Abbiamo visto che Sraffa utilizza la merce tipo, come metro che consente di valutare le merci senza fare alcun riferimento al tempo di lavoro e al contempo senza subire l’influsso delle variazioni nella distribuzione del reddito. Siamo di fronte a un modo completamente nuovo di determinare i prezzi e la distribuzione del reddito attraverso i parametri della tecnica, tutti ugualmente influenti a tale scopo, e non a partire dal solo tempo di lavoro diretto e indiretto, una volta conosciuta una variabile distributiva. Pertanto non si parla più di plusvalore, ma di sovrappiù, di una quantità di merci eccedente quella impiegata nella produzione.
Il sistema tipo, che ci consente di ragionare in termini di quantità fisiche a prescindere dai prezzi, rende visibile la relazione inversa tra salario e saggio del profitto. Viene designato con R il rapporto incrementale tra l’intero neovalore, o prodotto netto, e l’input di lavoro e mezzi di produzione, rapporto che è possibile determinare in termini di quantità fisiche. È chiaro che se il salario fosse pari a zero R sarebbe anche il corrispondente saggio del profitto, il limite massimo che può assumere tale saggio. Ponendo ω come la quota del prodotto netto che va ai salari, otteniamo che il saggio del profitto effettivo è dato da
r=R(1-ω) (1)
cioè sono evidenti gli interessi contrapposti di lavoratori e capitalisti.
Gli inediti di Sraffa, venuti alla luce in epoca più recente, mostrano chiaramente che Sraffa era un estimatore di Marx e che si proponeva, oltre allo scopo esplicitamente dichiarato di recuperare la teoria di Ricardo, di conferire rigore a quella marxiana e quindi metterla al riparo dai numerosi attacchi che essa stava subendo, con particolare riferimento al problema di derivare i prezzi di produzione dai valori. Se tale proposito non è stato esplicitato in Produzione di merci a mezzo di merci, è probabilmente per motivi di protezione personale: era ebreo e comunista in epoca di maccartismo e ha subito perfino un periodo di confino.
Fra coloro che hanno maggiormente apprezzato gli inediti, Giorgio Gattei riferisce alcuni loro contenuti [1]. Se al prodotto lordo, X, togliamo il valore dei mezzi di produzione, rimane il netto, Y, che Sraffa pone uguale a 1, come il lavoro vivo, L. In accordo con la teoria marxiana del valore, secondo cui solo il lavoro crea nuovo valore, il prodotto netto viene con ciò posto uguale al lavoro speso. Per negare il contributo dei mezzi di produzione al valore di Y, basta considerare X-Y alla stregua del capitale costante di Marx.
Questo netto, Y, ma anche L, viene ripartito fra salari e profitti:
L=Lw+rK (2)
e tale distribuzione svolgerà un suo ruolo nella determinazione dei prezzi.
Sraffa dimostra che tale relazione vale anche nel sistema reale. Inoltre, con w=0, è possibile rilevare dalla (2) e con elementari passaggi algebrici, che
r=R=L/K (3)
cioè il saggio del profitto massimo è l’inverso (L/K) della marxiana composizione organica del capitale (K/L) e che quindi, anche se i lavoratori campassero d’aria, il saggio del profitto tenderebbe a diminuire con l’aumento di tale composizione, come illustrato da Marx. Sraffa però non indica i motivi per cui la composizione organica dovrebbe necessariamente aumentare. Non può farlo, perché essa dipende anche dai prezzi delle merci impiegate come capitale. Inoltre sulla base di questo schema, aggiungiamo noi, dato che il saggio del profitto viene determinato da un semplice confronto fra quantità fisiche, ogni innovazione che aumenta la produttività determina un aumento del saggio del profitto. L’abbandono della teoria del valore di Marx comporterebbe pertanto anche l’abbandono della legge della caduta tendenziale del saggio del profitto.
Altro elemento che testimonia a favore dell’intenzione di Sraffa di validare, riformulandola, la legge del valore è la dimostrazione della possibilità di scomporre i prezzi delle merci nelle quantità di lavoro diretto e indiretto, cioè incluso quello “morto” contenuto nei mezzi di produzione, necessarie a produrle, tenendo conto della suddivisione nel tempo di tali quantità, e applicandovi il saggio di profitto a capitalizzazione composta per le annualità intercorse dal dispendio di lavoro ad oggi. Anche in questa costruzione si percepisce l’influsso di Ricardo che considerava nello stesso modo i prezzi naturali.
Tuttavia, come ebbe a sostenere Claudio Napoleoni in un carteggio amichevole con Sraffa, nel caso in cui una parte del sovrappiù eccedente le sussistenze vada ai lavoratori, non si può dedurre se è il capitalista che sfrutta il lavoratore sottraendogliene l’altra parte o se è il lavoratore che sfrutta il capitalista non lasciandoglielo per intero, come quando il lavoratore si accontenta di sopravvivere. Dopo questo scambio epistolare Sraffa, alla prima occasione che ebbe di incontrarsi con Napoleoni, si presentò ostentando scherzosamente un’andatura zoppicante, manifestando così l’ammissione della poca fermezza della sua costruzione.
Mentre Marx motiva che l’unica fonte del valore è il lavoro, Sraffa lo presuppone semplicemente ponendo Y=L. Ciò dipende dai diversi scopi delle rispettive teorie, l’una per far emergere lo sfruttamento, le contraddizioni e le leggi di movimento del modo di produzione capitalistico, l’altro per tentare di conferire maggiore rigore al sistema di analisi del primo.
Un’altra differenza rilevante è che lo schema di Produzione di merci evidenzia l’antagonismo fra capitale e lavoro solo sul terreno distributivo e non su quello del processo di produzione e si presta quindi più a supportare rivendicazioni riformistiche che lotte per un superamento del modo di produzione capitalistico. Crediamo invece che la sostanza di tale antagonismo stia nell’appropriazione di tempo di lavoro (e di vita, quindi) del lavoratore dal parte del capitalista.
Un altro elemento di differenza con Marx che parrebbe secondario è il pagamento posticipato dei salari. In realtà non lo è perché con questa soluzione diviene meno evidente l’annessione della forza-lavoro al capitale, con tutto ciò che ne consegue. Inoltre ponendo il prezzo, w, alle quantità di lavoro impiegate, si perde la distinzione fra lavoro e forza-lavoro che Marx aveva dichiarato essere la sua più importante scoperta.
Sraffa, al pari di altri marxisti, pare sottovalutare la rottura di Marx con i classici. Lo considera un classico, l’ultimo e forse il più conseguente. Se gli inediti mostrano le reali intenzioni di Sraffa è altrettanto oggettivo che la scuola che si è costituita sulle sue orme ha accentuato il distacco dal Moro e concordiamo con Ernest Mandel quando si lamenta che:
“mentre qualsiasi riabilitazione della teoria del valore-lavoro, anche in una versione premarxista, non può che essere accolta favorevolmente, noi stessi rimaniamo convinti che nessuna vera sintesi è possibile tra neoricardianismo e marxismo. I marxisti contemporanei hanno il dovere di difendere tutti quei progressi decisivi compiuti da Marx su Ricardo, che i teorici neoricardiani stanno ora cercando di annullare” [2].
Sostituire la forma valore con la forma prezzo, significherebbe accontentarci di una visione superficiale, fenomenica, delle relazioni economiche, non andare oltre la visione ideologica del capitalista, per il quale è indifferente investire in mezzi di produzione o in forza-lavoro. In tal modo il capitale diviene un aggregato di beni che assumono la proprietà di produrre un sovrappiù, a prescindere dalle relazioni sociali fra le classi. Si perderebbe anche tutta l’analisi del feticismo della merce e del capitale, cioè dei rapporti sociali che appaiono in forma di rapporti fra cose, che non può essere considerato elemento a sé stante dal concetto di valore.
Di buone intenzioni è lastricata la via dell’inferno. Se lo scopo esplicito di Sraffa era porre le basi per una critica della teoria economica marginalista, come recita anche il sottotitolo della sua opera principale, e quello non espresso dare una veste più rigorosa al contributo marxiano, il suo costrutto teorico è stato utilizzato, suo malgrado, per confutare il procedimento di Marx di trasformazione dei valori in prezzi di produzione. Anche quest’ultimo, infatti, parte da valori noti dei mezzi di produzione mentre, sostengono i critici neoricardiani, tali valori dovrebbero essere determinati simultaneamente ai prezzi degli output. Se così si facesse si otterrebbero prezzi degli input diversi da quelli presi in considerazione da Marx. Questi economisti hanno anche dimostrato [3] che così facendo gli aggregati utilizzati da Marx per determinare il saggio medio del profitto (capitale costante, capitale variabile e plusvalore) sarebbero, se espressi in termini di tempo di lavoro, diversi da quelli espressi in termini di prezzi di produzione e così anche il saggio del profitto sarebbe diverso. Con ciò la procedura di trasformazione dei valori in prezzi di produzione sarebbe errata. Inoltre il fatto che che i prezzi possono essere determinati a partire da quantità fisiche di input, senza complicarci la vita con il tempo di lavoro, meno immediatamente rilevabile, rende la teoria marxiana del valore “ridondante”.
Queste critiche a nostro modo di vedere partono da un fraintendimento della teoria di Marx. Interpretazioni relativamente recenti [4] sostengono che la sua procedura non utilizza i valori dei mezzi di produzione e della forza-lavoro in termini di tempo di lavoro socialmente necessario alla loro produzione, ma, come espressamente li denomina il Moro, i prezzi di costo, cioè il costo effettivamente sostenuto per il loro acquisto; il valore degli input corrisponde perciò al tempo di lavoro rappresentato dal denaro, quale “rappresentante universale del valore”, speso per procurarsi tali elementi. Infatti, se la metamorfosi del capitale assume la forma D-M-D’ (Denaro-Merce-Più denaro), all’inizio c’è un’anticipazione di denaro per acquistare mezzi di produzione e forza-lavoro – il capitale costante il capitale variabile, che quindi valgono il loro prezzo di acquisto – e alla fine una quantità maggiore di denaro. Il profitto e il saggio del profitto si determinano confrontando queste due grandezze. È il valore rappresentato da quel denaro anticipato – o, che è lo stesso, di C e V ai costi effettivamente sostenuti – che deve essere preso a base per determinare il suo incremento. Si tratta quindi di un valore già trasformato perché i vari elementi occorrenti al ciclo produttivo sono acquistati ai prezzi di mercato gravitanti intorno ai prezzi di produzione. Marx è anche consapevole che se invece si considerassero i valori come formulati nel libro I del Capitale, si cadrebbe in errore.
“Si era dapprima partiti dalla supposizione che il prezzo di costo di una merce sia uguale al valore delle merci consumate […] Per il compratore il prezzo di produzione di una merce si identifica con il prezzo di costo di essa e può entrare come tale nella formazione del prezzo di una nuova merce […] Il prezzo di costo di una merce può essere superiore o inferiore [… al] valore dei mezzi di produzione che entrano in quella merce. È necessario tenere presente questo nuovo significato del prezzo di costo e ricordare quindi che un errore è sempre possibile quando, in una determinate sfera di produzione, il prezzo di costo di una merce viene identificato con il valore dei mezzi di produzione in essa consumati. […] Il prezzo di costo delle merci è un prezzo dato, è un presupposto indipendente dalla produzione del capitalista, mentre il risultato della sua produzione è una merce che contiene plusvalore e quindi eccedenza di valore nei confronti del prezzo di costo di essa” [5].
Partendo dal prezzo di costo che per il capitalista è “un prezzo dato, è un presupposto”, si rigetta implicitamente anche la determinazione simultanea di prezzi e saggio del profitto. Invece un argomento a sostegno del procedimento simultaneo è che i prezzi debbono essere considerati come prezzi di riproduzione. Cioè per il capitalista non conta tanto quanto ha effettivamente speso, ma quanto dovrà spendere per ricostituire gli elementi del suo capitale consumati nella produzione, che è il prezzo risultante dalla soluzione delle equazioni sraffianne.
A nostro modo di vedere questa seconda impostazione, compatibile con la condizione di equilibrio dell’impresa e con quello generale, presuppone che il capitalista debba comunque realizzare sul mercato i prezzi di riproduzione, nega quindi la possibilità di squilibri derivanti da cambiamenti nel tempo dei prezzi. Non si tiene di conto inoltre che il saggio del profitto così determinato differisce da quello effettivamente conseguito, che è sempre comunque la differenza fra costi e ricavi effettivi. Non si considera infine che raramente, con i veloci mutamenti della tecnologia, i mezzi di produzione acquistabili oggi sono gli stessi di quelli acquistati anni prima e tuttora e utilizzati.
Occorre considerare che per molti tipi di produzione, quali l’agricoltura e l’edilizia, il tempo di rotazione del capitale è assai lungo e comunque per quasi tutti i tipi di produzione industriale, il capitale fisso si ammortizza in un notevole numero di anni, nel corso dei quali possono intervenire “grandi catastrofi”.
In generale non ci pare possibile determinare correttamente le variabili di un sistema in evoluzione senza tenere di conto delle condizioni di partenza. Il modello di Sraffa rappresenta quindi un sistema statico.
“Il confronto fra i valori delle merci in due epoche successive, confronto che il signor Bailey considera come una fantasia scolastica, costituisce piuttosto il principio fondamentale del processo di circolazione del capitale” [6].
Escludendo la determinazione simultanea dei prezzi degli input e di quelli degli output, in alcuni casi impossibile perché saremmo di fronte a merci qualitativamente differenti, il procedimento di Marx illustrato nel capitolo 9 del libro III del Capitale è internamente consistente, ancorché incompatibile col formalismo sraffiano.
Infine deve essere dato uno sguardo anche al successivo cap. 10 in cui si mostra come il processo di formazione dei prezzi di produzione passa attraverso il meccanismo dei valori e dei prezzi di mercato [7], dei problemi di realizzazione e dell’influsso di domanda e offerta e non si riduce a un calcolo per incrementare il prezzo di costo col profitto medio. Quest’ultimo, peraltro costituisce una necessaria astrazione in quanto nel mondo reale si assisterà piuttosto a uno sventagliamento di saggi del profitto settoriali (e anche individuali) che potranno più o meno discostarsi dal saggio medio.
La procedura di Marx, pur solo abbozzata nei manoscritti poi pubblicati come libro III del Capitale, non pare quindi necessiti importanti correzioni e l’incoerenza con la costruzione di Sraffa è perché quest’ultimo parte da presupposti e obiettivi completamente diversi. Il suo sistema, se mette a nudo alcune lacune del marginalismo, si mantiene sul suo terreno a-storico: il capitale è un insieme di beni, i prezzi sono relativi, la loro determinazione è simultanea, come in Walras, e non è preso in considerazione il tempo di produzione e di circolazione. Inoltre si dice ben poco delle problematiche del capitalismo (sovrapproduzione, tendenze storiche, progresso tecnologico…) che non rientrano fra gli oggetti dell’indagine. Né si tratta del ruolo cruciale della moneta, della durata della giornata lavorativa, dei metodi di estrazione del plusvalore, e così via. Non si parla più di “leggi di movimento” della società capitalistica; le classi sono solo nominate, ma non analizzate nella loro materiale esistenza; il capitale, da rapporto sociale è retrocesso a un insieme di beni eterogenei. Il denaro esiste solo nella sua funzione di numerario, cioè una merce che serve da unità di misura dei prezzi delle altre; il salario è considerato solo come variabile distributiva e non come una categoria sociale; manca una teoria della domanda e dell’offerta. Tutto si basa sui parametri della tecnologia forniti esogeneamente, senza indagare la loro definizione, e sulla conoscenza, senza sondarne la formazione, di una variabile distributiva.
In sostanza, al fine di conferire rigore all’impianto ricardiano e a quello marxiano, si limita l’oggetto di indagine prescindendo dai caratteri storicamente e socialmente determinati del capitalismo. E in più si impiegano alcuni espedienti del modello walrasiano, che pur si intende criticare: simultaneità, equilibrio generale e determinazione dei soli prezzi relativi.
La cosa di per sé è legittima. L’oggetto di Sraffa non è quello di Marx. Pierangelo Garegnani, suo esecutore letterario, ebbe a dire che “se Sraffa non si è occupato della determinazione sociale delle condizioni tecniche di produzione e quindi del «processo lavorativo»”, trattate adeguatamente altrove, il motivo è che “non era l’obiettivo di Produzione di merci a mezzo di merci affrontare tali argomenti”. Tuttavia “non sembra esserci, all’interno dell’analisi «neoricardiana», alcuna difficoltà a trattare il «processo lavorativo» in termini strettamente simili a quelli di Marx, e quindi rendere trasparente e confermare l’interesse che muove i capitalisti, individualmente e come classe, ad esercitare la loro «autorità e controllo» allo scopo di aumentare l’intensità del lavoro o per allungare la giornata lavorativa…” [8]. Per Garegnani, quindi, se la trattazione formale, tecnica, definita “fredda” da Riccardo Bellofiore, di Produzione di merci a mezzo di merci non affronta gli aspetti “caldi” adeguatamente sviluppati da Marx, non di meno essa non è in contraddizione con essi. E, di più, oggi le carte inedite mostrano che tali aspetti “caldi” sono assunti implicitamente, anche se non sviluppati, da Sraffa.
Rimane però il fatto che lo stesso Garegnani rimane orientato verso l’abbandono della teoria marxiana del valore e che la corrente sraffiana ha proseguito su questa strada per circa 60 anni, con “correzioni” di tale teoria estremamente distruttive senza che il caposcuola sia intervenuto in merito.
Sul piano dell’evidenza statistica, moltissimi studi econometrici attestano che l’andamento reale dei prezzi di mercato è strettamente correlato sia al tempo di lavoro necessario alla produzione delle merci, sia ai prezzi di produzione marxiani. Eduardo Ochoa sostiene: 1) che i prezzi di mercato sono strettamente correlati ai valori marxiani e ai prezzi di produzione, la deviazione media tra di loro dal 1958 al 1972 è oscillata dal 10,2 al 12,2% , 2) che la trasformazione dei valori in prezzi di produzione fa guadagnare poco in precisione, 3) che le curve salari-profitti hanno un andamento quasi lineare e che nell’arco di 25 anni non hanno mai avuto un andamento che potesse far supporre la possibilità del ritorno delle tecniche [9]. Anwar Shaik mostra che la deviazione media fra i prezzi di mercato e i valori è paragonabile a quella fra i prezzi di mercato e i prezzi di produzione calcolati attraverso il sistema tipo sraffiano e che ancora inferiore è la deviazione fra valori e prezzi di produzione tipo. Egli constata che in media i valori si discostano dai prezzi di mercato del solo 9,2% e che i prezzi di produzione si discostano dai prezzi di mercato dell’8,2%. La differenza è quindi minima ed è funzione lineare del saggio del profitto (è ovviamente nulla per r=0) [10]. Ciò potrebbe essere un indizio della conferma che le economie reali si approssimano al sistema tipo sraffiano.
Note:
[1] Sraffa sul pianeta Marx. Cronache marXiane, Maggio Filosofico, n. 6, http://www.maggiofilosofico.it/sraffa-sul-pianeta-marx-cronache-marxziane-n-6/.
[2] Ernest Mandel, Late capitalism, Verso Books, Londra, 1999.
[3] Basti citare Ian Steedman, Marx dopo Sraffa, Editori Riuniti, Roma, 1980.
[4] Riferire anche sommariamente della sterminata letteratura in materia non è possibile in questa sede. Ci limitiamo a segnalare alcuni significativi volumi collettanei che raccolgono una pluralità di posizioni al riguardo, spesso assai discordanti fra di loro. A cura di Roberto Panizza e Silvano Vicarelli, Valori e prezzi nella teoria di Marx. Sulla validità analitica delle categorie marxiane, Einaudi, 1981; a cura di Ernest Mandel e Alan Freeman, Ricardo, Marx, Sraffa. The Langston Memorial Volume, Verso editore, Londra 1984; a cura di Riccardo Bellofiore. Marxian Economics: A Reappraisal, Palgrave Macmillan, 1998; a cura di Alan Freeman e Guglielmo Carchedi Marx and non equilibrium economics, Capital & Class, #67, 1999;. In italiano si può vedere la raccolta a cura di Luciano Vasapollo, Un vecchio falso problema. La trasformazione dei valori in prezzi nel Capitale di Marx, Cestes-Proteo, 2002.
[5] K. Marx, Il Capitale, Libro II, Ed. Riuniti, 1989, pp. 205-6.
[6] K. Marx, Storia delle teorie economiche, Vol. II, ed. Einaudi, 1955, p. 547.
[7] Si veda su questo punto R. Fineschi, Ripartire da Marx. Processo storico ed economia politica nella teoria del “capitale”, La Città del Sole, Napoli. Di cui è uscita recentemente una nuova edizione dal titolo La logica del capitale. Ripartire da Marx, Istituto Italiano per gli Studi filosofici, Napoli, 2021.
[8] P. Garegnani, Neo-Ricardian Theory versus Marxian Theory, in AA.VV, Classical Political Economy and Modern Theory: Essays in Honour of Heinz Kurz, Routledge, Londra, 2011, p. 87.
[9] E. Ochoa, Valori, prezzi e curve salari-profitti nell’economia Usa, in AA.VV, Prezzi, valori e saggio del profitto. Problemi di economia marxista oggi, Atti del convegno di Milano del 1988 del Citep e del Centor carlo marx, Ed. Vicolo del Pavone, 1989.
[10] A.Shaik, The Empirical Strength of the Labour Theory of Value, in Conference Proceedings of Marxian Economics: A Centenary Appraisal, cit.