L’opera di Losurdo, tesa alla riscoperta e alla riutilizzazione delle radici filosofiche del marxismo, insiste a ragione sull’importanza del processo di Aufhebung, concetto chiave della dialettica hegeliana che concerne la necessità di una negazione determinata del momento precedente da cui si prendono necessariamente le mosse, un superamento dialettico che comporti, al contempo, il togliere e il tesaurizzare il momento antecedente del processo storico. Tale superamento dialettico risulta decisivo per la realizzazione della transizione al socialismo che non può porsi come negazione assoluta e astratta dei precedenti momenti progressivi della storia del mondo, ma deve essere in grado di negarli in modo determinato, eliminando i loro limiti storici e, al contempo, tesaurizzando gli aspetti ancora progressivi. Ciò vale, ovviamente, per la stessa tradizione liberale e democratica borghese e piccolo borghese che, per quanto Losurdo sottoponga a una critica radicale – risalendo, di contro all’odierna apolegetica, ai tre grandi limiti, di genere, di classe ed etnici di tale tradizione – ne mostra al contempo gli aspetti progressisti: dalle libertà dell’individuo ai diritti democratici formali sovente negati in modo astratto, in particolare, nei primi esperimenti storici di transizione al socialismo. Anzi, uno dei principali paradossi del socialismo reale è stato quello di imporre, grazie ai mutati rapporti di forza, un maggior rispetto da parte del mondo borghese dei propri stessi diritti liberaldemocratici – battendosi con grande ardore per la loro generalizzazione e universalizzazione – mentre, anche a causa del costante stato di assedio impostogli dalle potenze imperialiste, i paesi socialisti hanno spesso sottovalutato l’importanza di una loro compiuta realizzazione nella democrazia socialista.
Inoltre Losurdo è molto attento nel cogliere ed evidenziare, di contro alla propaganda dell’ideologia dominante, la capacità di tesaurizzare, limitando i danni della precedente negazione astratta, tali aspetti progressisti della precedente civiltà storica, da parte dei principali teorici e dirigenti del movimento comunista internazionale e dei paesi del socialismo reale. Paradossalmente, però, Losurdo è molto abile nel rintracciare tale capacità di superamento dialettico (di contro alla leggenda nera costruita ad arte per demonizzare ogni forma di socialismo reale) nell’età staliniana e nella Repubblica popolare cinese post maoista – epoche che non hanno certo brillato per la capacità di rivalorizzare una teoria e una prassi dialettiche – mentre ha astrattamente negato ogni validità ai tentativi di tesaurizzazione pur compiuti nei paesi dell’est europeo nell’epoca post staliniana.
Anche in tal caso, la giusta esigenza di criticare la negazione non dialettica, ma assoluta, dell’età staliniana, da parte della dirigenza kruscioviana, ha portato Losurdo a una negazione altrettanto astratta dell’esperienza storica socialista nei paesi del blocco sovietico negli anni che hanno seguito il fatidico XX congresso del Pcus (1956). Sino ad arrivare all’assurdità di ritenere come migliore prova dell’incapacità della dirigenza sovietica post-staliniana di tesaurizzare la tradizione liberaldemocratica la condanna a morte senza processo di L. P. Berija, il famigerato direttore dell’apparato repressivo dell’età staliniana. In tal caso, paradossalmente, proprio Losurdo – il più efficace e convinto difensore degli elementi progressisti dell’esperienza storica del socialismo reale, di contro tanto alla demonizzazione della propaganda borghese quanto alla astratta negazione operata dall’estremismo, quale malattia infantile del comunismo – finisce con il confondere, per quanto inconsapevolmente, la propria posizione con quella dei più accesi e tenaci demolitori di ogni fase storica del socialismo reale, come i penosi realizzatori dell’assurda farsa di Morto Stalin se ne fa un altro, intenti a negare qualsiasi capacità da parte della dirigenza sovietica post staliniana di tesaurizzare la precedente tragedia storica, proprio per l’esecuzione senza processo del grande inquisitore e massacratore di bolscevichi dell’età staliniana: Berija.
Discorso analogo può esser fatto per il binomio utopia-stato d’eccezione chiamato in causa da Losurdo per fornire una spiegazione razionale dell’involuzione, sino al conseguente aborto, del tentativo di realizzare la transizione al socialismo nell’est Europa. Se tale binomio appare indubbiamente significativo in quanto capace di cogliere, dialetticamente, tanto i motivi endogeni quanto i motivi esogeni della progressiva sconfitta della transizione al socialismo nei paesi del blocco sovietico, al contempo tale nesso appare quantomeno poco dialettico. Paradossalmente si riconosce tale processo di tesaurizzazione in Stalin e nella Repubblica popolare cinese maoista e post-maoista e si nega astrattamente all’Urss post-staliniano, a partire dalla condanna a morte senza processo di Berija.
In effetti, per quanto dannoso possa essere stato l’utopismo astratto anarcoide ed estremista, per quanto abbia potuto impedire la tesaurizzazione dialettica delle grandi conquiste storiche del passato – con il suo altrettanto astratto nichilismo – esso difficilmente può essere stato alimentato dallo stato di eccezione conseguenza del quasi costante stato di assedio imposto ai paesi in transizione al socialismo da parte delle potenze imperialiste. Al contrario, si potrebbe facilmente argomentare come lo stato di necessità imposto dal “cordone sanitario” voluto dall’imperialismo, nel tentativo di non far ulteriormente estendere il “contagio rivoluzionario”, sia stato il miglior antidoto naturale all’astratto dover essere e al sostanziale nichilismo che anima l’ala più estremista e utopista del movimento rivoluzionario. Del resto è proprio Losurdo che mostra come la sconfitta della prospettiva di sviluppo della rivoluzione in occidente abbia costretto i principali dirigenti del movimento comunista internazionale a un’attitudine sempre più realista e meno astratta rispetto all’utopismo delle origini.
Dunque, per quanto tanto lo stato d’eccezione e l’utopismo possono a ragione venir annoverati fra le componenti essenziali della progressiva crisi del socialismo reale, difficilmente possono essere considerati come un binomio inscindibile. Anzi, da questo punto di vista, pare certamente e paradossalmente più “realistica” l’analisi di Ernst Bloch per cui, al contrario, proprio l’astratta contrapposizione fra socialismo scientifico e utopistico abbia portato alla progressiva perdita non solo dello spirito dell’utopia, ma dello stesso principio speranza, componenti altrettanto essenziali di ogni processo rivoluzionario. Del resto solo questa attitudine estremamente realista, piuttosto tipica dell’impostazione hegeliana, permette di comprendere la valutazione, pressoché apologetica, da parte di Losurdo della Cina post-maoista, al punto di considerare come utopisti quei fondamenti di una società comunista cui, la classe dirigente, da anni è stata volente o nolente portata a rinunciare, proprio per l’accentuarsi dello stato d’assedio dopo la dissoluzione dell’Urss.
Del resto non appare possibile ritenere che lo stato d’assedio imposto ai paesi in transizione al socialismo avrebbe portato al contempo a una revisione in senso realistico e antiutopistico a livello teorico da parte di esimi dirigenti di tali paesi e continuare a ritenere, al contempo, l’utopismo l’elemento principale di ostacolo alla realizzazione della transizione. Così l’attitudine realista, da navigato uomo del corso del mondo, finisce con il portare Losurdo a un’interpretazione, paradossalmente, poco dialettica dello sviluppo storico in cui a venir meno progressivamente è la componente tragica di tale processo in particolare per quanto concerne i paesi costretti a tentare una transizione al socialismo in realtà dove sostanzialmente mancavano le condizioni oggettive e in un mondo ancora dominato dalle potenze imperialiste che impediscono un libero e autonomo sviluppo della transizione al socialismo.
Così, di contro alla linea preponderante utopista e anarcoide del marxismo occidentale – che pretende una realizzazione immediata della prospettiva comunista, senza tener conto del necessariamente lungo e tortuoso processo storico di transizione al socialismo – Losurdo ritiene il movimento di progressiva costruzione dello Stato socialista tutto e lo scopo finale, ovvero la società comunista, nulla, ossia una mera e cattiva utopia. Sebbene lo sviluppo storico non possa che dare ragione al marxismo realista, rispetto a quello utopista degli attuali cavalieri della virtù, è evidente che l’unica soluzione dialettica e hegeliana implicherebbe una sintesi conciliatoria fra questi due momenti, che passa necessariamente attraverso il togliersi della unilateralità di entrambe le posizioni contrapposte. Tale conciliazione – così necessaria per la ricomposizione del movimento comunista sempre più spaccato in sette incapaci di riconoscere l’unilateralità delle proprie posizioni e istanze – passa proprio per il riconoscimento della porzione di validità che ha la prospettiva opposta alla propria, ovvero per la comprensione critica dei limiti di quest’ultima.
Ora evidentemente questa prospettiva conciliatrice è sostanzialmente assente nella prospettiva dell’ultimo Losurdo che ha – come uomo sino in fondo conciliato con il proprio tempo – finito con il rendere sempre più astrattamente unilaterale la propria posizione. Tale limite storico appare nel modo più evidente nella concezione elaborata da Losurdo dello Stato e della questione nazionale. Anche in tal caso, la sacrosanta esigenza critica – volta a contrastare la tendenza predominante nel marxismo occidentale a pretendere un’impossibile immediata realizzazione dell’utopia politica di una società capace di autoregolarsi senza più bisogno di istituzioni statuali, di un’umanità tanto socievole da essere in grado di superare ogni limite storico nazionale – ha portato Losurdo a una posizione poco critica e a tratti apologetica dello Stato e del nazionalismo. A farne le spese rischia però di essere proprio quello spirito dell’utopia, quel principio speranza che non può che animare i comunisti che, in un’epoca sotto diversi aspetti tanto oscura, continuano stoicamente a battersi in nome di una società senza classi in grado di autogestirsi, senza aver bisogno di uno Stato quale espressione della dittatura di classe, indispensabile solo sino a quando esisteranno società divise in gruppi sociali con interessi necessariamente antagonisti. Del resto tale posizione iper realista mostra tutti i propri limiti quando si sforza di coprire da sinistra il conclamato idealismo interclassista della dirigenza della Repubblica popolare cinese post-maoista.