Segue dalla quarta parte.
Dopo l'indipendenza ottenuta ufficialmente con il trattato di amicizia con il Portogallo nel 1825, la monarchia costituzionale brasiliana dovette affrontare numerose crisi politiche derivanti dal conflitto per il controllo del governo tra il Parlamento e l’imperatore Don Pedro I. Le lotte intestine che si determinarono condussero quest’ultimo ad abdicare (1831) in favore del figlio, allora minorenne, e a fuggire all’estero. Il Brasile si trovava così nelle mani di un bambino di 5 anni. Con questo vuoto di potere aumentò enormemente il potere delle classi dominanti locali, principalmente quella legata al caffè, che prese il sopravvento sulle altre. Ma il 1831 è anche l’anno di due importanti leggi: l'atto addizionale e la costituzione della guardia nazionale. Con il primo si operava una decentralizzazione del potere a favore dei proprietari di terre locali, con il secondo li si investiva anche nel potere militare. Ma la legge attuativa dell'Atto addizionale tolse progressivamente molti di questi poteri, stabilendo il primato della frazione di classe legata al caffè; l'autorità centrale (la reggenza dell'impero) definiva nel frattempo una serie di strumenti capaci di conservarne il potere come la creazione di un potere militare centrale, riduzione dei poteri regionali, eliminazione dei mercenari e trasferimento alle forze di terra dei poteri che erano in mano alla Marina. Sembrava chiaro allora che l'unità del Brasile sarebbe scaturita a partire dalle contraddizioni interne e non esterne.
L'economia del caffè emerse come quella dominante, e con essa si produsse l'ascesa della classe dominante dello Stato di San Paolo, che poté approfittare dello sviluppo di un grande mercato di esportazione, gli Usa. Lo sviluppo del caffè, unito alle difficoltà dell'importazione di schiavi, condusse progressivamente al declino dell'economia schiavistica, poco produttiva e fortemente ostacolata dall'Inghilterra, e allo sviluppo di una grande immigrazione principalmente europea (soprattutto italiana, ma non solo) per lavorare nelle piantagioni.
L'elemento principale della fase che si chiude nella prima metà del secolo XIX è il consolidamento della classe signorile (dei proprietari di terra) al potere; ciò non implica che scompaiano le contraddizioni, ma piuttosto che essa abbia costruito un’istituzionalizzazione che la sostenti. Questa fase fu caratterizzata dai prestiti inglesi, che si accompagnarono all'ascesa del caffè come principale prodotto di esportazione; inoltre i dati economici dimostrano il passaggio da una fase di deficit commerciale a una di superavit in relazione alle esportazioni e una crescita delle spese imperiali.
Dal punto di vista del lavoro diminuì progressivamente quello schiavistico in favore di quello servile e in parte ridotta quello “libero” salariato; la prima tendenza si sviluppa tra quelli che già furono schiavi e la seconda maggiormente tra gli immigrati di origine europea. La condanna del traffico di schiavi, determinata dallo sviluppo del capitalismo nel mondo ,influenzò la vita del Brasile fin dall'indipendenza; inoltre la legge Aberdeen (inglese) del 1845 che prevedeva la cattura delle navi che trasportassero schiavi impose il progressivo declino del traffico fino alla sua totale scomparsa. Il settore più fiorente dell'economia brasiliana, il caffè, sostituì progressivamente lo schiavo con il colono di origine europea [1]. I capitali che erano in origine destinati al traffico di esseri umani si rivolsero nell'acquisto di terra per farne piantagioni di caffè ma anche allo sviluppo finanziario, con la possibilità di emettere moneta della principale banca brasiliana (Banco do Brasil).
Digressione su schiavitù e servitù
Dobbiamo innanzitutto far presente che il passaggio dalla schiavitù alla servitù si rese possibile grazie all'immensa disponibilità di terre in Brasile, già di proprietà di qualcuno, ma senza che nessuno le utilizzasse, virtualmente “vuote”. La schiavitù fu “condannata” al declino dallo sviluppo congiunto del lavoro in servitù in alcune aree e del lavoro “libero”, salariato in altre; si trattava dunque di un istituto anacronistico. Ma la lunga durata della schiavitù (quasi 400 anni) rendeva difficile una sua totale eliminazione: gli schiavi erano “marchiati” dal colore della pelle, considerati inabili al lavoro e non erano considerati come possibili consumatori.
Nel corso del XIX secolo si pensò a come sviluppare dunque un lavoro di tipo “libero” in Brasile e si decise inizialmente di rivolgersi all'Asia per l'importazione di lavoratori, ma le potenze europee non avrebbero mai lasciato il Brasile entrare in questo mercato; la scelta ricadde dunque sulla masse di sotto-proletari europei in condizione di estrema povertà [2]. Questa immigrazione vide gli europei divisi in due aree di sviluppo: colonia di popolamento (soprattutto di tedeschi e negli attuali stati di Santa Catarina e Rio grande do Sul) e immigrazione per il lavoro nelle piantagioni di caffè (soprattutto italiani nello Stato di San Paolo). Entrambi i processi scontarono numerose difficoltà. In primo luogo gli alti costi a carico dei proletari tedeschi gli rendevano molto probabile la caduta in una condizione servile a causa delle pessime condizioni di prestito a cui erano sottomessi; l'immigrazione italiana, dal canto suo, aveva alti costi che i sottoproletari, soprattutto contadini, non erano in condizioni di pagare. Dunque il Brasile arrivò addirittura a pagare i costi del trasporto per favorirla.
Lo sviluppo del caffè condusse a una situazione che favoriva molto di più l'immigrazione che il “colonato” e riduceva sempre di più lo spazio per la schiavitù. L'abolizione della schiavitù, avvenuta nel 1889, di fatto non faceva altro che riconoscere una situazione già presente in Brasile, senza esserci però le condizioni per la ricollocazione delle immense masse di schiavi nel lavoro “libero” salariato e producendo la già citata “regressione feudale” [3].
L'economia dell'impero manteneva in vita a grandi linee la struttura della colonizzazione: cambiò il prodotto di esportazione (dallo zucchero al caffè) ma il Brasile continuava ad essere esportatore di prodotti primari. Lo sviluppo economico si sarebbe dovuto determinare da un saldo positivo tra esportazioni ed importazioni, ma lo squilibrio della bilancia dei pagamenti continuò in modo constante; il Brasile in assenza di uno sviluppo industriale adeguato era costretto ad importare manufatti per il consumo interno, soprattutto della classe dominante, non riuscendo a compensare il relativo deficit con le esportazioni. Mentre si concentrava sempre di più in un unico prodotto d'esportazione, infatti, si aveva la necessità di importare una varietà di prodotti per il consumo e la produzione. L'esportazione, poi, era concentrata in direzione degli Stati uniti, che non avendo proprie colonie non avevano accesso a queste possibilità di sfruttamento economico. Un altro aspetto importante da sottolineare è l'aumento del debito in relazione ai numerosi prestiti richiesti, che non diminuì nemmeno quando il saldo della bilancia commerciale era positivo; le risorse derivanti dalle esportazioni, quindi, vennero sempre di più destinate al pagamento del debito, che non smetteva di crescere [4].
L'economia di un paese semi-coloniale come era ed è di fatto il Brasile risentiva molto anche dalle cicliche crisi capitalistiche. Lo sviluppo economico dipende molto di più da ciò che avviene fuori dal paese di ciò che avviene all'interno. La comunanza di interessi tra classe dominante brasiliana ed europea condusse alla scelta di applicare in Brasile le teorie economiche già presenti in Europa, principalmente il sistema aureo, definendo il valore di una moneta in relazione a una determinata quantità di oro. Ma il risultato fu molto differente da quello che ci si aspettava, perché la realtà europea era molto diversa da quella brasiliana. Il problema maggiore si ebbe col fatto che nonostante l'economia crescesse il cambio si faceva sempre più sfavorevole, il tutto aggravato dalla crisi capitalistica che provocò una forte diminuzione del valore delle esportazioni non accompagnato però da una riduzione del prezzo dei beni importati; ne seguì una socializzazione delle perdite per il mantenimento economico della classe dominante brasiliana.
Ma la seconda metà del secolo XIX fu epoca di ulteriori importanti trasformazioni dal punto di vista sociale: diversi capitali originariamente applicati nell'agricoltura “migrarono” in direzione del tessuto urbano, dell'industria; si creò inoltre una polarizzazione crescente tra l'area del Nordest, dominata dalla servitù della gleba e l'area del Sudest in cui dominavano relazioni capitalistiche. Crebbe inoltre la “classe media” rappresentata soprattutto da commercianti, funzionari pubblici, vari professionisti (militari, religiosi, professori) e piccoli produttori agricoli, perennemente sotto il ricatto della grande proprietà terriera e della concorrenza straniera. La classe lavoratrice era invece ancora divisa tra lavoratori “liberi”, servi, schiavi e coloni. In ogni caso la parte maggiore dei lavoratori era ancora concentrata nell'agricoltura, essendo lo sviluppo industriale solamente all'inizio.
Il voto è per censo, dipende dal reddito, lo Stato si occupa dunque di difendere gli interessi della classe dominante, lasciando fuori dalla partecipazione politica lavoratori e classe media. Tra gli elementi più rappresentativi della classe media c’è il clero che, escluso dalla partecipazione politica si avvicinava ai settori più svantaggiati della società e ad idee “liberali” e l'esercito che, differentemente dalla guardia nazionale(corpo per le élite), era il luogo degli esclusi della classe media , che cercavano “rifugio” economico nel lavorare per lo Stato.
Gli ultimi decenni del XIX secolo furono quelli della crisi dell'impero e dell'inizio del dibattito sulla necessità di passare alla repubblica federativa. Tra le altre questioni quella religiosa cominciò ad assumere un ruolo importante: la Chiesa dopo la “nazionalizzazione” subita nel secolo XVIII cominciò nella seconda metà del secolo XIX ad “arruolare” sacerdoti non più esclusivamente nella classe media, ma anche tra i settori più poveri della popolazione. Lo “shock” tra la classe media, che generalmente forniva i sacerdoti, e la classe dominante, che forniva i vescovi, era solo la facciata di una contraddizione più profonda tra classe media e classe dominante.
Per quanto riguarda l'esercito, poi, la Guardia nazionale continuava ad essere la garanzia del mantenimento dei poteri feudali dei signori del latifondo. La vittoria nella guerra contro il Paraguay del 1870 dimostrò in ogni caso l'esigenza di un esercito nazionale forte e unito; nel frattempo però l'esercito, storico luogo dei settori più svantaggiati della popolazione, si apriva alle idee liberali e al positivismo, creando un conflitto crescente con la classe dominante. La classe dominante stessa viveva un conflitto, con una sua parte sempre più aperta allo sviluppo delle idee liberali e quindi naturale alleata della classe media desiderosa di passare dalla monarchia costituzionale alla repubblica federale.
L'occasione si diede con lo sviluppo economico dell'esportazione di gomma proveniente dall'Amazzonia, un'esplosione molto forte ma anche di scarsa durata e distruttrice di molti terreni; le relazioni dominanti erano anche in questo caso di servitù. Le varie vicissitudini del 1889, infine, tra cui il mancato indennizzo ai proprietari di schiavi per la “liberazione” di questi ultimi condussero alla proclamazione della Repubblica il 15 novembre 1889 [5].
Note
[1] Non essendoci sufficiente capitalizzazione nel paese l’emancipazione dalla schiavitù non produrrà il passaggio per la maggioranza degli schiavi a forme di lavoro libero,”salariato”, ma a forme più o meno sviluppate di servitù.
[2] La scelta di “importare” lavoratori europei non fu casuale per Sodrè: l'idea razzista profondamente radicata nella classe dominante brasiliana era che i “bianchi” fossero più adatti al lavoro, più disciplinati ecc.
[3] Va considerato che nel 1889 quando la principessa Isabella vara il decreto della “liberazione” degli schiavi la schiavitù era stata di fatto già superata, il destino dei circa 700.000 schiavi sarà dunque o la trasformazione da schiavi a servi o per una piccola minoranza l'emigrazione in zone urbane, dove costituiranno una riserva di manodopera a basso costo.
[4] Questo meccanismo perverso debito - prestito-per-pagarlo - debito crescente, è ancora oggi estremamente attuale, basti pensare che praticamente la metà della spesa pubblica brasiliana serve per pagare il debito pubblico, già arrivato al 72 per cento circa del PIL.
[5] Il periodo repubblicano sarà analizzato a partire dalla prossima puntata.