Fratelli tutti, l’ultima enciclica di papa Francesco, ha suscitato reazioni diverse ed è stata salutata (o deprecata) per le sue “aperture”. Vediamo i contenuti per capire quanto questo papa sia quel pericoloso “comunista” che viene dipinto dalle fazioni più retrive del mondo cattolico.
1) Critica del presente
L’enciclica prende di petto alcune delle questioni più scottanti dell’attualità sociale e politica, assumendo posizioni chiare. Critica alcuni punti chiave colpendo su due fronti: da una parte le modalità e le istituzioni della gestione neoliberista; dall’altra gli atteggiamenti più duri e intransigenti riconducibili a schieramenti cosiddetti populisti. Ne ha in sostanza per tutti; vediamo in che termini.
1.1) Critica del neoliberismo
Il papa non le manda a dire: l’economia finanziaria e le sue speculazioni sono una delle principali cause dell’attuale crisi mondiale (§§ 12, 52, 53 ,75, 109, 144); i suoi effetti perversi determinano rapporti squilibrati con i paesi più poveri e quindi il loro sfruttamento (§§ 122, 125, 126); causano la vuota e omologante cultura globalistica (§ 100) e il paradossale individualismo che gli fa specchio (§§ 12, 105, 144).
Non basta: il problema di fondo è il mercato! È mera illusione pensare che possa autoregolarsi (§§ 33, 109), questo è un dogma neoliberale (§ 168)! È addirittura necessario pensare a istituzioni che lo regolino, a una sua gestione mondiale (§ 138). Senza questo tipo di regolazione, libertà e giustizia restano irrealizzabili (§§ 103, 108, 170-172).
E ora viene l’affondo finale: la proprietà non è sacra! È un diritto secondario (§ 120) e deve avere una funzione sociale (§ 118).
Botte da orbi alle élites finanziarie dunque e a quei partiti che guardano in quella direzione cercando un nume tutelare o un ideale regolativo al grido di meno Stato e più mercato (e qui per fare la lista di tutti quelli che ci rientrano non basterebbero le pagine).
1.2) Critica del populismo
Sarà mica populista allora? Non scherziamo. Il papa stigmatizza la politica di chiusura nei confronti dei migranti (§ 39), condanna la schiavitù cui sono condannati dallo stesso sistema di cui sopra (§§ 86, 130-132), cerca di distinguere tra legittime rivendicazioni popolari e populismo (§§ 157 ss.), critica la pseudocomunicazione legata al mondo dei social (§ 42) e l’orrore di violenza e aggressività che essa produce (§ 44).
Anche qui non è difficile trovare nomi e cognomi di personaggi vari colpiti dagli strali di queste critiche.
2) Svolta epocale?
Da sinistra, da sempre, moltissimi associano la chiesa cattolica ai poteri forti. Le sue gerarchie in particolare e, dunque, il papa come suo sovrano supremo sono stati spesso visti come rappresentanti influenti del “potere” e delle posizioni più reazionarie e intransigenti. Senza andare a scavare nella storia, i ricordi di un Ratzinger o, giusto per citare i grandi classici, di un Pio XII sono freschi nella memoria degli spiriti progressisti. Leggere dunque di un papa che prende così apertamente posizione contro, praticamente, tutti gli schieramenti politici che al momento sono protagonisti del panorama politico italiano e internazionale può fare una certa impressione. Cerchiamo di vederci più chiaro.
La prima cosa da ricordare è che le forze conservatrici non sono un unicum indistinto. Se è vero che nei momenti critici spesso formano uno schieramento unico, di base esse possono differenziarsi e in diverse situazioni essere in contrasto tra di loro. Non solo individualmente tra singoli capitalisti, ma anche come organizzazioni più complesse che possono avere anche dimensione istituzionale, se non addirittura statuale in certi casi. Non c’è dunque da stupirsi che il fronte conservatore o moderato si articoli in maniera variegata e internamente conflittuale.
Compreso questo, l’enciclica sorprende ma solo fino a un certo punto; non ci si deve infatti scordare che la chiesa cattolica è sempre stata avversaria del mondo liberale, persino dai tempi in cui esso era una forza progressiva. Si rammenti l’aspra campagna antiliberale e antimoderna di Pio IX, ma anche la critica della questione sociale di Leone XIII o dell’esplicito appoggio alle soluzioni corporative del fascismo da parte di Pio XI. La chiesa cattolica è sempre stata avversaria del mondo liberale. Nel secondo dopoguerra, la guerra fredda e il pericolo comunista l’hanno portata vicino agli Stati Uniti, ma non certo per un’adesione al liberalismo. Del resto la soluzione italiana vedeva le forze moderate ancorate alla Democrazia Cristiana ed esplicitamente appoggiate dal Vaticano. La DC non era certo una forza liberale, ma contigua all’idea della gestione statale dall’alto della società, con il cattolicesimo come religione di Stato e un approccio paternalistico direttivo; insomma, non particolarmente in linea con i principi liberali classici. In tutti i documenti della chiesa, incluso il catechismo, l’idea dei limiti strutturali del liberalismo è sempre stata presente. Non può dunque sorprendere la critica del neoliberalismo e del suo culto del mercato. Gli esiti individualistici, il culto del dio denaro al quale sacrificare ogni valore di solidarietà, coesione sociale, comunità sono considerati tra le ragioni prime della perdita di identità, della crisi dei valori, dell’egoismo e della violenza della società contemporanea.
D’altro canto non può stupire, per quanto non fosse scontata, la critica della barbarica violenza perpetrata contro i migranti, i popoli del terzo mondo, gli “ultimi”. Se non altro a livello di principio sono questi temi estremamente sensibili per la chiesa cattolica. Non a caso la forte e continua insistenza sulla parabola del buon samaritano a cui è dedicato un intero capitolo (§§ 70 ss.).
Nelle critiche sviluppate su questi due fronti il papa va a toccare interessi o dell’altissima borghesia o del ceto medio che invece vede nei rispettivi approcci sopra esposti un qualcosa di positivo e auspicabile. Per queste forze – non solo conservatrici ma addirittura reazionarie, che racchiudono una fetta non indifferente del popolo che si dichiara cattolico – l’atteggiamento fermo e pacatamente progressista di papa Francesco risulta odioso e compromissorio; infatti lo attaccano senza pietà.
Pur ammettendo dunque che di papi peggiori ce ne sono stati, non ci si deve lasciar confondere dal contesto. Nel panorama attuale le posizioni da “democristiano di sinistra” del papa sembrano quanto mai rivoluzionarie perché al suo cospetto la politica sconclusionata e senza prospettiva delle forze politiche appare in tutta la sua inadeguatezza, se non nella sua violenta barbarie. Purtuttavia, da qui a considerare le sue posizioni di sinistra o addirittura comuniste ce ne corre assai. Questo ce lo dice la stessa enciclica che stiamo commentando e forse vale la pena riprendere qualche punto.
3) La persona umana
Il fondamento della filosofia sociale per come emerge dall’enciclica ma anche da altri documenti tradizionali è la “persona umana”. Si tratta di un concetto quanto mai controverso dall’importanza cruciale; vediamolo meglio.
Innanzitutto la forza di questo concetto si presenta come verità oggettiva e assoluta, non soggetta a negoziazione (§§ 206, 208, 210). Non accettare una fondazione assoluta della verità viene vista come una concessione al relativismo e quindi alla non fondabilità di fatto di una morale condivisa. La persona come valore primario (§§ 14, 22, 23, 83), la dignità umana anche basata sulla dignità del lavoro (§ 127), la persona umana (§§ 188) sono il fondamento su cui si regge tutta l’intelaiatura della solidarietà e dei valori mutui di fratellanza (§§ 40, 48) e di rispetto del prossimo come uguale a sé (§§ 80, 81, 138).
Vediamo il primo punto, quella della fondazione della verità. Nel contesto dell’enciclica questa verità si fonda in termini religiosi. Se è vero che si cerca di affiancarla al discorso di una sorta di morale razionale, nella sostanza la fondazione è nella fede. Il fatto di contrapporre questa verità assoluta alla storicità (ridotta a relativismo) è l’altra questione di fondo: non si riesce a concepire la verità come un processo che si costituisce. Non necessariamente dunque essa per il suo mutare in contesti e circostanze diverse risulta non fondata. La prospetticità della verità nel suo farsi storico non significa meramente relativismo, ma una costruzione che si definisce oggettivamente e razionalmente nella sua processualità e che quindi è contestualmente vera. Il tentativo del Marx della teoria del capitale è proprio questo: costruire una teoria dinamica del processo storico che sia anche una teoria dinamica della verità (per questo aspetto sicuramente sulla scia di Hegel). Nei termini di Marx, proprio il sostanzialismo della persona e la sua identificazione con l’umano come tale rappresentano la più sofisticata delle ipostasi dell’ideologia borghese, frutto della parvenza oggettiva della circolazione delle merci, il feticismo della merce visto dal lato dei latori della dinamica sociale.
Assunti gli individui come sostanziali, trasfigurati come persone umane, la dinamica sociale si articola come loro interazione quali enti già dati ab origine e quindi il risultato della loro interazione è meramente esito del loro comportamento individuale, come una sorta di sommatoria. Di conseguenza, se essi abdicano ai principi di solidarietà, fratellanza, mutua assistenza il mondo non può che andar male. Farlo andar bene è legato, di nuovo, alla loro decisione di fare, dal punto di vista soggettivo, diversamente. Infatti manca nell’enciclica qualsivoglia riferimento a dinamiche storiche oggettive. Il cambiamento dunque non è legato a modifiche delle dinamiche di fondo del processo storico, ma ai doveri delle persone umane di rendere questo concetto universale fino in fondo.
Sembrerebbe questo il mero modello liberale basato sugli individui sostanziali, ma in realtà c’è un elemento in più, vale a dire il dovere di fratellanza. L’atomo individuale, in quanto persona umana, ha un legame ab origine col suo simile non solo di uguaglianza formalistica, ma di dovere morale. Rispetto al mondo classico liberale c’è dunque in più la mutua solidarietà che può/deve esprimersi anche a livello istituzionale come doveri dello Stato o di altra istituzione di mediare e garantire livelli minimi di umanità correggendo eventuali storture che possano verificarsi. Il modello sociale che più corrisponde a questa prospettiva non è dunque il libero mercato, ma lo Stato paternalistico corporativo che può essere nella sua versione soft la Democrazia Cristiana del dopoguerra, nella sua versione hard il fascismo. Infatti, data la struttura sociale per quella che è in quanto non la si può modificare e che quindi include stratificazione di classe e gerarchie sociali, esistono doveri collettivi individuali e istituzionali per cui i più poveri o disagiati vanno assistiti, curati, considerati fratelli; tutto ciò, però, senza intaccare le strutture.
Insomma, a chi abbia voglia di ripercorrere gli scritti relativi alla dottrina sociale della chiesa vedrà che nihil sub sole novum. C’è però da rallegrarsi del fatto che Bergoglio punti senza mezzi termini e con coraggio, considerata la situazione attuale, verso la versione soft dello Stato corporativo paternalistico, cioè auspichi una soluzione “democristiana”, decisamente “progressista” se paragonata al crudo cinismo dei due principali schieramenti politici in campo. Che si prenda questo atteggiamento come il non plus ultra del comunismo la dice però lunga su quanto manchino analisi, idee, prospettive. Su questo c’è molto da lavorare e non resta che rimboccarsi le maniche.