Il dissolvimento dell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche ha indubbiamente segnato, sul piano della storia universale, il progetto del rilancio su scala internazionale dell’imperialismo – dopo la battuta d’arresto subita, proprio a opera dell’Urss, del tentativo compiuto da nazisti e fascisti di riproporlo, insieme a schiavismo e razzismo, su scala globale. In altri termini, dall’inizio degli anni novanta, con le aggressioni imperialiste a Panama e Iraq, le forze della restaurazione liberista portano avanti un progetto neocolonialista volto a riconquistarsi quel ruolo di dominio a livello internazionale messo in discussione prima dalle rivoluzioni socialiste, a partire dalla Rivoluzione di ottobre, e poi a causa delle rivoluzioni anti-coloniali degli anni ‘50, ‘60 e ‘70 oggettivamente spalleggiare dai grandi movimenti sociali di massa sviluppatisi in quei decenni negli stessi paesi a capitalismo avanzato.
I tentativi di reimporre una forma di colonialismo classico, messi in atto con l’aggressione imperialista all’Afghanistan e la sedicente seconda guerra del Golfo, per prendere il controllo diretto di postazioni di grande importanza dal punto di vista geopolitico e riassumere il dominio su risorse energetiche di importanza capitale, sono nei fatti falliti, grazie alla strenua resistenza dei popoli contro cui si esercitava l’occupazione, tanto che i Quisling locali, imposti dagli occupanti, sono sempre più deboli e ininfluenti.
D’altra parte, l’affermazione delle forze della controrivoluzione nei paesi appartenenti al blocco sovietico ha segnato la controffensiva sul piano internazionale delle forze conservatrici e reazionarie, in lotta le prime contro l’emancipazione del genere umano, mentre le seconde si battono per la disemancipazione di quest’ultimo. In tal modo, a livello globale, si è assistito a una controffensiva contro le conquiste in termini di emancipazione delle donne dalla schiavitù domestica e dei diritti sociali ed economici – divenuti d’attualità a livello internazionale grazie alla spinta propulsiva della Rivoluzione di ottobre, al punto che oggi è a rischio la salvaguardia degli stessi diritti civili negli stessi paesi a capitalismo avanzato.
A dimostrazione di quanta nuova forza abbiano accumulato le forze che si battono per la disemancipazione del genere umano dopo la dissoluzione dell’Urss, si pensi come il processo di rilancio del dominio imperialista su scala internazionale abbia potuto presentarsi come uno scontro di civiltà globale o addirittura come una nuova crociata religiosa contro gli infedeli musulmani. Si consideri, inoltre, come lo stesso avamposto del dominio colonialista dell’imperialismo sul terzo mondo in Palestina abbia conosciuto, dopo la dissoluzione dell’Urss, un processo regressivo apparentemente inarrestabile sotto tutti i punti di vista: economico-sociale, civile, politico, militare, culturale, morale e intellettuale, tanto da non avvertire più nemmeno l’esigenza di dover occultare il regime di apartheid imposto alla maggioranza degli autoctoni.
Particolarmente grave è divenuta la situazione nei paesi ex-socialisti dell’Europa orientale e delle repubbliche ex-sovietiche, dove le forze controrivoluzionarie proseguono la loro controffensiva volta a cancellare il gigantesco processo di emancipazione apertosi con i tentativi di realizzare in questi paesi la transizione a un sistema socialista. In tali nazioni, anche astraendo dall’enorme flusso migratorio di forza-lavoro a basso prezzo verso i paesi a capitalismo avanzato che non accenna a diminuire, la vita media della popolazione è generalmente scesa di oltre dieci anni in diversi paesi ex-sovietici. Mentre, come abbiamo visto, persino nei terribili anni trenta – in cui lo stato d’assedio a livello internazionale ha oggettivamente favorito le aberrazioni dello “stalinismo” – la popolazione delle Repubbliche socialiste sovietiche è cresciuta del 13%. Al contrario, solo nei primi quindici anni in cui la controrivoluzione ha imposto le politiche liberal-democratiche capitaliste la popolazione di tali paesi è drasticamente diminuita di quasi un milione di persone l’anno.
Paradossalmente, proprio la “fine” della guerra fredda ha causato il più spaventoso decremento demografico. La pax capitalista, imposta dai provvisori vincitori, solamente nei primi sedici anni ha cancellato ben ventitré anni dello sviluppo demografico “naturale” della storia di questi paesi. Una spaventosa crisi demografica che ha come più vicino precedente il regno del sanguinario zar Nicola II, che non a caso ha favorito lo sviluppo in tali paesi del processo rivoluzionario. In altri termini, in circa quindici anni di imposizione del capitalismo la popolazione dell’Urss ha perso non meno di dieci milioni di unità, ossia un numero superiore alle perdite dovute alla spaventosa aggressione imperialista dei nazi-fascisti e dei loro alleati. Da questo punto di vista, si può rilevare che la restaurazione liberista è stata più mortifera della stessa aggressione nazi-fascista.
Più in generale, il processo di emancipazione del genere umano si è drammaticamente rovesciato sotto diversi punti di vista nel suo contrario dopo il crollo dell’Urss, tanto che oltre cinquanta paesi sono divenuti più poveri nel quindicennio di restaurazione liberista sul piano internazionale post guerra fredda e fra questi ben diciassette erano precedentemente impegnati nel processo di transizione al socialismo. Anzi, un po’ tutti i paesi del blocco sovietico, che prima dell’affermazione delle forze controrivoluzionarie erano in cima nelle classifiche degli indicatori sociali, in primo luogo per quanto riguarda istruzione, cultura e sanità, sono precipitate negli anni seguenti sempre più verso il fondo della classifica, con la significativa eccezione della Bielorussia, l’unico paese dell’ex blocco sovietico in cui è stata sconfitta la controffensiva reazionaria.
Per non parlare dell’enorme diffusione di flagelli sociali prima quasi sconosciuti nei paesi in transizione al socialismo quali la diffusione capillare della droga, della pornografia, della prostituzione, della pedofilia, della violenza giovanile, del razzismo e di tutto il corredo di inciviltà che i paesi a capitalismo avanzato si ostinano a pretendere di esportare nel resto del mondo. Dunque, al pesante tracollo demografico, alla grande ripresa dell’analfabetismo di ritorno – in paesi in cui era stato, nel giro di pochissimo tempo, sostanzialmente spazzato via – non poteva che fare da corollario un altrettanto spaventoso venir meno dei valori etici e morali. Da tale punto di vista, non può che apparire grottesco il tentativo di riabilitare la chiesa cattolica che ha svolto un ruolo decisivo nel crollo del blocco sovietico e, più in generale, nella lotta al socialismo, quale avamposto dei valori etico-morali.
Del resto tale destino era iscritto proprio nei “valori” che le forze controrivoluzionarie agitavano in Urss per determinare il crollo di uno Stato che, per quanto degenerato, si fondava ancora sui valori di eguali opportunità sociali, di libertà dallo sfruttamento e dall’alienazione del lavoro salariato, di fratellanza fra i popoli. In effetti, contro tali alti e nobili ideali – certo sempre più formali e astratti nei paesi del blocco sovietico – le forze che lottavano per la restaurazione del dominio borghese si richiamavano agli istinti più beceri e bassi dell’uomo: l’individualismo egoista che si riconosce nella sola legge della giungla, lo sciovinismo, la sete di profitto privato mediante lo sfruttamento del lavoro. Del resto, un sistema sociale come quello dei paesi del blocco sovietico, fondato sulle pari opportunità e la fratellanza dei popoli, non appariva tollerabile per chi si batte contro l’emancipazione del genere umano.
Del resto le forze che si battevano per la disemancipazione del genere umano, nascondendo per qualche tempo la propria avidità e desiderando lucrare in modo parassitario sul lavoro altrui, sono riuscite a infiltrarsi negli organi anche supremi del potere sovietico, nel momento in cui il centralismo democratico è stato sempre più sistematicamente sostituito dal centralismo burocratico, spacciato per organico. Ricorrendo a tutto l’armamentario demagogico e populista degli intellettuali reazionarie sono riusciti a far accettare ai popoli del blocco sovietico il progressivo venir meno delle proprie conquiste in termini di civiltà, giocando sul fatto che le masse erano state progressivamente passivizzate. Anzi, tali agenti della controrivoluzione – fomentando gli istinti più bassi dell’essere umano, quali l’avidità, l’invidia, il nazionalismo – hanno distrutto il progetto di unificazione delle Repubbliche socialiste sovietiche, facendo di tutto per aizzare, con il pieno sostegno dei mezzi di comunicazione di massa “liberi” del mondo imperialista, popoli (abituati da decenni a collaborare proficuamente) a scontrarsi in conflitti di natura etnica o addirittura religiosa. In tal modo, il processo di civilizzazione di praticamente tutti questi popoli è stato ricacciato indietro dal prevalere delle forze in lotta contro l’emancipazione del genere umano.
Ma come mai, nonostante la progressiva degenerazione che ha portato esimi dirigenti dell’Urss (da Kruscev a Gorbaciov per limitarci ai casi più emblematici) a illudersi, opportunisticamente, di una possibile convivenza pacifica con l’imperialismo, la borghesia internazionale ha ancora l’esigenza di demonizzare in ogni modo l’esperienza sovietica apertasi con l’Ottobre? La risposta è nella grande paura per un evento come la conquista del potere da parte dei bolscevichi che ha concretizzato, per la prima volta su scala internazionale, quel fantasma del comunismo che almeno dal lontano 1948 tormentava i sogni dei ceti dominanti terrorizzati dalla possibilità di dover rinunciare ai propri spropositati e sempre più irrazionali privilegi. Da tale paura è sorta e ha continuato a svilupparsi sino ai nostri giorni la sistematica demonizzazione ideologica di ogni forma di socialismo, in particolare del socialismo reale, da parte delle forze che, per difendere i propri ingiusti e anacronistici privilegi, pretendono di rovesciare il processo di civilizzazione del genere umano.
Le classi dominanti sfruttatrici e parassitarie a livello internazionale hanno preteso di poter ridurre questo gigantesco balzo in avanti dello spirito del mondo, inaugurato dalla Rivoluzione di ottobre e sviluppatosi sulla sua spinta propulsiva, alla presunta follia politica o alla altrettanto presunta aberrazione individuale di singoli individui, come Lenin o Stalin, “senza accorgersi – come ha riconosciuto persino uno dei più grandi esponenti del revisionismo riformista italiano – che l’idea non avrebbe potuto trascinare le masse, se non avesse posseduto in sé i germi di una nuova morale e se il suo contenuto ideale non fosse stato così potente da poter costituire le basi di una nuova Società. La borghesia di tutti i paesi non ha voluto considerare questo contenuto morale e ideale della rivoluzione se non per negarne l’esistenza, e non ha veduto nel movimento comunista russo se non il pericolo che esso rappresentava per le vecchie concezioni di supremazia, che la minoranza parassitaria della civiltà che sta per tramontare ha sempre esercitato sulla maggioranza lavoratrice e produttrice” (F. Turati).