- Lei è scrittore? - chiese con interesse il poeta.
L'ospite si incupì e minacciò Ivan col pugno, poi disse:
- Io sono un Maestro.
(da Il Maestro e Margherita)
Nel 1917 la rivoluzione d'Ottobre porta alla fine del regime feudale plurisecolare degli zar. In un contesto di assedio internazionale, che sconvolge ulteriormente una Russia distrutta dalla guerra e dalla crisi economica, il Governo bolscevico guidato prima da Lenin, poi da Stalin, cerca di ricostruire un Paese all'insegna di un nuovo modello socio-economico: il socialismo.
L'operazione è impervia, svolgendosi in un contesto di arretratezza complessiva (assai distante dai presupposti immaginati a suo tempo da Marx) anche sul piano culturale: basti pensare che nel 1917 la percentuale dei russofoni maschi alfabetizzati è del 37,9%, mentre quella delle russofone femmine è del 12,5%). Ciononostante l'URSS, nata nel 1922 dalle ceneri di una Russia sull'orlo della disgregazione, riuscirà, districandosi tra grandi contraddizioni, problemi ed errori, nell'arco di un trentennio a diventare un punto di riferimento per i popoli di tutto il mondo, mostrando che un'alternativa al capitalismo era possibile e vincente.
Seguendo un progetto anticapitalista, antiborghese, operaista e umanista, milioni di persone escono dall'analfabetismo iniziando ad avere una vita culturale. Sono anni in cui il regime sovietico diffonde manifesti rivoluzionari che recitano: “Un analfabeta è come un cieco, ovunque vada lo attendono insuccessi e infelicità”. Dopo aver ‘inventato’ l'istruzione pubblica, laica, universale e gratuita, circa 50 milioni di adulti imparano in pochi anni a leggere e scrivere, tanto che nel 1937 il 75% della popolazione totale è ormai alfabetizzata. Gli studenti universitari, 169.000 nel 1928-29, diventano 812.000 nel 1940-41 e la composizione sociale degli iscritti alle università è dominata dalla categoria delle matricole di origine operaia, che costituiscono più del 50% del corpo studentesco. Sono anni in cui si solletica l'idea di realizzare la fine della divisione tra lavoro manuale e intellettuale.
In questo contesto vivono e si schierano a sostegno o contro l'esperimento sovietico gli artisti e gli intellettuali nati e cresciuti in epoca zarista. Il principio di fondo che guida la società è “chi non lavora non mangia”. Il dissenso politico-ideologico è, fino alle soglie della Seconda Guerra Mondiale, tollerato, ma fino ad un certo punto. L'ostilità internazionale, la costante e latente guerra civile interna, l'obiettivo di edificare non solo un nuovo modo di produzione socio-economico, ma perfino un nuovo ordine antropologico (l'homo sovieticus) impongono la mobilitazione di tutti: contadini, operai e intellettuali. Chi non si adegua rischia di diventare un “nemico del popolo”.
Il grande scrittore e drammaturgo Michail Afanas'evič Bulgakov (1891-1940), a detta dello storico Andrea Graziosi, è “risolutamente antisovietico”. Bulgakov stesso, in una lettera inviata a Stalin, si descrive come “uno scrittore mistico”, esprimendo un “profondo scetticismo nei confronti del processo rivoluzionario in atto nel mio arretrato paese”. Non stupisce che Bulgakov diventi un sorvegliato speciale della polizia segreta sovietica fin dal 1921, considerato scrittore “indipendente”, cioè non allineato, oppure apertamente controrivoluzionario. Da allora la vita del giovane medico datosi alla letteratura si fa difficile.
Cuore di cane (1925) riceve gli elogi della critica letteraria ma è ritenuto impubblicabile dalla censura per la satira sull’uomo nuovo sovietico. Non è difficile capirne il motivo: il protagonista del racconto, Filip Filipovič Preobraženskij, ha il coraggio di dire “Ja ne ljublju proletariat” (“A me non piace il proletariato”). Il testo è un capolavoro di ironia e di humour grottesco in cui non mancano imbeccate al nuovo regime:“Perché è stato tolto il tappeto dallo scalone? Carlo Marx proibisce forse di tenere i tappeti sugli scaloni?”
Diavoleide viene requisito dalle edicole pochi giorni dopo l'uscita. La pièce basata sulla Guardia bianca deve essere tagliata e modificata più volte per poter uscire e il titolo necessita di essere modificato eliminando ogni riferimento ai “bianchi”; si giunge così al dramma I giorni dei Turbin. Pare che Stalin sia stato visto almeno quindici volte in platea per vedere l'opera, la quale però crea molti nemici a Bulgakov: l'organizzazione degli scrittori proletari identifica in lui uno dei peggiori rappresentanti della vecchia intelligencija borghese, attaccando il Teatro d'arte di Mosca che lo aveva ospitato e perfino il commissario del popolo per l'istruzione Lunačarskij per aver autorizzato la rappresentazione.
Nel maggio 1926 l'OGPU perquisisce l'appartamento di Bulgakov e requisisce il suo diario e altri materiali letterari. Opere come L’appartamento di Zoja e L’isola purpurea vengono presto ritirate dal mercato. La commedia La corsa, giudicata da Stalin stesso “un fenomeno antisovietico”, non ottiene il nulla-osta per essere pubblicata né Bulgakov accetta di fare le modifiche richieste dalle autorità sovietiche per superare la censura.
Dopo aver chiesto vanamente di poter espatriare, nell'ottobre 1929, insieme ad Anna Achmatova, Zamjatin e Pasternak, esce dall’Unione panrussa degli scrittori. Quello, dirà in seguito Bulgakov, fu “l’anno del mio annientamento come scrittore”. Spinto dal successo dell'opera di Majakovskij Il bagno, nel dicembre Bulgakov termina la pièce La cabala dei bigotti, ispirata ai lavori di Molière. Il 18 marzo 1930 riceve la notizia della mancata approvazione da parte della censura. In preda a problemi materiali (difficoltà finanziarie) e turbe psicologiche, brucia le prime bozze del futuro Il Maestro e Margherita e prende l'abitudine di camminare per le strade munito di una pistola.
Una decina di giorni dopo, il 28 marzo 1930, si decide a scrivere direttamente una lettera ai vertici del Partito Bolscevico, descrivendo l'atteggiamento ostile adottato dal mondo letterario sovietico nei suoi confronti (301 citazioni sulla stampa sovietica in 10 anni, di cui solo 3 elogiative e 298 ostili o ingiuriose), passando poi a definire il suo ruolo di scrittore satirico. Si domanda se egli sia ”pensabile in URSS” considerando che egli considera suo dovere di scrittore lottare contro la censura, di qualunque tipo e sotto qualsiasi regime, mentre “qualsiasi scrittore satirico in URSS attenta al regime sovietico”; conclude chiedendo il permesso per l'espatrio oppure un lavoro nel Teatro d'arte di Mosca. Il 18 aprile, il giorno dopo i funerali di Majakovskij, Stalin inaspettatamente gli telefona. Il dialogo venne trascritto dalla moglie dello scrittore.
- Stalin: “Abbiamo ricevuto la sua lettera. L'ho letta insieme ai compagni. Riceverà una risposta favorevole, anche se non mi sembra il caso di lasciarla partire. Ma davvero vuole andare all'estero? Le siamo venuti tanto a noia?”
- Bulgakov: “Negli ultimi anni ho molto riflettuto se uno scrittore russo possa vivere lontano dalla patria, e mi sembra di no»”.
- Stalin: “Lo penso anch'io. Dove vuole lavorare? Nel Teatro d'Arte?”
- Bulgakov: “Sì, ma quando ne ho accennato mi è stato opposto un netto rifiuto”.
- Stalin: “Presenti una domanda, credo che acconsentiranno”.
Dopo la telefonata, il 10 maggio, Bulgakov ottiene un posto come assistente regista al Teatro accademico dell’arte di Mosca ma, come spiega Gian Piero Piretto:
“Bulgakov si illuse comunque di aver trovato in Stalin un interlocutore. Negli anni successivi si sarebbe dovuto ricredere: permessi negati per viaggi all'estero, altre missive lasciate senza risposta, soprattutto una conferma: il divieto di svolgere l'attività di scrittore. L'apprezzamento molto particolare e insolito che il leader aveva dimostrato per Bulgakov gli “permise”, comunque, di restare in Russia, in vita, e di essere tollerato fino alla morte (1940)».
Perché? In questo ultimo decennio si svolge il Primo Congresso degli Scrittori Sovietici (1934) in cui Andrej Ždanov denuncia la “decadenza”, il “misticismo”, il “clericalismo” e la “pornografia” tipici della “cultura borghese”, lanciando la politica del realismo socialista (“la verità e il carattere storico concreto della rappresentazione artistica devono unirsi al compito di trasformazione ideologica e di educazione dei lavoratori nello spirito del socialismo”), che Gian Piero Piretto ha riassunto così:
“Correttezza ideologica in questi anni coincise anche, sempre più esplicitamente, con opposizione al formalismo, e fu condizione necessaria e sufficiente perché un'opera d'arte potesse essere definita e accettata come ‘autenticamente sovietica’. Artisti e scrittori, dal canto loro, dovevano misurarsi con i concetti di pradivost' (veridicità) e pravl'nost' (correttezza). Il tutto controllato da organi censori sempre più rigorosi. Componenti irrinunciabili erano militanza e aggressività dell'opera stessa, sua capacità di “funzionare” rispetto al pubblico, di coinvolgerlo, stimolarlo, trasformarlo attivamente. La passività restava il nemico numero uno, equivalente di reazione. […] La natura ‘inclusiva’ […] della cultura staliniana faceva sì che l'arte e le sue manifestazioni dovessero essere comprensibili e fruibili da tutti indiscriminatamente, aboliva la vecchia concezione di ‘alto’ e ‘basso’, prendeva soprattutto le distanze, anche in questo ambito, dall'episodio proletario ‘esclusivo’ dei primi anni Venti”.
In quegli anni, di alfabetizzazione di base, di lotta furibonda per la sopravvivenza, di tentativo di “assaltare il cielo”, non c'è spazio per l'ironia raffinata ma caustica e sovversiva di Bulgakov. Si dice che Stalin lo “salvò”, mantenendolo in una sorta di purgatorio. Secondo lo storico Oleg V. Chlevnjuk, “Stalin aveva una certa capacità di distinguere la buona scrittura. Forse per questo tollerò, talora fino a proteggere, alcuni scrittori di talento che non si misero al servizio del regime o addirittura lo danneggiarono, come Michail Bulgakov”. Anni dopo la morte dello scrittore, nel 1946, Stalin spiegherà il motivo del controllo ferreo sulla cultura sovietica, con argomenti certamente discutibili, ma che pongono quesiti anche alla nostra società:
“Oggi il compito principale dei nostri intellettuali sovietici è di riflettere nelle loro opere tutti gli aspetti del semplice uomo sovietico, di svelare e di mostrare i migliori tratti del suo carattere. Questa è oggi la linea generale per lo sviluppo della letteratura e dell’arte. Nelle pagine delle riviste letterarie spesso si trovano opere in cui il popolo sovietico, edificatore del comunismo, è raffigurato in forma patetica e ridicola. L’eroe positivo viene deriso, si propaganda il servilismo verso tutto ciò che è straniero e si applaude il cosmopolitismo proprio della feccia politica. Il lavoro degli agenti stranieri nel nostro paese è infiltrarsi nelle organizzazioni sovietiche che si occupano di cultura, impossessarsi delle redazioni delle maggiori riviste e giornali, influenzare in modo decisivo il repertorio dei teatri e dei cinema e la pubblicazione di narrativa e poesia [il dato è confermato da recenti opere storiografiche sulla CIA, nda]. Di fermare con ogni mezzo la pubblicazione di opere rivoluzionarie che risveglino il patriottismo e guidino il popolo sovietico verso la costruzione del comunismo. Essi sostengono e pubblicano opere in cui si predica il fallimento del comunismo. Con solerzia ed entusiasmo propagandano il modo di produzione capitalistico e lo stile di vita borghese. Al tempo stesso gli agenti stranieri sono chiamati a popolarizzare i sentimenti di pessimismo, decadenza e demoralizzazione nella letteratura e nell’arte. Non esiste arte per l’arte. Non ci sono, e non possono esserci, artisti, scrittori, poeti, drammaturghi, registi e giornalisti ‘liberi’, collocati al di sopra della società. Non servono a nessuno. Queste persone non esistono e non possono esistere. A quanti non vogliono servire il popolo sovietico in ossequio alle vecchie tradizioni della borghesia controrivoluzionaria, o sono ostili al potere della classe operaia al servizio del popolo sovietico, concediamo il permesso di lasciare il paese e di stare all’estero. Lasciate che si convincano del significato della famigerata ‘libertà creativa’ nella società borghese, in cui tutto può essere comprato e venduto, e il lavoro creativo degli intellettuali dipende completamente del sostegno monetario dei magnati della finanza”.
Il Maestro e Margherita rimarrà chiuso in un cassetto per molti anni. L'opera verrà pubblicata in URSS solo nel 1967 e rappresentata nel 1977 dal regista Ljubimov. Ricorda Piretto che “alla fine dello spettacolo gli attori venivano alla ribalta con grandi ritratti dello scrittore […]. Lo spettacolo, e la scena finale, stavano per la vittoria sul destino, la libertà dell'arte, l'inespugnabile potere della fantasia.
Testo realizzato per il libretto di presentazione dello spettacolo teatrale Il Maestro e Margherita,
messo in atto dagli studenti del liceo Cremona di Milano nel maggio-giugno 2019
con la regia del prof. Maurizio Maravigna
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
- M. Bulgakov, Lettere a Stalin, Enukidze e Gor’ki, traduzione e cura di Mario Alessandro Curletto, Il Melangolo, Genova 1990, di cui due estratti sono disponibili su Paolonori.it
- F. Fiamma, Michail Bulgakov 3 | Pronto? Sono Stalin, Raiplayradio.it, aprile 2018
- A. Graziosi, L'URSS di Lenin e Stalin. Storia dell'Unione Sovietica 1914-1945, Il Mulino, Bologna 2007
- M. Lewin, Storia sociale dello stalinismo, Einaudi, Torino 1980
- L. Mascheroni, Dossier, spie, censure. Così l'ammiratore Stalin "internò" Bulgakov, Il Giornale (web), 8 giugno 2016
- F. Musardo, Bulgakov e Stalin. Scrivere sotto una dittatura, Culturificio.org, 2015
- G. P. Piretto, Quando c'era l'URSS. 70 anni di storia culturale sovietica, Raffaello Cortina Editore, Milano 2018
- R. Polese, «Pronto Bulgakov? Sono Stalin», Corriere della Sera (web), 4 dicembre 2012
- I. V. Stalin, Sočinenija, vol. XVI, Izdatel’stvo «Pisatel’», Moskva 1997
- Wikipedia, Michail Afanas'evič Bulgakov
- Wikipedia, Lettera al governo dell'URSS