Il revisionismo o meglio il rovescismo storico – che generalmente tende a confondere la complessità del processo rivoluzionario con un putsch ben riuscito – mira a ridurre la stessa Rivoluzione d’ottobre alla conquista del Palazzo d’Inverno, in modo da rendere tale esperienza del tutto anacronistica dinanzi ai complessi apparati statuali odierni.
Al contrario Lenin era pienamente consapevole che la rivoluzione non avrebbe potuto esaurirsi in un riuscito colpo di Stato, ma si sarebbe dovuta sviluppare in un complesso processo, un lungo periodo “di tempestose scosse economiche e politiche, di lotta di classe molto acuta, di guerra civile, di rivoluzioni e controrivoluzioni” [1]. Tale processo potrà essere inaugurato e condotto a buon fine solo in seguito a una realistica e sobria analisi politica del rapporto fra le forze sociali in campo, che sia in grado di valutare ogni “momento concreto” del suo svolgimento “non solo dal punto di vista della sua originalità contingente, ma anche da quello dei moventi più profondi, dei più profondi rapporti tra gli interessi del proletariato e della borghesia” [2] sia nel proprio paese che sul piano internazionale. Perciò nella lunga e complessa fase di preparazione della “grande guerra di liberazione del proletariato per il socialismo” sarà indispensabile approfittare “di ogni movimento popolare contro le singole calamità, generate dall’imperialismo, allo scopo di inasprire e di estendere la crisi” [3].
Inoltre, fra i presupposti imprescindibili per dare l’avvio all’“assalto al cielo” occorre comprendere non tanto la possibilità reale di prendere il potere, quanto l’esigenza di mantenerlo e consolidarlo di fronte alla reazione nazionale ed internazionale. Così, per limitarci a un esempio emblematico, “se la forza creativa delle classi rivoluzionarie non avesse generato i Soviet, la rivoluzione proletaria in Russia sarebbe una causa disperata, perché il proletariato non potrebbe conservare il potere con il vecchio apparato statale e non si può creare di colpo un nuovo apparato” [4].
D’altra parte, contrariamente alle astratte convinzioni dei marxisti dottrinari, la presenza delle condizioni oggettive per la realizzazione di un processo rivoluzionario non coincide necessariamente – o meglio, nell’epoca dell’imperialismo, tendenzialmente non ha coinciso – con la piena affermazione del modo capitalistico di produzione che avrebbe consentito a tale processo di consolidarsi e realizzarsi nell’edificazione del socialismo. Le critiche rivolte alla Rivoluzione d’ottobre in nome del marxismo sono considerate da Lenin le più pericolose, in quanto tendono a giustificare l’attendismo opportunista tipico delle anime belle, che non intendono sporcarsi le mani con le necessarie contraddizioni del processo storico. Anzi, a parere di Lenin: “l’opportunismo aperto, che respinge senz’altro lontano da sé la massa operaia, non è temibile e dannoso quanto la teoria del giusto mezzo, che giustifica la pratica opportunistica con parole marxiste, che prova con una serie di sofismi l’intempestività delle azioni rivoluzionarie, ecc.” [5].
Perciò, contro chi condannava la rivoluzione d’Ottobre in nome di alcuni scritti di Marx ed Engels, osserva Lenin: “la nostra teoria non è un dogma, ma una guida per l’azione, dicevano Marx e Engels, e l’errore più grave, il massimo delitto dei marxisti ‘patentati’ come Karl Kautsky, Otto Bauer, ecc. è di non aver compreso, di non aver saputo applicare questo principio nei principali momenti della rivoluzione del proletariato. ‘L’attività politica non è il marciapiede del Nievski prospekt’ (il lindo, ampio e piano marciapiede della via principale di Pietroburgo, assolutamente rettilinea)” [6].
Del resto, nei paesi economicamente e socialmente arretrati la struttura dello Stato è meno complessa e articolata di quella dei paesi sviluppati e per questo è più facile romperne la resistenza, anche perché gli obiettivi della rivoluzione proletaria tendono a fondersi, nella fase iniziale, con quelli piccolo-borghesi dei contadini che mirano alla riforma agraria. Proprio perciò, Lenin prende sul serio le accuse rivolte al suo partito di aver forzato soggettivamente il corso storico degli eventi pretendendo di passare direttamente, in un paese in larga parte dominato da condizioni feudali, all’edificazione del socialismo. D’altra parte mostra, al contempo, come siano state le stesse condizioni oggettive a giustificare un tentativo apparentemente azzardato: “che fare se la situazione, assolutamente senza vie d’uscita, decuplicava le forze degli operai e dei contadini e ci apriva più vaste possibilità di creare le premesse fondamentali della civiltà, su una via diversa da quella percorsa da tutti gli altri Stati dell’Europa occidentale?” [7].
Ciò porta Lenin a domandare ai suoi critici: “e non viene in mente a nessuno di domandarsi: ma un popolo che era davanti a una situazione rivoluzionaria, quale si era creata nella prima guerra imperialistica, sotto la spinta di una situazione senza vie di uscita, non poteva forse gettarsi in una lotta che gli apriva almeno qualche speranza di conquistarsi condizioni non del tutto ordinarie per un ulteriore progresso di civiltà?” [8]. Tanto più che, persino uno dei più autorevoli esponenti di tali posizioni critiche, Karl Kautsky, ancora nel 1902 osservava come l’epicentro della rivoluzione si stava spostando da Occidente verso Oriente: “La Russia, che ha attinto dall’Occidente tanta iniziativa rivoluzionaria, è forse oggi pronta a diventare essa stessa una fonte di energia rivoluzionaria per l’Occidente’”. Al punto da ritenere che la rivoluzione russa consentirà di scrollare “lo spirito d’infrollito filisteismo e superficiale politicantismo che comincia a diffondersi nelle nostre fila” [9] consentendo anche ai socialisti occidentali di riscoprire i propri scopi rivoluzionari posti in secondo piano da una politica sempre più volta a battersi per riforme parziali dell’esistente.
Del resto la rivoluzione in un paese come la Russia, posto a metà strada fra gli sviluppati Stati europei e le nazioni allora estremamente arretrate dell’Oriente, doveva assumere caratteri peculiari e modalità di svolgimento originali. Dunque, tratti ancora più peculiari e differenti dalle rivoluzioni occidentali, su cui si era costruita la teoria marxiana della rivoluzione, assumeranno i successivi rivolgimenti in Oriente. Osserva a questo proposito Lenin, intuendo gli sviluppi successivi del processo rivoluzionario, in contesti ancora più atipici: “I nostri piccoli borghesi europei non sognano nemmeno che le successive rivoluzioni nei paesi dell’Oriente, paesi incomparabilmente più ricchi per popolazione e per l’infinita varietà di condizioni sociali, presenteranno senza dubbio un’originalità ancor maggiore di quella della rivoluzione russa” [10].
Più in generale ogni transizione al socialismo assumerà dei tratti specifici imposti dal contesto nazionale: “ognuna darà la sua impronta originale a questa o quella forma di democrazia, a questa o quella variante di dittatura del proletariato, a questo o a quel ritmo di trasformazione socialista dei vari aspetti della vita sociale. Niente è più meschino teoricamente e ridicolo praticamente che dipingere, ‘in nome del materialismo storico’, questo aspetto dell’avvenire con una tinta grigia e uniforme” [11]. Perciò ai dottrinari guardiani della purezza della teoria marxista, che in suo nome tacciavano di eresia la prassi rivoluzionaria dei bolscevichi, Lenin risponde: “non passa loro neanche per la testa, per esempio, che la Russia – la quale sta alla frontiera tra i paesi civili e i paesi attratti definitivamente da questa guerra per la prima volta nell’orbita della civiltà, i paesi di tutto l’Oriente, i paesi non europei – poteva e doveva manifestare alcuni caratteri peculiari, i quali naturalmente sono compresi nella linea generale dello sviluppo mondiale, ma distinguono tuttavia la sua rivoluzione da tutte le rivoluzioni precedenti dei paesi dell’Europa occidentale e determinano alcune innovazioni parziali quando si passa ai paesi orientali” [12].
Inoltre Lenin mostra come nel suo programma non si intendesse affatto passare immediatamente alla rivoluzione socialista “saltando” la rivoluzione democratico-borghese. Il suo obiettivo era il governo dei deputati degli operai, dei salariati agricoli, dei soldati e dei contadini, ovvero i soviet, “nei quali predominano appunto i contadini, i soldati, predomina la piccola borghesia” [13]. Tale passaggio intermedio è ritenuto da Lenin essenziale proprio “contro ogni tentativo di giocare alla ‘presa del potere’ da parte di un governo operaio, contro ogni avventura blanquista” [14]. In tal modo, ancora una volta, Lenin sottolinea nel modo più netto la differenza fra la concezione marxista della rivoluzione e quella putchista.
Tanto più che Lenin aveva di mira un sistema governato dalla maggioranza della popolazione e intendeva subordinare l’azione rivoluzionaria al consenso delle masse, per cui considerava una pre-condizione essenziale ottenere l’egemonia all’interno dei principali soviet. D’altra parte la rivoluzione in Russia nasce con il preciso obiettivo di rompere la catena imperialista nell’anello più debole per favorire l’innescarsi del processo rivoluzionario nei paesi maggiormente sviluppati, che così toglierebbero alla Russia il ruolo di battistrada nella costruzione del socialismo. Così, da una parte Lenin assumendo la prospettiva dei rivoluzionari tedeschi che, in contesti in cui la sconfitta era quasi certa, si erano comunque ammutinati per arrestare la guerra imperialista, incita i suoi compagni russi che esitavano: “ma voi, internazionalisti rivoluzionari russi, voi avete potuto svolgere liberamente la vostra agitazione già da sei mesi; voi avete una ventina di giornali, avete tutta una serie di Soviet di deputati degli operai e dei soldati, avete vinto nel Soviet delle due capitali, la flotta del Baltico e tutte le truppe russe in Finlandia sono con voi, e voi non rispondete al nostro appello all’insurrezione, non rovesciate il vostro imperialista Kerensky, pur avendo novantanove probabilità su cento di vincere con l’insurrezione!” [15]. D’altra parte arriva a sostenere che pur di favorire la rivoluzione in un paese avanzato come la Germania sia addirittura “obbligatorio ammettere la possibilità di una sconfitta e della perdita del potere sovietico” [16] in una lotta disperata per tenere impegnato l’esercito imperialista di questo paese.
Note
[1] V. I. Lenin, Sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa [Agosto 1915], in Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1966, vol. 21, pp. 311-12.
[2] Id., Lettere da lontano [Marzo 1917], in Sulla rivoluzione socialista, Edizioni Progress, Mosca 1979, p. 102.
[3] Id., Risultati della discussione sull’autodecisione [Luglio 1916], in Sulla rivoluzione… op. cit., p. 55.
[4] Id., I bolscevichi conserveranno il potere statale?, [settembre 1917], in Sulla rivoluzione… op. cit., p. 234.
[5] Id., Il fallimento della II Internazionale [maggio-giugno 1915 ] , in Sulla rivoluzione… op. cit., p. 28.
[6] Id., L’estremismo, malattia infantile del comunismo [aprile 1920], in Sulla rivoluzione… op. cit., p. 478.
[7] Id., Sulla nostra rivoluzione [gennaio 1923], in Opere…, cit., vol. 33, p. 438.
[8] Ivi, pp. 437-38.
[9] K. Kautsky, Gli slavi e la rivoluzione, in “Iskra” n. 18, 10 marzo 1902.
[10] Id., Sulla nostra rivoluzione [gennaio 1923], in Opere…, cit., vol. 33, p. 439.
[11] V. I. Lenin, Intorno a una caricatura del marxismo e all’“economismo imperialistico” (agosto-settembre 1916), in Opere…, cit. vol. 23, p. 67.
[12] Id., Sulla nostra rivoluzione [gennaio 1923], in Opere…, cit., vol. 33, p. 437.
[13] Id., Lettere sulla tattica [aprile 1917], in Sulla rivoluzione… op. cit., p. 120.
[14] Ibidem.
[15] Id., Lettera ai compagni bolscevichi delegati alla conferenza regionale dei soviet del nord [ottobre 1917] in Sulla rivoluzione… op. cit., p. 252.
[16] Id., Strano e mostruoso [febbraio 1918], in Sulla rivoluzione… op. cit., pp. 307-08.