Segue da Il marxismo occidentale
Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare A. Gramsci su argomenti analoghi
La tragica esperienza della Prima guerra mondiale e l’approdo al marxismo e al comunismo
Lukács vive una profonda crisi ideale e politica prima per lo scoppio della Prima guerra mondiale, tanto che riprendendo una formula di Fichte considera il suo tempo come l’epoca della “compiuta peccaminosità”. Tale crisi ha una svolta con le grandi speranze in lui suscitate dalla Rivoluzione russa dell’ottobre 1917, che lo porta a rimettere radicalmente in discussione le sue convinzioni filosofiche e politiche giovanili. Queste ultime gli paiono ora radicate in un mondo destinato a un irreversibile tramonto. Ciò lo porta a studiare a l’opera di Marx la cui scoperta gli consente di superare definitivamente la propria crisi esistenziale.
L’esperienza al contempo epica e tragica nella Repubblica ungherese dei consigli
Così, alla conclusione del conflitto assume incarichi di primo piano nella Repubblica dei consigli ungherese per conto del partito comunista, a cui si è scritto alla fine della guerra. Di tale esperienza restano diversi saggi volti a indagare il movimento consiliare nell’ottica di un’indagine marxista del rapporto fra etica e politica, tesa a riscoprire le origini filosofiche del comunismo oltre Marx nella morale kantiana e negli scritti del giovane Fichte e di Hegel. Dopo la rapida e tragica sconfitta di tale esperienza, tradita dai socialdemocratici e rimasta isolata dopo la sconfitta della Rivoluzione in occidente, Lukács, condannato a morte in contumacia, è costretto a lasciare il paese e vive in esilio prima a Vienna e poi a Berlino.
Storia e coscienza di classe
Nel 1923 Lukács pubblica la sua principale opera giovanile: Storia e coscienza di classe, in cui raccoglie una serie di saggi scritti a partire dal 1919 sino al 1922. Detti saggi, che segnano la rinascita della filosofia marxista in occidente, sono connessi da un filo rosso costituito dall’indagine volta a enucleare il metodo filosofico del marxismo, che Lukács individua – attraverso un attento studio dell’opera di Marx – nella dialettica. Quest’opera non solo rende internazionalmente noto l’autore, ma avrà un eccezionale successo destinato a durare, con alti e bassi, sino ai giorni nostri. Tale testo per la riscoperta della centralità del legame fra Hegel e Marx, e in particolare per l’importanza che assegna alla dialettica hegeliana nell’opera di Marx, per l’accento posto sulla soggettività sociale e politica, per la cesura tanto con il positivismo e l’economicismo, quanto con la dialettica della natura divenuta la base del Diamat, è stato considerato l’opera che ha inaugurato il marxismo occidentale.
La critica al metodo allora egemone del positivismo al quale Lukács contrappone la dialettica
Lukács muove dalla critica al positivismo – ideologia dominante capace di egemonizzare lo stesso marxismo della Seconda Internazionale – che pretende di studiare i fenomeni sociali in modo analitico e intellettualistico, senza considerarli nel legame organico con l’insieme, ovvero del modo di produzione di cui sono parte. Inoltre Lukács intende contestare la concezione positivista che affrontava i fenomeni sociali utilizzando il metodo delle scienze naturali: il risultato è la presunta naturalizzazione degli assetti sociali del modo di produzione capitalistico, assunti dal positivista come dei “fatti” e non come dei prodotti storici. In tal modo, il positivismo, non a caso presto assunto a ideologia dominante, giustifica come necessari gli assetti sociali esistenti, accogliendo acriticamente il modo capitalistico di produzione con tutte le sue contraddizioni. Il metodo dialettico si oppone a questa considerazione dei fenomeni sociali, che non li storicizza, non ne coglie la natura transitoria e, soprattutto non ne comprende il legame organico che li unisce tra loro. La scienza sociale non è, come credono i positivisti, oggettiva al modo delle scienze naturali, dal momento che il soggetto che la studia ha necessariamente un interesse pratico e teoretico per il suo oggetto. Perciò, al positivismo delle scienze sociali borghesi che tendono a spacciare per necessario e immutabile il contesto storico-sociale esistente, il marxismo deve contrapporre una comprensione materialistica e dialettica della storia, non intesa quale mero divenire degli eventi, in quanto nel corso del mondo – inteso come una totalità processuale – è possibile individuare la razionalità dei mutamenti in atto, al cui fondamento si trova il conflitto fra le classi sociali.
La reificazione
La stessa tendenza del positivismo a ritenere i rapporti sociali indagabili in modo assolutamente distaccato e oggettivo, sarebbe a parere di Lukács il portato della reificazione che caratterizza la società capitalistica. In quest’ultima, infatti, i rapporti sociali fra gli uomini si presentano nella forma reificata di rapporti fra oggetti, ovvero fra merci, e paiono indipendenti ed estranei alla volontà dei soggetti. La forza-lavoro che produce le merci è a sua volta ridotta a merce e, come tale, è scambiata e impiegata, sotto il dominio di leggi economiche della produzione capitalista che si presentano come naturali e necessarie. Bisogna sottolineare come, secondo Lukács, il modo di procedere che contesta al positivismo rispecchi quello che accade nel modo di produzione capitalistico e, più in generale nella sua società, dove regnano la divisione del lavoro e la scomposizione del processo lavorativo: da questo punto di vista, la considerazione della realtà come un insieme di fatti “isolati”, da parte del positivista, può essere considerato una sorta di riflesso di una realtà sociale, caratterizzata dalla perdita di legami sociali, in quanto il modo di produzione capitalistico tende a ridurre ogni cosa, anche la più elevata, a una merce che si rapporta alle altre sulla base di rapporti puramente quantitativi espressi dal denaro.
Il concetto di “totalità”
Al metodo positivista Lukács contrappone la teoria sociale marxista, ovvero la nuova scienza sociale inaugurata da Marx incentrata sul concetto hegeliano di totalità che porta a studiare la società non come un aggregato, ma come un insieme organico, in cui ogni componente trova senso unicamente nella relazione con le altre e con l’insieme, con il tutto. Al contrario le scienze storiche e sociali borghesi, denuncia Lukács, hanno abdicato al loro compito di comprendere la totalità dinamica e processuale dei fenomeni che analizzano. Ciò è dovuto a un atteggiamento sociale e di riflesso esistenziale difensivo dell’intellettuale borghese, che si riflette nella sua concezione statica dell’insieme sociale. Al contrario, la metodologia marxista esclude ogni determinismo nel rapporto fra struttura e sovrastruttura, dal momento che tanto i fenomeni economici, quanto i fenomeni coscienziali sono forme della vita sociale connesse in una totalità in cui è tolta l’opposizione fra soggettività e oggettività. In altri termini, superando dialetticamente tale contrapposizione in una totalità che le ricomprende, la concezione dialettica del marxismo si oppone a quella volgare che stabilisce un rapporto deterministico fra struttura economia e sovrastrutture culturali.
Di contro al determinismo sociologico, incapace di comprendere la vita sociale quale processualità storica – il cui motore è costituito dalle contraddizioni e dalle interazioni fra le componenti sociali di cui si compone – e la centralità dell’azione della soggettività sociale consapevole di sé e organizzata, quale fattore determinante dello sviluppo sociale, Lukács rivendica la centralità della coscienza di classe e della prassi. La tensione e l’unità dialettica di essere e coscienza, intesi quali momenti di uno stesso processo dialettico storico-reale, consente a Lukács di considerare il marxismo quale superamento dialettico della tradizionale dicotomia fra realismo e idealismo. In tal modo Lukács intende fare i conti con la sociologia weberiana – che aveva influenzato la sua stessa formazione – incentrata sulla presunta impossibilità di stabilire connessioni fra la ragione formale delle scienze e la ragione storica, il finalismo politico, ovvero a negare la filosofia della storia. La conoscenza non è mai separabile dal proprio agire nella società e, dunque, tale interazione del soggetto con l’oggetto non può esser considerato un limite. A parere di Lukács è proprio chi analizza la società con l’intenzione di trasformarla, in accordo con le linee dello sviluppo storico, ad esserne il miglior interprete. Tale nesso dialettico fra teoria e prassi è incarnato dalla coscienza di classe, che permette di comprendere il motivo per il quale agli occhi della borghesia la società appaia come un dato naturale e astorico, mentre per il proletariato che intende modificarla, sulla base di un’azione storicamente adeguata, essa si presenti come una totalità dinamica, ovvero nel modo più adeguato a comprendere i processi di fondo dell’insieme sociale e dunque per intervenire su di essi nel modo più consapevole ed efficace.
La critica alla dialettica della natura
Contrapponendo il metodo delle scienze naturali a quello delle scienze sociali e mettendo al centro il concetto di totalità, Lukács critica Engels, che avrebbe preteso di considerare la dialettica come un metodo valido per ogni ambito. Ciò non sarebbe possibile dal momento che nella natura sarebbero assenti le determinazioni fondamentali della scienza sociale: la storicità, il concetto di totalità, l’interazione reciproca di soggetto e oggetto, l’unità di teoria e prassi. In altri termini, nel mondo puramente naturale mancherebbe lo sviluppo di quel substrato storico su cui si fonda il processo dialettico del concetto. Dunque, secondo Lukács, il metodo dialettico è valido unicamente per l’analisi delle scienze storico-sociali. È solo un insieme sociale che può essere compreso nella sua storicità, ossia come un processo contraddittorio che si sviluppa non solo come la natura mediante un’evoluzione quantitativa, ma soprattutto attraverso salti qualitativi che consentono di superare le contraddizioni del precedente sistema socio-economico. Allo stesso modo i fenomeni sociali sono comprensibili solo all’interno della totalità dialettica concreta di ogni specifica formazione economico-sociale. Perciò, sostiene Lukács, di contro alla filosofia della natura di Engels assunta quale fondamento del Diamat, il marxismo non è una teoria generale dello sviluppo della realtà, ma la “teoria della società capitalista”.
Feticismo e alienazione
La consapevolezza che il soggetto sociale sia l’artefice della storia è oscurata nel mondo capitalistico dal feticismo, che si estende dalla cellula del capitalismo, la merce, all’intero insieme sociale. La società capitalistica produce alienazione in quanto la sua ricchezza – le merci e i capitali – è prodotta dalla forza-lavoro che, però, in non riconosce in essa il risultato del proprio operare e finisce per essere dominata da detta ricchezza, nel momento in cui assume la forma di capitale. Nel mondo capitalista, dominato dalla reificazione e dal feticismo della merce, vi è, dunque, un’inversione del rapporto fra soggetto e oggetto, in quanto il produttore è dominato dal suo prodotto, ovvero dal capitale.