Da secoli ci si interroga sul ruolo che ha la religione nel conflitto fra chi si batte per un’ulteriore emancipazione del genere umano e chi, al contrario, in difesa dell’ordine costituito. Sia tra i primi che tra i secondi troviamo posizioni complesse e articolate, in quanto le credenze religiose possono sia favorire che contrastare, a secondo del loro diverso determinarsi, l’emancipazione del genere umano.
di Renato Caputo
Sin dal suo sorgere nella antica civiltà greca la visione scientifico-filosofica del mondo ha evidenziato le origini antropologiche del fenomeno religioso, rovesciando così il punto di vista della più antica visione mitologico-religiosa per cui gli uomini sarebbero il prodotto di forze divine. Così già tra la fine del VI e l’inizio del V secolo a. C., Senofane denunciava: “gli etiopi dicono che i loro déi sono camusi e neri, i traci che sono rossi di capelli (…) ma se buoi, cavalli e leoni avessero le mani e sapessero disegnare (...) i cavalli disegnerebbero gli déi simili a cavalli e i buoi gli déi simili a buoi”.
Del resto la constatazione delle differenti credenze religiose sviluppate dai diversi popoli portava già nell’antica Grecia allo sviluppo di posizioni agnostiche, secondo le quali non esistendo un criterio di giudizio assoluto per sostenere quali di esse fossero vere e quali false, e più in generale se fosse fondata la credenza in potenze divine, era meglio occuparsi di questioni maggiormente concrete e più utili alla vita umana. Così, ad esempio, un grande pensatore democratico come Protagora sosteneva: “quanto agli dei non sono in grado di sapere né che esistono né che non esistono, né di che aspetto sono: molte cose impediscono di saperlo, l’oscurità della cosa e la brevità della vita umana”.
Del resto la lotta contro le tradizionali visioni del mondo mitologico-religiose era una lotta che accumunava diversi intellettuali democratici, che sostenevano la superiorità del criterio razionale per dirimere le controversie fra gli uomini, rispetto agli oligarchi che rivendicavano i puri rapporti di forza, o la superiorità della tradizione, su cui si fondava il loro potere.
D’altra parte già nel mondo antico erano presenti posizioni che ritenevano le credenze religiose, riformulate in modo razionale, uno strumento indispensabile per poter sviluppare un governo antioligarchico, in quanto a questo scopo era necessario avere il consenso dei subalterni, costretti dalla divisione del lavoro a svolgere lavori manuali e, quindi, non in grado di comprendere il mondo con gli strumenti scientifico-filosofici. Così sia intellettuali che si battevano per la democrazia, come Empedocle, sia intellettuali che miravano a una società proto-comunista come i pitagorici o Platone, consideravano lo sviluppo di credenze mitologico-religiose razionali, di contro a quelle irrazionali della tradizione, uno strumento essenziale della lotta all’oligarchia.
D’altra parte i massimi pensatori oligarchici, come Crizia, facevano già nel mondo antico professione di ateismo, sostenendo che la religione è solo un instrumentum regni, uno strumento del dominio dei ceti superiori istruiti sulle masse ignoranti dei lavoratori manuali. Visto che le leggi da sole non bastavano a tutelare gli interessi dei più ricchi e potenti dalla volontà di rivalsa dei subalterni, era stato necessario – per meglio difendere l’ordine costituito – inventarsi un controllore divino in grado di cogliere in fallo chi viola la legge anche in assenza di un umano tutore dell’ordine. D’altra parte proprio perché la legge è stata inventata al fine di eternizzare lo status quo, ossia gli attuali rapporti di proprietà e di forza favorevoli agli oligarchi, è chiaro che alla legge, come alla religione devono credere e rimanere fedeli solo gli ignoranti subalterni. Al contrario i ricchi e potenti non dovrebbero mai dimenticare che tali leggi e credenze religiose sono state elaborate proprio a difesa dei loro privilegi e, dunque, non possono essere di ostacolo all’utilizzo della violenza, quando questa sia utile a questo stesso scopo.
Anche nel mondo moderno le posizioni sulla funzione della religione, nel conflitto che oppone i fautori della necessità di sviluppare ulteriormente l’emancipazione umana e chi al contrario si batte per la tutela dell’ordine costituito, risultano articolate.
Abbiamo così il più reazionario fra i grandi pensatori moderni, che è anche il più grande fra i pensatori che si battono per la difesa dell’ordine costituito, F. Nietzsche che definisce la religione uno strumento essenziale della morale degli schiavi, alla quale contrappone l’etica dei signori. La religione sarebbe stata elaborata dalla componente meno forte della classe dominante, che non potendo primeggiare con la forza fisica, simbolo di salute, avrebbe cercato di prevalere con la ragione, rifugio di chi è inferiore per natura. In tal modo avrebbero dato a credere che la realtà esistente, fondata sugli attuali rapporti di forza, non è il migliore dei mondi possibili, in quanto al di sopra del mondo reale in quanto tale ingiusto, vi sarebbe un mondo divino in cui gli oppressi sarebbero in qualche modo stati riscattati. Da qui la critica di Nietzsche alla religione, che si inserisce in una critica più in generale agli intellettuali e in una più in particolare alla filosofia razionale, che avrebbe appunto avuto la pretesa sovversiva di razionalizzare il mondo. Lo sviluppo della religione avrebbe portato a una religione potenzialmente sovversiva come la cristiana, che mira a un regno divino in cui gli ultimi saranno i primi e in cui i ricchi e potenti difficilmente troveranno posto.
D’altra parte però, tale concezione è anche utile alla classe dominante, in quanto promette ai subalterni di essere i primi nel regno di dio solo se rimarranno tali nell’unico mondo reale, rispettando l’ordine sociale in quanto fondato sulla volontà divina, che non può che realizzare il migliore dei mondi possibili. Dunque, è necessario che i subalterni continuino a credere, mentre è indispensabile che non lo facciano le classi dominanti, altrimenti la religione da instrumentum regni diverrebbe un ostacolo, un inutile freno moralistico al pieno dispiegamento della loro volontà di potenza.
Dal punto di vista dei pensatori moderni progressisti troviamo in primis la posizione di Hegel, per la quale la religione in quanto prodotto dello spirito umano, avrebbe svolto una funzione decisamente progressiva nel corso storico, fino a quando gli uomini non sono stati in grado di elaborare una visione del mondo scientifico-filosofica. Per cui nell’epoca moderna la religione potrebbe svolgere una funzione ancora progressiva per l’educazione di uomini ancora incapaci di elaborare una comprensione del mondo scientifico-filosofica.
Sviluppando la riflessione di Hegel e Feuerbach sulla religione, Marx interpreta la religione come forma di alienazione, per cui l’uomo avrebbe proiettato, inconsapevolmente, nel suo dio le proprie caratteristiche migliori, per cui come il feticcio creato da un popolo per difenderlo dalle potenze della natura finiva per soverchiarlo, così la religione finisce per mantenere una parte significativa della popolazione in uno stato di alienazione funzionale al mantenimento dello status quo. Per cui la religione è certo una forma di protesta sociale contro le ingiustizie del mondo reale, ma essendo inconsapevole finisce per rinviare la soddisfazione per le ingiustizie subite in questo mondo in un altro mondo fittizio, divenendo così un oppio per il popolo.
D’altra parte, però, secondo Marx è la miseria reale che rende necessario, per poterla sopportare, il ricorso agli oppiacei. Per cui la lotta contro la religione condotta dai radicali piccolo borghesi, scambiando la causa per l’effetto, finisce per voler vanamente negare, come fanno oggi i proibizionisti, una via di fuga fittizia a un problema reale che lasciano irrisolto. In questo modo, il loro progetto utopista mirerebbe inconsapevolmente a togliere al popolo anche quella dose di autoalienazione necessaria a sopportare una vita fatta di miseria e sfruttamento.
Da questo punto di vista, sviluppando la riflessione di Marx sulla religione, E. Bloch invita a non buttare con l’acqua sporca anche il bambino. Quest’ultimo sarebbe lo spirito dell’utopia che si esprimerebbe nelle credenze religiose rielaborate dal punto di vista dei subalterni, i quali scoprendo che nel regno di dio non esistono né servi né signori si batterebbero sin da ora, in nome di questa credenza, contro la servitù, in quanto questa non solo non sarebbe fondata sulla volontà divina, ma a essa antitetica. L’acqua sporca sarebbe invece la concezione della religione come instrumentum regni, come oppio del popolo, reso funzionale alla salvaguardia dell’ordine costituito. Così il marxismo per essere realmente una filosofia rivoluzionaria dovrebbe superare dialetticamente il pensiero religioso, conservandone la carica utopista e togliendone il guscio mistico, che rende tale aspirazione un mero dover essere.
Dobbiamo, infine, richiamare, quanto meno, la riflessione di Gramsci sulla religione quale forma di egemonia che una compagine statuale sviluppa all’interno della propria società civile, in modo che la classe dominante possa mantenere i propri privilegi con il consenso dei subalterni che sfrutta. Se da tale punto di vista è evidente la funzione conservatrice della religione, è al contempo vero che Gramsci ritiene che il partito dei subalterni, nell’occidente capitalista, potrà conquistare il potere politico solo dopo aver sfidato con successo l’alta borghesia nella lotta per l’egemonia sugli strati intermedi all’interno della società civile. Da questo punto di vista il principe moderno come dovrà conquistare alla sua causa gli intellettuali, i mezzi di comunicazione, i sindacati e partiti politici, allo stesso tempo dovrà conquistare l’egemonia anche sul piano delle credenze mitologico-religiose.
Si tratta in altri termini di una rielaborazione della riflessione di J. J. Rousseau sulla necessità di elaborare una concezione politica e popolare della religione, essenziale nella lotta contro un potere costituito oligarchico. Tale concetto, però, può essere intesto in modi differenti. Ad esempio nel corso della Rivoluzione francese i democratici radicali provarono a sostituire alle credenze tradizionali, schierate con la reazione, delle credenze razionali fondate sul culto della ragione. In altri contesti, dai settori più radicali della teologia della liberazione in America latina, alla rivoluzione iraniana, si è tentato di rielaborare in senso rivoluzionario la religione tradizionale, per farne uno strumento di mobilitazione di masse popolari arretrate.
In quest’ultimo caso, secondo una concezione improntata al materialismo storico, è da un’analisi oggettiva del livello culturale dei ceti sociali di riferimento che dipende l’adozione in funzione rivoluzionaria di una concezione più o meno filosofico-razionale della religione. Dovendo essere il marxismo una filosofia della prassi, saranno proprio le esigenze poste nei diversi contesti storico, sociali e culturali da quest’ultima a suggerire quale rapporto debba svilupparsi fra filosofia e religione.