Ricezione e sviluppi di Storia e coscienza di classe

Recensioni che comprendono i punti di forza di Storia e coscienza di classe, cercando di superarne dialetticamente i limiti


Ricezione e sviluppi di Storia e coscienza di classe

La ricezione positiva di Storia e coscienza di classe segna per Ernst Bloch una sostanziale modificazione della valutazione per diversi aspetti negativa di Hegel ancora presente nella seconda edizione di Spirito dell’utopia del 1923. Con l’apprezzamento della dialettica, la storia è riconosciuta come l’ambito in cui la soggettività si appropria consapevolmente della realtà e in cui la scissione essere e dover essere trova una soluzione nel nesso dialettico teoria-prassi: “Hegel è il primo a percorrere questo terreno con serietà. Esso è il regno della storia: la storia finalmente introduce il concetto stesso sempre più reale. Dapprima come fenomenologia dello spirito, dove il soggetto è divenuto sostanza e questa, il sapere assoluto, si attua nel movimento della coscienza umana – movimento che procede dialetticamente attraverso contraddizioni, in quanto soggetto per così dire dialetticamente relativizzato. Si abbandona così il concetto meramente astratto, isolato dalla filosofia della riflessione; nel metodo dialettico l’istanza kantiana dell’intelletto intuitivo riceve la sua configurazione chiara, oggettiva e scientifica. Il metodo hegeliano, quando è autenticamente tale, quando «cammina con le cose», appare sia come automovimento del concetto concreto, sia come autorovesciamento della realtà, prima di tutto della realtà storica, in quanto in essa il mutamento non è un circolo sulla superficie, come nella natura, bensì è il concetto stesso che viene giustificato” [1].

L’accordo di Bloch con Lukács si estende al concetto di reificazione, del quale egli è l’unico, tra i recensori immediati di Storia e coscienza di classe, a coglierne la rilevanza per la teoria rivoluzionaria. Egli fa propria la critica lukacciana della scienza moderna e della ragione formale e calcolistica, accogliendo anche la denuncia dell’impossibilità del pensiero borghese a penetrarne la materia, il contenuto qualitativo della realtà, derivata dal dominio pervasivo del rapporto di merce nella struttura della società borghese e dalla sua funzione di modello per ogni forma di oggettualità: “diventa pertanto possibile, partendo di qui, mostrare la struttura del rapporto di merce come modello originario di tutte le forme oggettuali nella società borghese, nonché di tutte le forme della soggettività ad esse corrispondenti e con essa coordinate. Il carattere puramente formale, fondato sul calcolo, specialistico ed estraneo al modo capitalistico di produzione e di scambio ritorna pertanto in perfetta corrispondenza nella sua massima ideologia, nel metodo della scienza moderna” [2].

In sintonia con Lukács, Bloch ritiene essenziale il recupero della totalità e della mediazione dialettica dell’empiria, in vista dell’unità di teoria e prassi e del superamento sia del ribellismo volontaristico (utopia astratta), sia del determinismo fatalistico. Tuttavia, per Bloch, la critica alla reificazione ha bisogno di un'integrazione, che punta sulla ripresa della concezione qualitativa della natura risalente al neoplatonismo rinascimentale e riattualizzata dalla cultura romantica.

Al pari dei critici marxisti ortodossi, Bloch rimprovera a Lukács di avere limitato le sue considerazioni alla sola sfera sociologica, escludendo la natura dall’ambito della totalità, ma motivazioni e intenzionalità restano ben diverse: mentre per i primi si tratta di difendere dei principi dottrinari assunti dogmaticamente, per il pensatore dell’utopia concreta l’ampliamento della considerazione dialettica alla natura, più che riallacciarsi a Engels, si inquadra nel progetto teorico – che proprio adesso sta prendendo forma - di dare un fondamento ontologico [3] alla possibilità nascosta, all’apertura del nuovo, alla tensione verso il futuro. Nel confronto con Lukács, si fa altresì strada il concetto originale blochiano di temporalità elastica e un’idea di totalità più articolata e meno compatta di quella lukacciana.

A Bloch interessa mettere in luce gli scarti, le rotture e le fessure che si determinano nella struttura storico-sociale: i periodi di crisi, in cui emergono esigenze e bisogni, fino ad allora latenti, e le relative risposte e atteggiamenti culturali non prevedibili, che si stratificano secondo livelli diversi di temporalità, sono altrettanto importanti dei periodi di cosiddetta alta cultura, dove tutto sembra si mantenga in equilibrio.

Si trova qui in nuce il grande tema dell’eredità culturale, che negli anni ’30 vede i vecchi amici, Bloch e Lukács, schierati su fronti opposti nella disputa pro o contro il realismo e/o l’espressionismo. Mentre Lukács, ancorato a un concetto “classicista” di cultura, privilegia i momenti organici, profondamente mediati e alti della storia culturale, Bloch, senza rinnegare, ovviamente, il lascito della borghesia rivoluzionaria e i princìpi da essa conquistati storicamente – quali ad esempio il diritto naturale e la dignità legata all’idea di libertà – rivendica a pieno titolo l’eredità e la valorizzazione in funzione rivoluzionaria di tutto ciò che, rimasto occultato sotto il manto delle ideologie e delle false apparenze, affiora prepotentemente alla luce e sprigiona le potenzialità creative ed eversive della fantasia, proprio durante il periodo di crisi [4].

Per questi motivi, la sfera artistica, la sfera religiosa e quella filosofica, trascurate da Lukács a favore della sola sfera sociologica, sono altrettanto importanti e costitutive della concreta prassi trasformatrice: “Questo pensatore ha imparato molto dal suo rapportarsi costantemente a ciò che è praticamente possibile e reale. Ma a causa di una certa inclinazione semplicistica all’omogeneizzazione quasi esclusivamente sociologica del processo, ha dovuto pagare per tale concretezza un prezzo troppo elevato. La storia è piuttosto, nonostante ogni istanza dell’omnia ubique, una formazione poliritmica, e non soltanto la conquista dell’uomo sociale ancora nascosto, bensì anche la conquista artistica, religiosa, metafisica dell’uomo trascendentale segreto è un pensiero dell’essere, di un nuovo profondo rapporto dell’essere. Certamente questi rapporti profondi e i loro oggetti non sono rigidamente separati, bensì in costante rapporto dialettico, intersecantesi quasi senza posa, mescolantesi, passando gli uni negli altri, fissando sempre nel livello dell’essere superiore l’esattezza di quello inferiore. Ma con la limitazione o omogeneizzazione alla pura materia sociale (che in Lukács domina, nonostante il desiderio di totalità) non si comprenderà adeguatamente né la vita né la natura né i contenuti quasi sempre eccentrici del processo di comunicazione riferito dianoeticamente” [5].

József Révai – militante del Partito comunista ungherese a fianco di Lukács nella frazione di Landler, che sosteneva una proposta politica di transizione al socialismo alternativa alla linea massimalista guidata da Bela Kun – porta alle estreme conseguenze le tesi contenute in Storia e coscienza di classe, radicalizzando il pensiero di Lukács soprattutto sul tema, ritenuto centrale del rapporto Hegel-Marx.

Révai parte da una critica serrata al materialismo intriso di metafisica naturalista di Engels e di Plechanov, i quali, facendo convivere la dialettica hegeliana con l’assolutizzazione della conoscenza scientifico-naturale, hanno creato una tradizione a cui si ispirano i critici di Lukács nel privilegiare una teoria dell’agire strumentale rispetto alla prassi rivoluzionaria, e nel sostituire l’oggettivismo delle forze produttive alla coscienza di classe. Il mito positivistico del progresso all’infinito del sapere scientifico e della produzione materiale è entrato a far parte del bagaglio teorico “ortodosso”, per il fatto che “il tentativo di dialettizzare la natura con l’ausilio delle scienze naturali condusse inevitabilmente al risultato opposto, ossia alla naturalizzazione della dialettica” [6]. In alternativa a tale applicazione meccanicistica della dialettica hegeliana: “Il libro di Lukács è il primo tentativo sistematico di rendere filosoficamente cosciente l’elemento hegeliano del marxismo, all’interpretazione della critica hegeliana di Marx. Il libro di Lukács è per profondità, ricchezza di contenuto, capacità di verifica di proposizioni generali in apparenza «puramente» filosofiche in singoli problemi concreti di gran lunga superiore alle opere che hanno trattato specificamente i fondamenti del marxismo” [7].

Secondo il principio della prassi marxiano, la “trasformazione del mondo” implica il superamento delle “leggi naturali sociali” che si fondano sulla non consapevolezza di coloro che vi partecipano (l’astuzia della ragione hegeliana). Il momento della conoscenza dell’oggetto e della sua legalità si può e si deve identificare con la sua trasformazione; con ciò avviene il superamento dell’estraneità e dell’indipendenza dell’oggetto, coincidente con l’autocoscienza del soggetto: “Il grande progresso di Marx rispetto a Hegel consiste pertanto nell’aver concretamente trovato nel proletariato il soggetto-oggetto identico della storia. A differenza di Hegel, egli non ha considerato la storia post festum, in forma puramente contemplativa, alla stregua di un processo per principio concluso, bensì ha scorto nella lotta del proletariato per la società socialista, nella concezione dialettica del presente, il punto di vista dal quale la storia passata può essere compresa in generale come storia, come accadere dotato di senso, necessario” [8].

 

Note:

[1] Bloch, Ernst, Attualità e utopia. “Storia e coscienza di classe” di Lukács [1924], in AA.VV., Intellettuali e coscienza di classe, introduzione e a cura di Boella, L., Milano, Feltrinelli 1977, pp. 148-167, p. 155.

[2] Ivi, p. 152.

[3] Anche il vecchio Lukács intenderà dare una fondazione ontologica al materialismo storico, sebbene su basi e con finalità diverse da quelle di Bloch.

[4] Su questa questione e sul dissidio tra Lukács e Bloch si può vedere il giudizio di Bloch in Marxismo e utopia, cfr. E. Bloch, Tagträume vom aufrechten Gang. Sechs Interviews mit Ernst Bloch 1977, tr. it. id., Marxismo e utopia, prefaz. di A. Müster, a cura di V. Marzocchi, Roma, Editori Riuniti 1984, pp. 86-91.

[5] E. Bloch, Attualità e utopia… op. cit., p. 164.

[6] Révai, József, Rezension von G. Lukács “Geschichte und Klassenbewusstsein” [1924]; tr. it. id., Recensione di “Storia e coscienza di classe” di G. Lukács; in AA.VV., Intellettuali e coscienza di classe, introduzione e a cura di L. Boella, Milano, Feltrinelli 1977, pp. 168-178, p. 170.

[7] Ivi, p. 171.

[8] Ivi, p. 172.

20/05/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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