ma noi possiamo dire di una persona che non ha carattere, e si tratta di un giudizio che generalmente si riferisce a persone, le quali in un altro senso - ovvero empiricamente - tuttavia esistono, son presenti, stanno lì, possono essere indicate a dito; ovvero, persone di cui potremmo scattare una foto, che potremmo sentir parlare, ecc. Persone, insomma, di cui potremmo avere, come si dice, esperienza.
Linguaggio e senso comune sembrano, dunque, distinguere due sensi del termine esistere: l’uno, che potremmo definire debole, l’altro forte.
In senso debole, essere, esistere stanno ad indicare una mera presenza, la cui fondamentale caratteristica è l’indeterminatezza, l’opacità, la vischiosità.
In senso forte, al contrario, essere, esistere implicano più che la semplice presenza, perché comportano la capacità, da parte di ciò che esiste, di orientarsi, di organizzarsi, di perseverare nella prospettiva di un risultato da raggiungere.
L’essere in senso forte, dunque, non è gratuito, ovvero, la sua presenza ha un senso, una prospettiva, rispetto alle quali si organizza, si muove, s’impegna, ordina se stesso, dunque, dà a se stesso una razionalità.
In una parola possiamo dire che ciò che esiste in senso forte, ciò che non è semplice presenza, ma è effettivamente reale, quello, nello stesso tempo e proprio perciò, è razionale.
In fin dei conti, usando questa formula (ciò che è reale è razionale) non diciamo altro, se non che ciò che è reale è, appunto, reale e che razionale è quell’esistente, che non si esaurisce nel semplice ‘star là’, nel mero ‘esserci’, perché invece è qualcosa di strutturato o, meglio, qualcosa che va strutturandosi diacronicamente, per porsi in condizione di giungere al risultato, a cui tende a pervenire.
Come si vede, la duplice formula hegeliana (ciò che è reale è razionale e ciò che è razionale è reale) dice qualcosa, che è ricavabile dallo stesso linguaggio comune; qualcosa che, in nessun caso, implicita il sacrificio del mondo effettuale in nome di una ragione onnivora.
Al contrario, quella duplice formula se da un lato recupera e chiarisce (rispetto al pensiero comune) la distinzione tra esistenza in senso debole ed esistenza in senso forte, dall’altro mostra, fuori di ogni possibile dubbio, che lo spazio della razionalità coincide con quello di ciò che realmente è, di ciò che esiste in senso forte, insomma della realtà stessa.
Il senso della duplice formula hegeliana, dunque, non ha nulla della trascendenza idealistica, perché piuttosto è la ferma, orgogliosa affermazione che non esiste spazio della razionalità che non sia quello della realtà, e che non ha senso una razionalità che non coincida con la realtà, appunto>>.
Questa era la forza argomentativa di Stefano, il suo modo di trattare, spiegare, risolvere argomenti filosofici difficili e, per un altro verso, spesso male interpretati, perché non compresi.
E ancora qui, un altro esempio dalla sua viva voce: https://www.youtube.com/watch?v=-ZEUew5oY3c
Credo che Stefano abbia tratto grandi soddisfazioni dal suo impegno politico-culturale e molti sono stati nel tempo i compagni, che hanno ricavato un vantaggio dai suoi corsi. Tuttavia, e questo lo si deve al suo carattere di personaggio "scomodo", forse dovuto proprio alla sua prospettiva che metteva in luce prima l'uomo e poi il compagno, per lui non è stato facile poter operare all'interno di quelle organizzazioni che pure si arrogavano il diritto di rappresentare i comunisti. Lui avrebbe voluto altrimenti, ma è andata così... la storia ha i suoi percorsi, e vanno anch'essi interpretati.
Stefano Garroni ha assolto nel modo migliore il compito che l'intellettuale militante dovrebbe svolgere all'interno di una struttura organizzata che si ponga l'obiettivo ambizioso di "rivoluzionare" la società. E per raggiungere questo obiettivo radicale bisogna far sì che i militanti, i giovani, i lavoratori abbiano le basi culturali e morali necessarie per impegnarsi in tale progetto, perché sono loro "il partito". In questa impresa Stefano, e non solo lui va detto, si è impegnato, seppur da esterno, e riuscendoci bene ugualmente. Forse ci si dovrebbe chiedere se altri non possano seguire lo stesso percorso e dare gli stessi frutti.
Aggiungo, inoltre, che Stefano ci ha lasciato un'ampia mole di documenti del suo lavoro: testi sia di carattere teorico che politico, registrazioni di incontri (che coprono un arco di tempo più che ventennale), a cui si può accedere utilizzando il lavoro svolto dal Collettivo di formazione marxista, oggi a lui intitolato, che ne ha trascritti molti. Sono anche disponibili alcuni testi oggi altrimenti irreperibili, che sono stati immessi on line insieme alle registrazioni e video degli incontri. Qui i links di riferimento:
http://ilcomunista23.blogspot.it/
https://www.youtube.com/user/mirkobe79/about
Concludo questa breve testimonianza comunicando che sta per uscire ad ottobre l'ultimo libro di Stefano, intitolato Dialettica riproposta, Edizioni LA CITTA' DEL SOLE, curato da Alessandra Ciattini. Nella quarta di copertina si può leggere:
"Sono raccolti in questo libro gli scritti cui Stefano Garroni stava lavorando prima della sua scomparsa, avvenuta nell'aprile 2014. In esso sono presenti i temi principali del suo lungo e intenso percorso di ricerca, nel corso del quale ha sempre cercato di coniugare con grande sensibilità teoria e prassi, filosofia e politica, etica e scienza. Tra questi temi ricordiamo la tesi dell'inscindibile legame tra Hegel e Marx, il quale – secondo l'autore – si sarebbe sempre mosso nel quadro della filosofia del suo grande predecessore, non attuando quel semplicistico “rovesciamento” della dialettica, su cui ha tanto insistito il materialismo scolastico e dogmatico. L'altro tema, che ci preme mettere in risalto, è rappresentato dall'individuazione nel pensiero di Marx di un forte impegno etico, che si concreta nel Principio Morale di Base così definibile “la vita deve produrre vita”, che questo autore seminale impiega per indagare la società capitalistica e per delineare al contempo i tratti della futura società comunista."
Ecco, se pur sommariamente tratteggiato, questo era Stefano Garroni. Forse, più modestamente, il mio Stefano. Altri ne potrebbero evidenziare forse meglio di me le doti e i meriti. A me rimane il rimpianto non solo del maestro perduto, ma dell'amico, perché in questa veste io ne conservo il ricordo.