A parere di Vladimir I.U. Lenin i rivoluzionari sono tali solo in quanto si dimostrano in grado di dare una direzione consapevole ai movimenti di massa. Da qui tutta l’importanza per i rivoluzionari di lavorare all’interno dei sindacati: “pur mantenendo la necessaria cautela e gradualità, pur evitando di fare qualsiasi passo affrettato e malaccorto, noi dobbiamo indefessamente lavorare nei sindacati, ispirandoci a un sempre più stretto avvicinamento tra di essi e il partito” [1] rivoluzionario. Perciò Lenin polemizza aspramente con i gruppuscoli di pseudo-rivoluzionari incapaci di essere una avanguardia riconosciuta dai movimenti di massa e, in primis, dalla classe operaia: “questi tipi sono caratteristici, come residui delle formazioni storiche di ieri, dei tempi in cui il movimento operaio di massa in Russia dormiva ancora, e ogni gruppetto poteva «liberamente» farsi passare per una corrente, gruppo o frazione, in una parola per una «potenza» che discute di unità con le altre” [2].
Per prendere le distanze nel modo più netto da tali posizioni, Lenin difenderà a spada tratta la Rivoluzione d’ottobre dall’accusa di essere paragonabile a un colpo di Stato blanchista e di avere alle proprie basi una concezione puramente utopista: “chi vuole invece riflettere e imparare non può non capire che il blanquismo è la presa del potere da parte di una minoranza, mentre i Soviet dei deputati operai, ecc. sono notoriamente l’organizzazione diretta e immediata della maggioranza del popolo. Un’azione ricondotta alla lotta per assicurare la propria influenza all’interno dei Soviet non può, non può assolutamente, portare nel pantano del blanquismo. E non può condurre neanche nel pantano dell’anarchismo” [3]. A maggior ragione Lenin non intende affatto forzare soggettivisticamente, utopisticamente le condizioni storiche passando immediatamente dal dominio assolutista a una dittatura operaia, ma intendeva sostituire al governo borghese sorto con la Rivoluzione di febbraio un governo dei Soviet “dei deputati degli operai, dei salariati agricoli, dei soldati e dei contadini”, in cui predominano, dunque, “i contadini, i soldati, predomina la piccola borghesia, per usare un termine marxista, scientifico” [4]. Si tratta di una posizione diametralmente opposta a quella anarcoide e populista di sinistra: “i socialisti-rivoluzionari ingenuamente non s’accorgono che la loro inclinazione per il terrorismo è legata, con il più stretto nesso causale, al fatto che essi sin dall’inizio erano, e continuano a rimanere, staccati dal movimento operaio e nemmeno cercano di divenire il partito della classe rivoluzionaria che conduca la lotta di classe” [5].
Tanto più che, a parere di Lenin, il socialismo non è concepibile senza democrazia, dal momento che la lotta per la realizzazione dei diritti democratici è propedeutica alla lotta per la transizione al socialismo. La stessa Rivoluzione proletaria “non potrà consolidare la sua vittoria e condurre l’umanità verso l’estinzione dello Stato se non avrà realizzato integralmente la democrazia” [6]. D’altra parte il socialismo realizza gli ideali democratici proclamati e costantemente traditi dalla borghesia, consentendo alle masse sfruttate, alienate dal lavoro salariato e passivizzate politicamente, di riappropriarsi dei mezzi di produzione e sussistenza per poter partecipare attivamente alla gestione dello Stato. I diritti democratici destinati a rimanere formali nel sistema borghese trovano la loro realizzazione sostanziale nel socialismo: la libertà di stampa, per esempio, “cessa di essere un’ipocrisia, perché le tipografie e la carta vengono tolte alla borghesia. Lo stesso accade con i migliori edifici, palazzi, ville, dimore signorili. Il potere sovietico ha requisito subito agli sfruttatori migliaia di questi edifici e ha reso così un milione di volte più «democratico» il diritto di riunione per le masse, quel diritto di riunione senza il quale la democrazia è un inganno” [7].
D’altra parte Lenin è cosciente che la democrazia non sarà certo realizzabile per decreto, ma solo mediante un processo che si dispiega lungo l’arco dell’intera transizione al socialismo. La realizzazione di democrazia e socialismo procederanno di pari passo, ma non lungo un percorso lineare, privo di battute d’arresto, dal momento che la transizione non potrà compiersi in un solo paese costantemente sotto assedio delle potenze imperialiste e, dunque, costretto a vivere un perenne stato d’eccezione. Perciò, per esempio, occorreva approntare le condizioni per la guerra rivoluzionaria non lasciarvisi in modo sentimentale: “noi ci orientiamo verso un trattato svantaggioso e una pace separata sapendo che adesso non siamo ancora pronti alla guerra rivoluzionaria, che bisogna sapere aspettare (come abbiamo aspettato, sopportando il giogo di Kerenski, sopportando il giogo della nostra borghesia, dal Luglio all’ottobre), aspettare finché non saremo più forti. Perciò, se è possibile avere una pace separata arcisvantaggiosa, bisogna assolutamente accettarla nell’interesse della rivoluzione socialista, che è ancora debole (poiché non c’è ancora venuta in aiuto, a noi russi, la rivoluzione che sta maturando in Germania)” [8]. Perciò, in quella determinata situazione, era secondo Lenin necessario firmare una pace per quanto inadeguata, proprio per poter preparare in modo adeguato le condizioni per una guerra rivoluzionaria: “tutta la sostanza delle mie tesi e dei miei argomenti (come può vedere chiunque voglia leggere attentamente le mie tesi del 7 gennaio 1918), consiste nell’indicare la necessità di accettare una pace estremamente gravosa ora, in questo momento, preparando seriamente al tempo stesso la guerra rivoluzionaria (e anzi appunto nell’interesse di questa seria preparazione)” [9]. Perciò, ritenere qualunque pace con gli imperialisti una resa, significa per Lenin credere che il socialismo potrebbe vivere solo rifugiandosi sulla luna: “forse gli autori ritengono che gli interessi della rivoluzione internazionale vietino qualunque pace con gli imperialisti? (…) La repubblica socialista, attorniata dalle potenze imperialistiche, non potrebbe, se ci si mette dal punto di vista di siffatte idee, concludere nessun trattato economico, non potrebbe esistere senza prendere il volo verso la luna” [10].
Allo stesso modo si può favorire la rivoluzione mondiale solo se si tengono presenti le proprie forze effettive: “in realtà gli interessi della rivoluzione internazionale esigono che il potere sovietico, il quale ha rovesciato la borghesia nel paese, aiuti questa rivoluzione, ma scegliendo una forma di aiuto corrispondente alle sue forze” [11]. Perciò Lenin non può che criticare chi, preso dallo sconforto dinanzi alle contraddizioni reali, arriva a invocare una guerra rivoluzionaria avventurista, in quanto priva di concrete possibilità di vittoria. Tali posizioni erano giustificate sostenendo che gli imperialisti tedeschi imponendo un tributo e impedendo ai sovietici “di far propaganda e agitazione contro la Germania, avrebbero fatto perdere al “poter sovietico ogni significato”, sino a farlo diventare “«puramente formale»” [12]. Al contrario, sottolinea Lenin, “i francesi nel 1793 non avrebbero mai detto che le loro conquiste, la repubblica e la democrazia, stavano diventando puramente formali, che bisognava ammettere l’eventualità di perdere la repubblica. Essi non erano pervasi dalla disperazione, ma dalla fede nella vittoria” [13]. Perciò Lenin ricorda l’esempio della Prussia che ha firmato la pace con Napoleone a condizioni terribili, pur di rafforzare le proprie istituzioni e il suo esercito: “perché le più dure sconfitte militari subite nella lotta contro i colossi dell’imperialismo contemporaneo non potrebbero temperare anche in Russia il carattere del popolo, rafforzare l’autodisciplina, spazzar via la millanteria e l’amore della frase, insegnare la fermezza, condurre le masse a adottare la stessa giusta tattica dei prussiani schiacciati da Napoleone: firma pure i trattati di pace più obbrobriosi quando non hai un esercito, raccogli le forze e poi sollevati e risollevati sempre di nuovo?” [14].
Note:
[1] Vladimir I.U. Lenin, Il congresso internazionale socialista di Stoccarda [settembre 1907], in Id., Contro l’opportunismo di destra e di sinistra e contro il trotskismo, Edizioni progress, Mosca 1978, p. 84.
[2] Id, Come si viola l’unità gridando che si cerca l’unità [maggio 1914], in op. cit., p. 229. Interessante quanto osserva, a tal proposito, Lenin criticando la stampa pseudo rivoluzionaria di gruppuscoli di intellettuali, allora in esilio, privi di legami organici con la massa dei lavoratori: “la «rivista operaia» di Trotski è la rivista pubblicata da Trotski per gli operai, perché in essa non vi è traccia alcuna né d’iniziativa operaia né di collegamento con le organizzazioni operaie” ivi, p. 208.
[3] Id., Lettere sulla tattica [aprile 1917], in op. cit., p. 309.
[4] Ivi, pp. 307-08.
[5] Id., Avventurismo rivoluzionario [Agosto-settembre 1902], in op. cit., p. 48.
[6] Id., Intorno a una caricatura del marxismo e all’economismo imperialistico [agosto-ottobre 1916], in op. cit., p. 283.
[7] Id., La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky [novembre 1918], in op. cit., p. 398.
[8] Id., Sulla frase rivoluzionaria [febbraio 1918], in op. cit., p. 368.
[9] Id., Stano e mostruoso [16 febbraio 1918], in op. cit., p. 374.
[10] Ivi, pp. 375-76.
[11] Ivi, p. 376.
[12] Ivi, p. 377.
[13] Ivi, p. 378.
[14] Ivi, p. 379.