Continua dalla prima parte.
Creazione del fascismo I
Se gli intellettuali francesi avevano visto giusto ma, o non erano stati capaci o le condizioni non erano adeguate per concretizzarne la visione, lo choc della rivoluzione russa determinò rapidamente le condizioni storiche perché qualcuno cercasse di mettere in pratica concretamente un ”socialismo senza proletariato”.
È ovvio che per far ciò era necessaria una persona che avesse buona cognizione di marxismo e socialismo e in Italia c'era qualcuno all'altezza di questo compito: Benito Mussolini.
Mussolini inizia la sua carriera politica con l'iscrizione al Partito Socialista Italiano (PSI). Poco tempo dopo incappa in una vera avventura. Allo scopo di sottrarsi al servizio militare, infatti, fugge in Svizzera, dove conosce importanti esponenti rivoluzionari, rimanendo fra l'altro affascinato dalle idee di stampo marxista. Rientrato in Italia nel 1904 dopo essere stato espulso dai cantoni per ripetuto ed esasperato attivismo antimilitarista e anticlericale, scampa alla pena prevista per la renitenza alla leva grazie a un errore burocratico; compie infine il servizio militare nel reggimento di bersaglieri di stanza a Verona. Per un breve periodo trova anche il tempo per insegnare presso Tolmezzo e Oneglia (1908), dove tra l'altro collabora attivamente al periodico socialista “La lima”; dopodiché, torna a Dovia.
L'attività politica però continua incessante. Fra l'altro, viene imprigionato per dodici giorni per aver sostenuto uno sciopero di braccianti. Ricopre quindi la carica di segretario della Camera del Lavoro a Trento (1909) e dirige un altro quotidiano: “L'avventura del lavoratore”. Si scontra presto con gli ambienti moderati e cattolici e, dopo sei mesi di frenetica attività propagandistica viene espulso dal giornale tra le vibranti proteste dei socialisti trentini. La decisione suscita una vasta eco in tutta la sinistra italiana. Tra l'altro si fa notare come antimonarchico scrivendo sulla lapide di Umberto I di Savoia nella Cappella Espiatoria di Monza la frase “monumento a Bresci”.
Successivamente la dirigenza socialista forlivese gli offre la direzione del settimanale “Lotta di classe” e lo nomina proprio segretario. Al termine del congresso socialista a Milano dell'ottobre 1910, ancora dominato dai riformisti, Mussolini pensa di scuotere la minoranza massimalista, anche a rischio di spaccare il partito, provocando l'uscita dal PSI della federazione socialista forlivese. Nessun altro però lo segue nell'iniziativa. Quando sopraggiunge la guerra in Libia, Mussolini appare come l'uomo più adatto a impersonare il rinnovamento ideale e politico del partito. Protagonista del congresso emiliano di Reggio Emilia e assunta la direzione del quotidiano “Avanti!” alla fine del 1912, diventa il principale catalizzatore delle insoddisfazioni della società italiana, piegata da crisi economiche e ideali.
Questa descrizione accurata della biografia del giovane Mussolini è necessaria poiché è un aspetto ignorato dai più. Caratteristica di questo disinteresse è la classica impostazione della storiografia legata al P.C.I., che lo liquidava con un “in passato era stato socialista” assolutamente fuorviante. Far vedere come egli sia stato interno al movimento socialista, che all'epoca andava dal secondo internazionalismo al socialismo rivoluzionario, serve a far comprendere come Mussolini non si sia inventato nulla. Egli ebbe soltanto la coscienza della necessità di un programma sociale capace di coinvolgere le masse, programma disconosciuto dal liberalismo.
“Nel 1919, finita la guerra, il socialismo era già morto come dottrina: esisteva solo come rancore, aveva ancora una sola possibilità, specialmente in Italia, la rappresaglia contro coloro che avevano voluto la guerra e che dovevano «espiarla». Il Popolo d'Italia recava nel sottotitolo «quotidiano dei combattenti e dei produttori». La parola «produttori» era già l'espressione di un indirizzo mentale. Il Fascismo non fu tenuto a balia da una dottrina elaborata in precedenza, a tavolino: nacque da un bisogno di azione e fu azione; non fu partito, ma nei primi due anni, antipartito e movimento. Il nome che io diedi all'organizzazione, ne fissava i caratteri.
Oppure chi rilegga, nei fogli oramai gualciti dell'epoca, il resoconto dell'adunata costitutiva dei Fasci italiani di combattimento, non troverà una dottrina, ma una serie di spunti, di anticipazioni, di accenni, che, liberati dall'inevitabile ganga delle contingenze, dovevano poi, dopo alcuni anni, svilupparsi in una serie di posizioni dottrinali, che facevano del Fascismo una dottrina politica a sé stante, in confronto di tutte le altre e passate e contemporanee.
«Se la borghesia - dicevo allora - crede di trovare in noi dei parafulmini si inganna. Noi dobbiamo andare incontro al lavoro... Vogliamo abituare le classi operaie alla capacità direttiva, anche per convincerle che non è facile mandare avanti una industria e un commercio... Combatteremo il retroguardismo tecnico e spirituale... Aperta la successione del regime noi non dobbiamo essere degli imbelli. Dobbiamo correre; se il regime sarà superato saremo noi che dovremo occupare il suo posto. Il diritto di successione ci viene perché spingemmo il paese alla guerra e lo conducemmo alla vittoria! L'attuale rappresentanza politica non ci può bastare, vogliamo una rappresentanza diretta dei singoli interessi... Si potrebbe dire contro questo programma che si ritorna alle corporazioni. Non importa!... Vorrei perciò che l'assemblea accettasse le rivendicazioni del sindacalismo nazionale dal punto di vista economico...». Non è singolare che sin dalla prima giornata di Piazza San Sepolcro risuoni la parola «corporazione» che doveva, nel corso della Rivoluzione, significare una delle creazioni legislative e sociali alla base del regime?”[1].
Questa citazione dei “Punti programmatici” esposti da Mussolini al Congresso di fondazione del PNF è illuminate. Oltre a documentare che il nuovo partito non nasce da una teoria generale precostituita ma come costruzione in corso d'opera, essa mostra come il progetto di Mussolini cerchi di legare il governo del capitale a parti del programma socialista per raggruppare intorno al progetto il consenso di una buona parte della popolazione. Questo chiarisce concretamente la natura del passaggio da affrontare: la necessità di garantire al capitalismo solidità e sviluppo ma, contemporaneamente, l'esigenza di dare al proletariato una base concreta per aderire al progetto, capace di risollevarlo parzialmente dallo stato di degrado in cui lo aveva ridotto la borghesia del tempo.
La differenza principale dal patto sociale concepito dalla socialdemocrazia sta nel fatto che da subito viene posta a soluzione della crisi la guerra. Perciò dal punto di vista strutturale il fascismo si pone subito come concezione di un capitalismo di guerra che dedica parte dei sovrapprofitti che ne possono derivare a migliorare parzialmente le condizioni del proletariato industriale e delle classi intermedie; quello rurale riceve un'attenzione molto minore a dimostrazione del fatto che che il fascismo non voleva distaccarsi dalle scelte della borghesia sabauda [2].
Questa forma di Stato sociale ma non socialista si scontrava fortemente con le concezioni liberali, dominanti all'epoca, che prevedono uno Stato 'leggero' che spende i suoi soldi esclusivamente o quasi per organi repressivi (esercito e polizia) e rappresentanze diplomatiche.
Questa esposizione apre il discorso a quella che è la parte sovrastrutturale del progetto. Una forma di capitalismo di guerra non può certo dare spazio a versioni di democrazia rappresentativa troppo lente, farraginose e incerte, esige uno Stato forte.
“La Nazione non è la semplice somma degli individui viventi né lo strumento dei partiti per loro fini, ma un organismo comprendente la serie indefinita delle generazioni di cui i singoli sono elementi transeunti; è la sintesi suprema di tutti i valori materiali e immateriali della stirpe… Il Partito Nazionale Fascista afferma che nell'attuale momento storico la forma di organizzazione sociale dominante nel mondo è la Società Nazionale e che la legge essenziale della vita nel mondo non è la unificazione delle varie Società in una sola immensa Società: «l'Umanità», come crede la dottrina internazionalistica, ma la feconda e, augurabile, pacifica concorrenza tra le varie Società Nazionali”.
“Lo Stato va ridotto alle sue funzioni essenziali di ordine politico e giuridico. Lo Stato deve investire di capacità e di responsabilità le Associazioni conferendo anche alle corporazioni professionali ed economiche diritto di elettorato al corpo dei Consigli Tecnici Nazionali. Per conseguenza debbono essere limitati i poteri e le funzioni attualmente attribuiti al Parlamento. Di competenza del Parlamento i problemi che riguardano l'individuo come cittadino dello Stato e lo Stato come organo di realizzazione e di tutela dei supremi interessi nazionali; di competenza dei Consigli Tecnici Nazionali i problemi che si riferiscono alle varie forme di attività degli individui nella loro qualità di produttori” [3].
Ispirandosi alla storia dell'antica Roma, l’obiettivo essenziale di questa linea è quello di dare alle classi una direzione unica e indiscutibile, un “Duce” (dictator) che trovasse il suo consenso in masse di folle plaudenti. E bisognava far digerire alle frazioni di borghesia dominante e a quelle subordinate una forte spesa sociale e non lo si poteva fare con le buone maniere pena il crollo di tutto il progetto. [4]
“Il Partito Nazionale Fascista si propone di agitare i seguenti postulati a favore delle classi lavoratrici ed impiegatizie:
- La promulgazione di una legge dello Stato che sancisca per tutti i salariati la giornata (legale) media di otto ore, colle eventuali deroghe consigliate dalle necessità agricole o industriali.
- Una legislazione sociale aggiornata alle necessità odierne, specie per ciò che riguarda gli infortuni, l'invalidità e la vecchiaia, sia agricoli che industriali o impiegatizi, sempre che non inceppi la produzione.
- Una rappresentanza dei lavoratori nel funzionamento di ogni industria, limitatamente per ciò che riguarda il personale.
- L'affidamento ad organizzazioni operaie, che siano moralmente degne e tecnicamente preparate, della gestione di industrie o di servizi pubblici.
- La diffusione della piccola proprietà in quelle zone e per quelle coltivazioni che produttivamente lo consentono.” [5]
Le tesi sulle corporazioni non fanno altro che ribadire la maniera tecnico-politica con cui si sviluppa la parte più importante del controllo sociale.
In sintesi si può dire che il fascismo dal punto di vista strutturale si articola su extraprofitti che scaturiscono da una economia per la guerra e di guerra, mentre sul piano sovrastrutturale richiede uno Stato autoritario e selettivamente sociale, nonché sul controllo dell'informazione.
Questi discorsi e questa sintesi vanno confrontati e verificati con il successivo e approfondito sviluppo del fascismo: il nazismo hitleriano.
Continua sul prossimo numero on-line tra una settimana
Note
[1] Punti programmatici esposti da Mussolini al Congresso del 7-11 novembre 1921 a Roma, in occasione della fondazione del Partito Nazionale Fascista.
[2] La questione non è di poco conto ma attiene alle scelte della borghesia sabauda al momento dello sviluppo della costruzione del suo Stato con l'unità d'Italia. Le scelte che aveva davanti erano due: costruire uno Stato che garantisse uno sviluppo ‘armonico’ del capitale, il che voleva dire dare la possibilità di allargamento ampio della piccola borghesia con una riforma agraria a scapito dei grandi latifondi, oppure cercare un compromesso con questi ultimi a scapito di un rapido sviluppo capitalista. La necessità di avere un'ampia base piccolo-borghese come spiega chiaramente Marx nel Capitale è un fattore di grande e rapido sviluppo del capitale perché per esso la piccola borghesia rappresenta il vero “consumatore” (parola che per Marx non significa nulla) in quanto è un acquirente esterno al circuito del grande capitale. Non per nulla Marx in una nota del primo libro del Capitale fa la facile profezia secondo cui a causa del grande bacino di piccoli produttori il capitalismo sarà destinato a svilupparsi negli USA con passi da gigante! La storia ha mostrato come la borghesia sabauda abbia scelto la seconda via, molto gattopardesca, ordinando a Garibaldi di reprimere le rivolte contadine e scegliendo di costruire la “questione meridionale” che ancora oggi ci portiamo dietro. Mussolini, pur nella sua volontà di ammodernare il capitalismo, per non perdere finanziatori, decise di non interrompere la strategia sabauda e per sviluppare la piccola produzione si rivolse a luoghi disagiati come le paludi pontine.
[3] Punti programmatici esposti da Mussolini al Congresso del 7-11 novembre 1921 a Roma, in occasione della fondazione del Partito Nazionale Fascista.
[4] Ci siamo limitati alla citazione dei punti programmatici della fondazione del PNF perché nei documenti successivi del fascismo non si trovano diversità fondamentali da queste tesi ma solo degli aggiustamenti sui singoli punti derivanti da contingenze storiche.
[5] Punti programmatici esposti da Mussolini al Congresso del 7-11 novembre 1921 a Roma, in occasione della fondazione del Partito Nazionale Fascista.