Dalla sociologia di Georg Simmel e, più nello specifico, dall’opera Filosofia del denaro, il giovane György Lukács ha desunto l’apparato categoriale mediante il quale analizzare l’oggetto della sua prima opera di rilievo dedicata a sviluppo e crisi del dramma moderno borghese [1]. Nella Filosofia del denaro Simmel, a sua volta, ha fatto riferimento alla teoria marxiana su feticismo e reificazione quali caratteristiche della moderna società capitalista per sviluppare le sue analisi: 1) sulla spersonalizzazione del soggetto nella società dominata dal valore di scambio; 2) sulla dimensione calcolante che pervade ogni sfera delle relazioni sociali nella società borghese, compresa l’attività culturale e spirituale; 3) sul processo di specializzazione unilaterale reso necessario dalla crescente divisione del lavoro necessario all’aumento della produttività.
Così Lukács testimonia la sua indiretta assimilazione giovanile di alcuni concetti fondamentali di Karl Marx attraverso la lente deformata e deformante dell’opera di Simmel: “la Filosofia del denaro di Simmel e gli scritti sul protestantesimo di Weber furono i miei modelli per una ‘sociologia della letteratura’ in cui gli elementi derivati da Marx erano bensì ancora presenti, ma tanto assottigliati e impalliditi da essere appena riconoscibili. Secondo l’esempio di Simmel io da un lato distaccavo quanto più era possibile la ‘sociologia’ dal fondamento economico concepito in modo assai astratto, e dall’altro lato nell’analisi ‘sociologica’ scorgevo soltanto lo stadio iniziale della vera e propria ricerca scientifica in materia di estetica” [2].
In effetti, sono molte le riserve nutrite dal giovane Lukács sulla concezione del marxismo allora dominante. L’economicismo e il meccanicistico rapporto fra struttura e sovrastruttura tendenzialmente dominante nella Seconda internazionale e il privilegio accordato nell’analisi delle opere d’arte ai contenuti apparivano a Lukács inadeguati alla comprensione della specificità del fenomeno estetico. A tal proposito il giovane Lukács critica l’analisi sociologica delle opere d’arte in quanto “essa ricerca ed esamina solo i contenuti e traccia una linea retta tra questi e i dati rapporti economici. Ma nella letteratura il vero sociale è la forma. Solo la forma trasforma in comunicazione l’esperienza che il poeta compie stando con gli altri cioè col suo pubblico. L’arte, solo allora, diventa sociale, viene socializzata proprio da questa comunicazione ‘formata’, dalla possibilità dell’effetto e dell’effetto di fatto insorgente” [3].
E’ una metodologia di ricerca che fa perno sulla centralità della forma intesa quale sintesi di elementi estetici e sociologici: i primi assicurano il valore universale e atemporale dell’opera d’arte, i secondi ne circoscrivono le condizioni di possibilità. Una soluzione questa che, nel dare avvio al fecondo tema del rapporto vita-forma nella speculazione giovanile di Lukács, rivela la presenza di una ambivalenza di fondo nel concetto di forma cui fa riferimento. Da una parte, in effetti, la forma svolge una funzione normativa a priori rispetto ai contenuti storico-sociali da essa strutturati; dall’altra, essendo relazionata con i mutamenti interni alla sfera dell’oggettività, ne viene necessariamente condizionata. Nota a questo riguardo il giovane Lukács: “insorge a questo punto la domanda se e in quale misura la complessiva vita esteriore e interiore di un’epoca qualora sia penetrata da un poeta, sia adatta a produrre effetti che postulino nuove forme – per molteplici aspetti nate indipendentemente dal poeta – e le rendano possibili. [...] Qui infatti è possibile parlare di interazione. Dicevamo: la forma è la realtà sociale, partecipa vivamente alla vita spirituale. Quindi non opera solo in quanto fattore che agisce sulla vita e plasma di sé le esperienze, ma anche come fattore che a sua volta viene plasmato dalla vita” [4]. Tale storicizzazione della forma tende al superamento dell’antitesi di forma e contenuto e avvicina Lukács alla concezione hegeliana della loro identità dialettica. Il dramma, così, da categoria sistematica tende a trasformarsi in un concetto storico.
Oggetto del primo capitolo de Il dramma moderno è la ricostruzione analitica della struttura del dramma attraverso l’individuazione dei suoi elementi costitutivi. Si può dire che la delineazione del modello a priori svolge una funzione regolativa per l’indagine storico-sociologica condotta nel secondo capitolo, in cui Lukács si pone il problema se il dramma, nella sua evoluzione moderno-borghese, sia in grado di soddisfare i criteri universali di validità precedentemente stabiliti.
D’altra parte, fin dalle prime battute, si può facilmente rilevare che i requisiti essenziali del dramma traggono la propria giustificazione da un tipo particolare di rapporto sociale. Se, ad esempio, prendiamo in considerazione l’effetto-massa [5], che è considerato dal giovane Lukács la finalità principale del dramma, ci accorgiamo che la sua realizzazione è subordinata a una serie di condizioni materiali, che possono essere presenti soltanto in una cultura “chiusa”, espressione di un’organizzazione sociale comunitaria (Gemeinschaft), dove sono in vigore valori universali condivisi. Lo stesso vale per gli altri princìpi formali, quale la dimensione simbolica del conflitto drammatico che, per essere tale, richiede da parte del pubblico una ricezione sensibile ed emotiva e non meramente intellettuale; o anche l’esito tragico, dato dallo scontro di volontà in lotta i cui legami, essendo personali, sono trasparenti e facilmente riconoscibili dal pubblico.
Volontà, lotta e tragedia formano la costellazione propria del dramma; non basta la semplice “raffigurazione di eventi interumani” perché si dia “un effetto immediato e forte” sulla massa del pubblico, occorre la concentrazione della volontà, la focalizzazione del momento etico, rivelatore dell’essenza della personalità. “E’ generalmente noto che il dramma è la poesia della volontà, che un essere umano e il suo destino possono essere resi drammatici dalla tensione della sua volontà. Infatti: la sua ragione, i suoi sentimenti, tutte le sue qualità esteriori e interiori semplicemente lo accompagnano, non sono che l’ornamento dell’uomo drammatico, sono dati solo perché egli sembri una rigida astrazione, aiutano cioè a suggerire l’illusione della vita” [6].
Ora, se la tragedia è – secondo il giovane Lukács – “la conseguenza necessaria della forma interna del dramma”, il conflitto fra le volontà che – sulle orme di Hegel – incarna la collisione fra le potenze etiche universali (come nell’Antigone di Sofocle) [7], diventa il punto cardine della soluzione tragica: “ma – poiché la forma drammatica è la dialettica delle forze antagonistiche che si oppongono con forza estrema – allora la soluzione è pensabile solo quando l’uomo in lotta soccombe; infatti sia la vittoria sia l’incertezza dell’esito del conflitto contengono sempre infinite possibilità e quindi, se l’unica via è la condizione posta dalla forma, questa via sarà quella che porta alla tragedia” [8].
Principio formale importante del dramma è la connessione degli eventi; la resa stilistica dipende dalla capacità di rappresentare in modo fortemente unitario la ferrea necessità che domina sui momenti e sulle parti della totalità dell’opera. Un’unica catena causale deve stringere da presso gli accadimenti drammatici fino allo sbocco tragico, senza che nulla di fortuito possa contrastare o favorire il compimento del destino. D’altra parte, se gli eventi si allineano l’uno dopo l’altro in senso spazio-temporale e secondo collegamenti causali, qual è l’origine delle connessioni? Su che cosa si fonda il tutto? “La causa ultima può essere soltanto un sentimento, il sentimento del poeta nei confronti del mondo (nei confronti del mondo che rappresenterà nel dramma), può essere solo il suo pensiero, la sua visione, la sua valutazione o, ancora, il tipo di raggruppamento, il tempo e il ritmo da lui voluti, l’accentuazione del sentimento; detto in una sola parola – anche se la parola non è perfettamente pertinente – è la sua Weltanschauung, la sua concezione del mondo” [9].
Note:
[1] Lukács incominciò a scrivere la Storia dello sviluppo del dramma moderno nel 1906. La stesura dell’opera avvenne in lingua ungherese, ottenendo nel 1908 il premio Krisztina della società Kisfaludy dell’accademia ungherese.
[2] G. Lukács, Marxismo e politica culturale, Einaudi, Torino 1968, p. 12.
[3] Id., Il dramma moderno I [1908], trad. it. di L. Coeta, SugarCo Edizioni, Milano 1967, p. 9.
[4] Ivi: p. 11.
[5] Il primo capitolo de Il dramma moderno si apre con questa definizione lapidaria: “il dramma è un’opera d’arte letteraria che mediante la raffigurazione di eventi interumani intende produrre un effetto immediato e forte su una massa riunita nel medesimo luogo”. Ivi: p. 17.
[6] Ivi: p. 24. E’ implicito, in questo rilievo enfatico della volontà, il dissenso di Lukács nei confronti dell’impressionismo della visione del mondo di Wilhelm Dilthey e di Simmel, che si attesta sull’immediatezza della sfera psicologica dell’Erlebnis, del vissuto.
[7] Su questo aspetto ha attirato l’attenzione Cesare Cases nella sua Introduzione a Teoria del dramma moderno di Peter Szondi, Einaudi, Torino 1962, pp. XXII-XXIII.
[8] G. Lukács, Il dramma…, op. cit., p. 49.
[9] Ivi, pp. 34-35.