Trump alla Casa Bianca: improbabile ma più possibile di prima

Rabbia, follie ed incubi della campagna elettorale USA.


Trump alla Casa Bianca: improbabile ma più possibile di prima

Considerazioni Inattuali n.88. Rabbia, follie ed incubi della campagna elettorale USA. Tardive reazioni dello establishment repubblicano. Hillary Clinton scelta obbligata per salvare l’America: una Giovanna d’Arco senza virtù e compromessa da trascorsi negativi e quanto mai equivoci.

di Lucio Manisco

Nei trentotto anni di lavoro giornalistico negli Stati Uniti abbiamo seguito le campagne elettorali di nove presidenti, da Dwight Eisenhower a Bill Clinton e dei loro avversari: ne abbiamo visto e riferito di cotte e di crude, di scontri irrazionali ed eventi tragici, di eccessi polemici, di violazioni della prassi democratica, di abusi delle oligarchie del denaro e dagli altri poteri forti. Mai in quei trentotto anni ci siamo trovati di fronte allo sfacelo del costume politico, all’atmosfera da incubo, alla rabbia ed all’esasperazione dell’elettorato che caratterizzano la presente campagna delle primarie e le prospettive del ricorso alle urne tra otto mesi.

L’incubo più traumatizzante è quello di Donald Trump che si insedia nell’ufficio ovale della Casa Bianca, evento ancora improbabile ma più possibile dopo il suo trionfo nelle ultime sette primarie. Si definiva improbabile fino allo scorso dicembre la sua nomina a candidato ufficiale nella convention repubblicana di luglio. Dopo il supertuesday quella nomina è diventata non solo possibile ma certa consolidando così l’ipoteca avanzata sulla bianca magione di Pennsylvania Avenue di un candidato che ha atteso quattro giorni prima di avanzare riserve sullo endorsementdel Ku-Klux-Klan, che vuole costruire una muraglia lunga migliaia di chilometri sulle frontiere con il Messico ed addebitarne il costo di venti e più miliardi di dollari al governo di questo paese, che si impegna poi a proibire l’ingresso negli USA a qualsiasi straniero di religione musulmana e a deportare 11 milioni di messicani “stupratori ed assassini”. E’ lo stesso personaggio che insulta donne, disabili, gay, che ignora le conseguenze catastrofiche dei cambiamenti climatici e con l’incremento del bilancio già stratosferico della difesa e pesanti dazi sulle importazioni vuole rendere più possente la fortezza America. Verso gli avversari palesa l’aggressività e dispiega il vilipendio di un campione di wrestling, di quella finta lotta libera che diletta le folle della repubblica stellata.

Trasformista, privo di qualsiasi nozione geo-politica, impervio alle accuse di incoerenza, dopo il successo del super-martedì ha cambiato toni e temi della sua campagna elettorale perché crede davvero di poter assumere i poteri di capo dell’esecutivo e non ignora certo l’influenza da lui esercitata al di là dell’Atlantico: la signora Le Pen che ne esalta le virtù e ne vuole seguire l’esempio nella sua ascesa all’Eliseo in buona compagnia con tutti i Salvini d’Europa.

Il problema sociologico e politico non è solo il fascistoide Trump che fa sue le roboanti battute di Benito Mussolini. Il problema vero è quello dei vasti consensi raccolti nell’opinione pubblica statunitense. Razzista all’ennesima potenza ha ottenuto l’appoggio di gruppi sia pure limitati di afro-americani, xenofobo e contro gli immigrati ha colto successi tra gli ispanici ed altre minoranze etniche.

Di rabbia, paura ed esasperazione contro chi governa a vantaggio esclusivo dei super-ricchi abbiamo scritto più volte in queste Considerazioni Inattuali.

Aggiungiamo un apologo semplicistico ma efficace: chi è in procinto di affogare e grida aiuto ad un pasciuto signore sulla spiaggia, comodamente seduto su una ciambella di salvataggio, mentre viene insultato da un malfattore che vuole impadronirsi della sua ciambella, indirizza ovviamente le sue disperate preferenze al malfattore e non al pasciuto e indifferente signore.

L’establishment repubblicano se ne strainfischia dei naufraghi della società americana ma si è tardivamente reso contro del pericolo di perdere ciambelle, maggioranze nel Congresso e la corsa alla Casa Bianca: ha scatenato così una campagna dell’ultima ora contro il malfattore Trump mobilitando lo speaker del Senato ed ex notabili del partito come Romney e diversi governatori di stati. Troppo poco, troppo tardi.

Il compito di battere il demagogo cialtrone è stato assunto dalla candidata democratica Hillary Clinton, sicura com’è di poter eliminare il rivale socialista Bernie Sanders e di ottenere così la nomina alla convenzione del partito. Novella Giovanna D’Arco ha sguainato la spada e sfidato a singolar tenzone il nemico della repubblica. Non ha purtroppo le virtù della pucelle d’Orleans e porta con sé un bagaglio di esperienze negative come moglie di un presidente su cui cade buona parte delle responsabilità della crisi economica e finanziaria degli ultimi anni, come senatrice dello stato di New York e poi segretaria di stato ha servito fedelmente le istanze di Netanyahu e della lobby ebraica, interventista ad oltranza ha avuto la meglio sulle titubanze di Obama nell’impresa contro Gheddafi che ha scatenato il caos libico. Malgrado la sua improvvisa conversione alle cause sociali, dovuta alla necessità di respingere l’insorgenza di Sanders, è fondamentalmente una conservatrice legata agli interessi di Wall Street, delle banche e dell’uno per cento di super-ricchi che dettano legge nel grande impero d’Occidente. E poi pesano su di lei le inchieste del Congresso e della magistratura non solo per l’uso di due suoi cellulari privati nella condotta della politica estera americana esposta così allo spionaggio straniero (corre voce che il suo rifiuto di consegnare alle autorità i due telefonini con allegata memoria sia dovuto a presunti peccadillos extra coniugali), ma anche e soprattutto per il palese conflitto di interessi emerso tra l’altro dagli appalti assegnati dal suo dicastero alla Fondazione Clinton per l’assistenza ad Haiti dopo il terremoto.

Prevedibili i commenti positivi dei mass media statunitensi ed europei sulle vittorie di Hillary nelle primarie.

Anche se marginale ed irrilevante per diffusione ed autorevolezza meno prevedibile l’esaltato trionfalismo evidenziato dal titolo di testa di un quotidiano italiano di stretta osservanza renziana. Non è stato Il Foglio di Giuliano Ferrara ma L’Unità che dal “Yankee go home” di pochi decenni fa è passato lunedì 29 febbraio al “Go Hillary”: dal trasformismo di Depretis alla metamorfosi in scarafaggio di Kafka i richiami sono inevitabili perché il quotidiano una volta comunista e fino a due anni fa di centro sinistra reca ancora sotto la testata la scritta “fondato da Antonio Gramsci”. Grande l’oltraggio al più grande italiano dello scorso secolo. Porteremo una rosa rossa sulla sua tomba nel cimitero inglese acattolico di Roma.

04/03/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Lucio Manisco

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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