Concepito e redatto nella seconda metà degli anni ’30, Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica fu dato alla stampa nel 1948 dopo aver subito “una profonda revisione”, secondo quanto testimonia lo stesso György Lukács nella Prefazione all’edizione del 1954. Nel frattempo, con la rinascita di Hegel in Francia, inaugurata da J. Wahl e proseguita negli anni ’30 da A. Koyré e da A. Kojève, veniva confermata e ulteriormente sviluppata da J. Hyppolite la linea interpretativa umanistico-esistenziale del pensiero di Hegel [1]. Lukács, nella citata Prefazione, non ritiene necessario modificare alcunché del suo lavoro dopo i tentativi francesi di “modernizzare” Hegel, in quanto li considera una variante interna delle interpretazioni irrazionalistiche in voga nel periodo imperialistico e, quindi, oggetto ante litteram della sua critica.
In effetti, lo scopo dichiarato dell’opera lukacciana è salvare la dialettica hegeliana dalle falsificazioni cui sarebbe stata sottoposta, soprattutto a partire dalla monografia di Dilthey: Storia della giovinezza di Hegel (1905). Quest’ultima, insieme all’edizione degli Scritti teologici giovanili (1907) curata dal discepolo di Dilthey H. Nohl, ha segnato una svolta negli studi hegeliani del Novecento, rilevando l’importanza del momento della formazione e della genesi per la comprensione del pensiero maturo di Hegel, ma avvalorando altresì la tesi di uno Hegel “romantico e mistico”, interpretato secondo i princìpi delle correnti “vitalistiche” diffuse all’inizio del secolo.
Sottoporre a esame la produzione giovanile di Hegel, seguendo l’evoluzione del suo pensiero lungo le varie fasi fino alla definitiva maturazione nella Fenomenologia dello spirito, significa per Lukács ricostruire modi e contenuti dell’acquisizione del metodo dialettico. La questione è d’importanza fondamentale, dal momento che l’intento lukacciano è quello di stabilire una sostanziale continuità tra Hegel e Marx, che passa attraverso l’eredità di quanto c’è di più progressivo e innovativo nella filosofia del primo, e segnatamente della dialettica. E infatti, se la logica dialettica è frutto del pensiero speculativo e funge da schema presupposto entro il quale vengono volta per volta costretti i contenuti – secondo la sequenza triadica di posizione, negazione, negazione della negazione –, allora essa risulta inservibile per il materialismo storico, a causa del suo carattere mistico e aprioristico; ma tutto cambia se la sua origine e i suoi sviluppi scaturiscono dal confronto serrato con i contenuti storici e se la contraddizione logica, che ne è l’anima, non è una costruzione arbitraria di Hegel, ma riflette il carattere contraddittorio della realtà storico-sociale, a cui egli si collega direttamente fin dagli anni giovanili: in questo caso non c’è chi non veda il suo valore inestimabile per la genesi del pensiero di Marx. È questo l’assunto fondamentale che muove la ricerca di Lukács e che ne determina l’impianto complessivo insieme all’interpretazione dei singoli momenti dello sviluppo filosofico di Hegel.
La fecondità rivoluzionaria della dialettica hegeliana e la giustificazione della sua eredità in Marx possono essere rivendicate da Lukács soltanto a condizione che egli dimostri la genesi storico-sociale delle categorie logiche, vale a dire che Hegel abbia penetrato a fondo nell’essenza della società borghese e ne abbia individuato, in maniera sempre più ampia e consapevole, le determinazioni concrete finché non siano diventate costitutive della sua filosofia. Da qui la posizione di assoluta preminenza assegnata a Hegel nella comprensione della società capitalistica; infatti, per Lukács, egli è stato l’unico in Germania a occuparsi esplicitamente e direttamente dei problemi sorti con lo sviluppo capitalistico, svolgendoli filosoficamente sulla base delle grandi conquiste attuate dalla cultura tedesca nell’epoca di Goethe. Così si esprime Lukács a tale proposito: “Hegel ha non solo quella che è senz’altro in Germania la più alta e più giusta comprensione dell’essenza della Rivoluzione francese e del periodo napoleonico, ma è nello stesso tempo il solo pensatore tedesco che si sia occupato seriamente dei problemi della rivoluzione industriale in Inghilterra; il solo che abbia messo i problemi dell’economia classica inglese in rapporto coi problemi della filosofia, coi problemi della dialettica. [...] questo confronto determina l’intera struttura del suo sistema, la qualità e la grandezza della sua dialettica. Proprio qui risiede una delle ragioni principali della sua superiorità filosofica, della sua superiorità dialettica sui suoi contemporanei” [2].
Tutto ciò non è dovuto al caso ma alla formazione originale di Hegel come filosofo, al fatto che, a differenza di Schelling, non si sia occupato immediatamente di questioni teoretiche confrontandosi direttamente con Kant e con Fichte; invece egli fece propri i bisogni del suo tempo e i suoi sforzi conoscitivi si indirizzarono anzitutto alla decifrazione del senso dell’evento epocale, che nel 1789 segnò il destino futuro dell’Europa, e cioè la Rivoluzione francese. L’entusiasmo per gli avvenimenti rivoluzionari – condiviso da Hegel con la giovane generazione intellettuale tedesca e, principalmente, con Schelling e Hölderlin, suoi compagni di studi nello Stift di Tubinga – fa da sfondo alla sua formazione filosofica e, se l’esaltazione iniziale si raffreddò nel tempo per dar luogo a una riflessione più attenta e a un giudizio più maturo, tuttavia il riferimento positivo alla Rivoluzione francese lo accompagnò in tutto l’arco di sviluppo del suo pensiero.
Il suo interesse precipuo è quindi, per Lukács, la comprensione del presente al fine di orientarsi in esso e spiarne le possibili conseguenze sull’arretratezza della Germania. Sotto questo rispetto sono fuori posto tutte le interpretazioni che puntano sul teologismo di Hegel, come altrettanto fuorviante è il titolo dato da Nohl ai suoi inediti giovanili. La centralità del tema religioso negli scritti giovanili scaturisce piuttosto dal carattere pratico della sua filosofia; infatti, nel passaggio storico dalla religione greca al cristianesimo, nel quale la prima appare come espressione della libertà politica goduta dal cittadino della polis, e la seconda come religione positiva adatta a un popolo che ha perso la libertà, Hegel ha individuato il nodo storico che è all’origine della scissione del mondo moderno.
La netta contrapposizione tra questi due momenti storici si risolve tutta a favore dell’antichità classica e della sua religione, che Hegel prende a modello cui ispirarsi per agire sul presente in vista della sua trasformazione. La nostalgia della Grecia, che è un topos largamente circolante nella cultura dell’epoca, non è quindi motivata da un interesse genericamente umanistico, ma nasce dalla profonda esigenza, avvertita da Hegel, di rinnovamento politico della Germania: “il problema storico del giovane Hegel è quello di delineare concretamente, nell’antichità, il soggettivismo democratico della società nella sua forma più alta e più sviluppata, e di descrivere poi a fosche tinte la fine di questo mondo, l’origine del periodo morto, dispotico, inumano della religione positiva, per ottenere da questo contrasto la prospettiva della liberazione futura. La contrapposizione di antichità e cristianesimo, di religione soggettiva e positiva, è quindi, nel periodo bernese, la base della filosofia politica del giovane Hegel” [3].
Il criterio interpretativo, che permette a Hegel di identificare la religione antica con la soggettività libera e il cristianesimo con la morta oggettività, è il principio di autonomia della morale kantiana. Mentre nella polis greca l’autonomia morale del singolo cittadino coincide con la collettività democratica – a cui corrisponde il carattere soggettivo e popolare della religione (Volksreligion) –, nel cristianesimo il soggetto, che non è più cittadino ma uomo privato (Privatreligion), si trova di fronte a un insieme ossificato di norme che gli sono imposte dall’esterno (la positività) e a cui deve obbedienza (l’eteronomia morale) perché egli vive in uno stato di illibertà e di dispotismo [4]. A Lukács preme sottolineare inoltre l’originalità del kantismo adottato da Hegel: il principio della libertà e dell’autonomia morale è, anzitutto, applicato a un soggetto collettivo e in ambito storico, per cui finisce per assumere un significato nettamente politico-sociale: “il dovere ha qui un significato puramente politico-sociale, il suo carattere morale costituisce solo la generale base idealistica. A ciò si aggiunge che il contrasto di dovere ed essere ha luogo qui, non già, come in Kant, nella psiche individuale dell’uomo singolo, tra io empirico e io intelligibile, ma fra tendenze progressive e reazionarie nella stessa vita politico-sociale” [5].
La positività, introdotta nel mondo con il venir meno della libertà, investe l’intero corso storico fino a oggi e “compenetra tutte le manifestazioni della vita sociale e delle ideologie” [6]. Si determina così un’opposizione radicale tra mondo della libertà e mondo della morta oggettività che, secondo Lukács, rappresenta da parte di Hegel l’originale elaborazione in senso storico-sociale del dualismo kant-fichtiano. In quest’ultimo la scissione che attraversa il soggetto, separando sfera noumenica e sfera fenomenica dell’io, assurge a condizione eterna dell’uomo; nel caso di Hegel invece “questo non è un contrasto «eterno», un contrasto filosofico, gnoseologico, come in Kant e nei suoi successori; ma un contrasto storico. È il momento storicamente caratteristico del Medioevo e dell’età moderna; ma non è esistito nelle repubbliche democratiche cittadine dell’antichità, e la prospettiva della sua abolizione costituisce il nocciolo delle speranze che il giovane Hegel ripone nell’avvenire” [7].
Per tutto il periodo di Berna la positività conserverà per Hegel il carattere di una uniforme realtà storica rigidamente antitetica alla condizione di libertà goduta nel mondo greco; soltanto allorquando essa gli si rivelerà come intrinsecamente e oggettivamente contraddittoria, i problemi storici si trasformeranno in problemi teoretici e comincerà a emergere sempre più consapevolmente in Hegel la necessità di una fondazione filosofica che sfocerà nella conquista della dialettica. Nonostante questi limiti, la positività, che è il concetto centrale del periodo bernese, ha un rilevo non secondario nella formazione di Hegel: “nella forma fin qui raggiunta dalla filosofia hegeliana, nella contrapposizione di attività e libertà soggettiva e oggettività morta, positività, è contenuta in germe una questione centrale della dialettica hegeliana successiva e pienamente sviluppata: la questione che Hegel designa in seguito col termine «alienazione» e in cui – secondo le tesi successive, fattesi generali e sistematiche, di Hegel – è compreso l’intero problema dell’oggettività, nel pensiero, nella natura e nella storia. Si pensi solo al fatto che secondo la filosofia hegeliana successiva l’intera natura è concepita come un’alienazione dello spirito” [8].
Note:
[1] La Hegel-Renaissance in Francia si apre con il famoso saggio La coscienza infelice e la filosofia di Hegel (1929) di J. Wahl, per poi arricchirsi dei contributi degli studi di Koyré e delle celebri lezioni tenute da Kojève all’Ecole pratique des hautes études nel corso degli anni ’30. Nell’immediato dopoguerra J. Hyppolite pubblica il commento alla Fenomenologia dello spirito e avanza l’interpretazione umanistica di Hegel nel saggio del 1947 Situazione dell’uomo nella fenomenologia hegeliana.
[2] Lukács, György, Der junge Hegel und die Probleme der kapitalistischen Gesellschaft (1948), Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica, traduz. di Solmi, R., Einaudi, Torino 1975, p. 21.
[3] Ivi, p. 67.
[4] Cfr. ivi, pp. 50-1.
[5] Ivi, p. 42.
[6] Ivi, p. 51.
[7] Ivi, p. 55.
[8] Ivi, pp. 120-21.