Come mostra György Lukács, l’equiparazione di positività e oggettività anticipa la natura idealistica della concezione hegeliana dell’alienazione, ma, accanto a ciò, il giovane Hegel, sviluppando l’indagine sul soggetto collettivo nel suo decorso storico (il futuro spirito), arriva a concepire “l’oggettività vera e propria, l’indipendenza degli oggetti dalla ragione umana, come un prodotto dello sviluppo di questa stessa ragione, come un prodotto della sua attività”; non solo, ma viene già abbozzato il principio guida della futura filosofia della storia hegeliana: “in questa attività scaturisce qualcosa d’altro da ciò che gli uomini si sono proposti consapevolmente come mèta delle loro azioni, che i prodotti dell’attività sociale degli uomini scavalcano gli uomini stessi e acquistano nei loro confronti un proprio potere indipendente, un’oggettività specifica” [1].
Lukács individua fin d’ora la presenza dell’intreccio, caratteristico del pensiero maturo di Hegel, di elementi altamente positivi e di lati deboli. Il primo aspetto è dovuto alla tendenza di cogliere la genesi storica della positività: nel caso della religione, i suoi contenuti vengono desunti dalla dinamica storico-sociale, il che differenzia notevolmente Hegel sia dalle posizioni intellettualistiche dell’Illuminismo – la religione come inganno perpetrato ai danni del popolo –, sia da Feuerbach, il quale, non ponendosi minimamente la domanda sul perché il cristianesimo sia diventato la religione dominante dell’Occidente, lo deduce dall’essenza astratta dell’uomo in generale. Il lato debole, che in fondo si identifica coi limiti dell’impostazione idealistica, consiste nel ruolo predominante affidato alla religione nella storia, quasi che il fattore decisivo della trasformazione storica risieda nel mutamento delle religioni; da ciò consegue che le giuste tendenze volte a comprendere correttamente i nessi storici e sociali “vengono frustrate dal fatto che la concezione della positività si capovolge in una teoria dell’oggettività in generale” [2].
La compresenza di radicalismo politico e di concezioni idealistiche nel giovane Hegel provocano, da un lato, un arricchimento e un avanzamento rispetto alla critica religiosa astratta dell’Illuminismo, dall’altro lato un arretramento, perché l’unica alternativa proposta è tra religione positiva e non-positiva, ma non il superamento della religione in quanto tale.
Tale oscillazione si manterrà, nella ricostruzione di Lukács, per tutto l’arco dell’evoluzione filosofica di Hegel, quasi a costituire la cifra peculiare del suo sistema di pensiero. Lukács addossa ai limiti storici e sociali della Germania del tempo l’atteggiamento sempre più rassegnato e “conciliativo” di Hegel: l’arretratezza tedesca assurge così a criterio chiave di spiegazione dei tratti conservatori e dell’idealismo del pensiero di Hegel, nonché del carattere tragico delle sue scelte pratiche e teoretiche: “la tragica contraddizione nell’evoluzione di Hegel può essere illustrata anche a questo proposito. Come pensatore tedesco al volger dal XVIII al XIX secolo, egli non aveva che la scelta fra un utopismo illusorio e un rassegnato venire a patti con la realtà miserabile della Germania di allora” [3].
Nella storia delle interpretazioni di Hegel il periodo di Francoforte riveste un ruolo importante ai fini del giudizio critico complessivo sulla sua filosofia, e ciò a causa del suo carattere di svolta rispetto a Berna e della maturazione non lineare e controversa dei motivi e dei contenuti tipici del suo pensiero futuro. Unanimemente considerato come periodo di “crisi”, l’arco delle valutazioni sui suoi contenuti e sulle sue conseguenze è molto ampio e variegato: si va dal classico giudizio diltheiano di Hegel “romantico e mistico” all’interpretazione in senso psicologico ed esistenziale della crisi, fino alle posizioni di chi vi legge molto più “semplicemente” il problema dell’origine della dialettica. È quanto sostiene Mario Rossi nell’opera Marx e la dialettica hegeliana: “Il problema di Francoforte non è quindi quello del panteismo, del misticismo e del romanticismo di Hegel, ma né più né meno che il problema della dialettica che deve articolare la totalità, di cui storia, logica, arte, natura, religione e diritto sono soltanto zone, sezioni, «sfere» subordinate” [4].
L’abbandono da parte di Hegel delle concezioni precedenti viene da Lukács ricondotta ai fattori storici e sociali oggettivi della Germania, che rendevano impossibile la traduzione a livello pratico-politico dei suoi ideali repubblicani. La sconfitta del giacobinismo in Francia e l’avvento della fase termidoriana avevano provocato presso gli intellettuali tedeschi un riflesso ideologico, che si nutriva delle generose illusioni umanistiche sulla possibile realizzazione dell’uomo onnilaterale, contro la prosaicità e la scissione insita nella vita borghese. Nella visione di Lukács, Hegel condivide con i massimi esponenti di tale tendenza, Schiller e Goethe, la stessa impostazione di fondo, con la differenza che egli comincia a misurarsi – unico in Germania – non solo con la contraddittoria situazione tedesca, ma anche con i problemi della società capitalistica in generale, iniziando proprio a Francoforte lo studio dei classici dell’economia politica.
L’attenzione posta sulle questioni concrete del presente storico segna un distacco profondo rispetto alla concezione della società borghese come fenomeno di decadenza, contrapposto nel periodo bernese allo stato di libertà della polis greca [5]; adesso il problema si sposta sul rapporto delle esigenze soggettive del singolo e l’oggettività contraddittoria della società. Una “positività” quindi non più negata in blocco, ma considerata realisticamente in vista di una possibile conciliazione dei suoi contrasti: “la nuova fase dell’evoluzione di Hegel appare soprattutto in ciò che egli comincia a vedere nella società borghese un fatto fondamentale e immutabile, con l’essenza e con le leggi del quale deve fare i conti in sede teorica e pratica. Questo confronto comincia su una base molto soggettivistica. Vale a dire che Hegel non pone ancora il problema dell’essenza oggettiva della società borghese, come più tardi già a Jena. Il suo problema consiste piuttosto nel chiedersi come il singolo individuo debba fare i suoi conti con la società borghese, come i postulati morali e umanistici dello sviluppo della personalità entrino in contraddizione con la natura e le leggi di questa società, e come tuttavia possano essere armonizzati, conciliati con essa” [6].
L’atteggiamento realistico nei confronti del presente è il presupposto dell’indagine più concreta e oggettivistica – cioè non più dal punto di vista esclusivo dell’individuo – che Hegel compirà a Jena e che lo porterà a una comprensione sempre più approfondita “prima dei problemi della proprietà privata, e poi del lavoro come del fondamentale rapporto reciproco tra individuo e società” [7].
Si delinea così, nell’interpretazione lukacciana, la curiosa e insieme paradossale situazione, per cui in Hegel all’involuzione politica, provocata dall’abbandono del repubblicanesimo e dell’utopismo precedenti, non consegue una speculare regressione teorica, bensì l’acquisizione sempre più ampia dei contenuti e dei nessi reali della società borghese, in concomitanza con il progressivo sviluppo del metodo dialettico. Tutto ciò è, del resto, coerente col disegno lukacciano di dimostrare la continuità tra Hegel e Marx, il che richiede a sua volta la dimostrazione dell’origine storico-sociale delle categorie dialettiche.
A Francoforte Hegel tenta di dominare teoricamente gli aspetti della vita che gli si rivelano sempre più contraddittori, senza peraltro trovare la via della loro conciliazione e del loro superamento. Questa mancata soluzione, insieme all’incertezza e alla ricerca “a tastoni del nuovo” sono alla radice della tanto celebrata crisi, che, per Lukács, non è solo intellettuale, ma coinvolge esistenzialmente e psicologicamente la personalità di Hegel. La venatura mistica dei suoi tentativi ne è la conseguenza: le categorie di destino, di vita, di amore sono lì a testimoniarlo. Ma Hegel non è il solo a vivere tragicamente le contraddizioni della propria epoca; all’interno di questo orizzonte storico e come risposta alle sue lacerazioni sono sorti il Wilhelm Meister e, dopo lunga gestazione, il Faust di Goethe, il Wallenstein e gli scritti estetici di Schiller, opere queste di “portata storica universale” e nello stesso tempo segnate nei loro limiti dalla “miseria tedesca”: “sorge ora, per i maggiori umanisti borghesi tedeschi, la necessità complessa e contraddittoria di riconoscere, da una parte, questa società borghese, di affermarla come una realtà progressiva, come necessaria e sola possibile, e di scoprire e formulare, dall’altra, apertamente e criticamente le sue contraddizioni, di non capitolare apologeticamente di fronte all’inumanità connessa alla sua essenza” [8].
Una delle categorie centrali, tramite la quale lo Hegel francofortese cerca di dare forma alle proprie tendenze filosofiche, è l’amore. Poiché adesso, secondo Lukács, l’intenzione di Hegel non è più il rovesciamento della morta oggettività e la sua sostituzione con una radicalmente diversa, ma la prospettiva di una possibile “conciliazione” della coscienza individuale con la società borghese attraverso l’amore, la soluzione consiste nell’annullamento dell’indipendenza dell’oggettività in una unione mistica, che, nel rivelare il vizio idealistico originario della sua concezione della positività, finisce con l’identificare l’amore con la religione [9]. Il Frammento sull’amore del 1797 è in questo senso esemplare della “formulazione sfrenatamente mistica dell’amore” [10]; tuttavia, “nonostante il misticismo e la confusione di queste posizioni di Francoforte, esse sono state per lui la via necessaria alla comprensione del carattere contraddittorio della società borghese. E già per il fatto che l’amore ha questo carattere di transizione, il suo significato è diventato un altro” [11].
Note:
[1] Lukács, György, Der junge Hegel und die Probleme der kapitalistischen Gesellschaft (1948), Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica, traduz. di Solmi, R., Einaudi, Torino 1975, p. 122 e 132.
[2] Ivi, p. 133.
[3] Ivi, p. 140.
[4] Rossi, Mario, Da Hegel a Marx I. La formazione del pensiero politico di Hegel, Feltrinelli, Milano, p. 175.
[5] Vale la pena di notare la profonda analogia che v’è tra la prima concezione di filosofia della storia lukacciana – avanzata ne La teoria del romanzo – e la visione storica di Hegel nel periodo bernese; anche Lukács, infatti, contrapponeva rigidamente la società organicistica antica alla estraniazione del soggetto nella società moderna.
[6] Lukács, György, Il giovane Hegel…, op. cit., p. 151.
[7] Ivi, p. 152.
[8] Ivi, p. 160.
[9] Lukács, pur ammettendo la presenza del misticismo nello Hegel francofortese, respinge sdegnosamente il suo presunto romanticismo, come aveva sostenuto Dilthey e, sulla sua scia, gli interpreti del periodo imperialistico; egli ritiene che la critica di Hegel ad alcuni aspetti dell’ Illuminismo non abbia un carattere reazionario ma progressivo, non essendo registrabile nelle opere di questo periodo una nostalgia del passato.
[10] Ivi, p. 170.
[11] Ibidem.