Sono arrivata nella verdissima Ciociaria a Ceccano, con la mia solita curiosità per paesi e borghi italiani, in cui cerco quella semplice accoglienza, quell’umanità, che sia pure solo in un bar o in una trattoria, ricorda l’autenticità della differenze che un paese come il nostro possiede. Sono questi i luoghi in cui è possibile ancora resistere all’omologazione imposta dalla cultura egemonica. Dove sono presenti ancora tradizioni che si sottraggono alla logica dominante.
Questa è una zona del Lazio che riporta alla nostra mente tanta storia e un grande cinema e l’idea di dare vita a quest’evento non può che essere un valore nel momento in cui si intreccia con la realtà del luogo.
I festival di filosofia in Italia hanno dimostrato una grande vitalità, e non penso che siano solo ‘moda’ come qualcuno ha scritto. Vedono la partecipazione di un gran numero di persone con vite lavorative e professionali molto diverse, che cercano luoghi di incontro e di discussione, che cercano risposte, vogliono fare domande, vogliono andare oltre l’appiattimento e l’omologazione agli standard che la cultura maggioritaria, pervasa dai media opacizzati dalle volontà politiche, impongono. È dunque una bella notizia che nasca un evento che intende coniugare la cultura locale con la cultura nel senso più universale, coinvolgendo più soggetti e aprendo le porte a chi voglia partecipare. Ho proposto a Filippo Cannizzo, uno degli ideatori e organizzatori del Festival, di parlarcene per mettere a punto i focus di queste giornate.
Domanda: Di che tipo di Festival si tratta?
Risposta: Il I Festival a cui abbiamo dato vita, si è svolto nel Castello dei conti di Ceccano, sostanzialmente nasce sullo stimolo di altre realtà che in precedenza hanno costituito festival e scuole di filosofia in Italia.
Il tema che abbiamo deciso di affrontare è quello della fragilità perché nel mondo in cui viviamo che è pervaso dall’intolleranza, dall’ingiustizia e dalla sofferenza social, nello stesso tempo tutti i media, ma anche la politica, la società, ci propongono, sia alle donne che agli uomini, modelli da seguire che sono impregnati dall’odio e dalla violenza sia verbale che fisica. Tutti i giorni ci viene data notizia di episodi di bullismo, di violenza sulle donne, di discriminazione razziale, sessuale, economica. Ma ci parlano anche del male di vivere, di rapporti malati col cibo, di sfruttamento della persona sull’altra persona, dell’uomo sull’uomo. Ma davanti a tutto questo, se riflettiamo, ci rendiamo conto che l’uomo è fragile per nascita, per costituzione, l’uomo è portatore di una fragilità esistenziale e quello che lo rende fragile è proprio il rapporto con la vita stessa, con la sua caducità, la sofferenza, con l’invecchiamento… questo stato di fragilità è fisica ma anche psicologica, sentimentale, spirituale.
Oltre a questo aspetto della fragilità umana, ci siamo trovati davanti anche ad una riflessione su un altro tipo di fragilità che ci riguarda in quanto esseri umani su questo pianeta, cioè alla fragilità sociale, fragilità prodotta dalle diseguaglianze e dall’ingiustizia sociale e che riguarda in particolare i giovani, i precari, le donne, i migranti… tutto quell’arcipelago complesso di coloro che sono gli sfruttati, della povertà, degli sconfitti, finanche dei subalterni.
Di fronte a questo, abbiamo provato a dare vita, in un momento nel quale vengono meno anche i luoghi d’incontro e di dibattito, abbiamo provato a crearne uno… un luogo democratico, aperto, inclusivo e l’abbiamo chiamato Primo Festival di filosofia in Ciociaria.
D: Perché ‘primo’?
R: Lo abbiamo chiamato primo, perché non abbiamo dato vita a un’iniziativa estemporanea, bensì vogliamo provare e abbiamo provato a dare vita a un tempo e uno spazio dove incontrarsi per interrompere il ciclo perpetuo dei consumi, per essere e significare un’alternativa possibile, sociale, comunitaria. Donne e uomini che parlano insieme e si confrontano. Per questo in tutti i momenti che si sono svolti, gli incontri, le lezioni, gli spettacoli, i dibattiti, dopo l’introduzione del relatore, c’era la possibilità di intervenire, di fare domande, di parlare, confrontarsi… è questo il senso.
È stato un festival in cui abbiamo fatto dialogare la filosofia con altri linguaggi, dalla musica, al teatro, all’arte, dalla tradizione al dialetto. La filosofia è stata attraversata da ogni tipo e ogni possibile forma di cultura, tanto che abbiamo provato a sperimentare diversi tipi di incontro e di cultura, di linguaggi, anche visivi. Basti pensare alla presenza di due mostre all’interno del festival, una fotografica dal titolo “Io sono” a cura di 2.0 Fotografi, un progetto fotografico a cura di Ilaria Capogrossi e Luisa Ceccotti.
E poi c’è stata una mostra a cura di Roberto Gramiccia, intitolata “Pesanti come coriandoli”, artisti per la fragilità, che ha visto l’esposizione di opere di otto importanti artisti italiani.
D: Perché ‘di filosofia’?
R: Perché troppo spesso la filosofia oggi, nel XXI secolo, viene considerata solo come mera astrazione o una forma di erudizione ormai inutile, nel migliore dei casi, un oggetto di consumo. Noi pensiamo invece che la filosofia possa essere uno strumento di partecipazione, un progetto collettivo di riscatto e trasformazione sociale. Per questo nel nostro piccolo ci siamo impegnati in quest’esperienza. Proprio per prendere coscienza di se stessi nella relazione con gli altri esseri umani, questa è la filosofia, a questo serve. Filosofia intesa come domandare, stimolare il pensiero e la discussione per provare a contrastare il sonno della ragione che troppo spesso, nei nostri giorni, genera mostri.
Infine, abbiamo provato in questo luogo, anche per provare a creare qualcosa in un luogo diverso dalla grande città, allargando… per condividere nella provincia dove la cultura, la filosofia devono poter aprirsi, invadere i luoghi e gli spazi, non solo in grandi città. La nostra volontà di promuovere e promulgare la filosofia, è anche un tentativo di provare a costruire insieme e condividere gli antidoti alla malattia del nostro tempo: l’idea che gli altri siano una minaccia invece che possibili compagni di strada, compagni di vita.
D: E come mai il titolo “restiamo umani”?
R: Rispetto al titolo “Restiamo umani” che cita un adagio di Vittorio Arrigoni, un giornalista, pacifista e attivista nella questione palestinese, voglio chiarirne il significato. Restare umani, anche quando pare che l’umanità si perda, come diceva Vittorio Arrigoni, significa non perdere il contatto con la propria umanità e contrastare, almeno, provare a contrastare attivamente le contraddizioni che quotidianamente ci vengono imposte oltre che proposte dalle politiche economiche e sociali del nostro mondo e quindi proprio in questo senso, “Restiamo Umani”, significa restare in contatto con se stessi e non lasciarsi tramutare in abulici e apatici esseri viventi incapaci di ricordare qual è il proprio senso, il senso proprio della nostra vita dei nostri desideri delle nostre aspirazioni. E per questo pensiamo che sia necessario tornare a pensare, così come dicevano Adorno e Hannah Arendt, più in generale La scuola di Francoforte, per questo abbiamo scelto questo titolo.
È necessario tornare a pensare l’umanità come un sentimento e un sistema di diritti e di dignità di cui non deve godere solo chi è più fortunato ma appunto una condizione di vita e di cittadinanza che deve essere valida per tutti. Questo, quindi, deve aiutarci nell’affrontare la nostra vita, farci considerare la vita come una sorta di incontro con gli altri, come un aiuto a chi ha più bisogno, altrimenti si rischia di rompere qualcosa e di costruire sulle paure un mondo più ingiusto e meno sicuro, ma per tutti, non solo per alcuni.
Nel complesso, per concludere, abbiamo voluto lanciare un monito: in un mondo inferocito e pieno di indifferenza de egocentrismo, vogliamo lanciare una speranza, quindi restiamo umani nonostante tutto, nonostante la società si pervasa da intolleranza ingiustizie sociali e nonostante questo qualcosa resiste.
D: Chi ha contribuito e reso possibile l’evento?
R: Il festival è stato organizzato dall’associazione R-Esistenze, con il patrocinio della Camera del lavoro CGIL Frosinone-Latina, FLC Roma e Lazio, della provincia di Frosinone, della regione Lazio, del Comune, dell’Università degli studi di Cassino e dell’Anpi, realizzata anche grazie al contributo di altre associazioni. Abbiamo cercato di coinvolgere il più possibile, l’Arci locale, gli autori delle mostre, Birdland, l’Associazione Cultores Artium che si occupa delle visite al Castello, grazie a loro questa bellezza nel cuore della Ciociaria, può essere visitata.
Abbiamo concluso questi giorni con la presenza di circa mille persone nel corso di 3 giorni, 15 lezioni di filosofia, tre spettacoli teatrali, uno musicale, due mostre, numerosi interventi musicali e poetici all’interno delle lezioni, hanno consentito uno scambio per uscire dalle dinamiche che cercano di circoscrivere le possibilità di confronto di dialogo e di aperture dal punto di vista culturale.
Questo festival è andato ben oltre le nostre aspettative, grazie all’entusiasmo dei tanti e delle tante, per cui abbiamo deciso che gli atti di questi giorni saranno pubblicati e che il prossimo anno ci sarà la seconda edizione. Il tema della prossima edizione verrà scelto da parte di chi ha partecipato a questa edizione, infatti ognuno ha potuto compilare una scheda dove poteva fare una proposta; nei prossimi giorni andremo a leggerle e proveremo a scegliere un altro tema per il prossimo Festival della filosofia in Ciociaria.