Da Comte a Spencer

Dalle ragioni del successo del positivismo, al positivismo utilitarista anglosassone, al darwinismo sociale


Da Comte a Spencer Credits: https://www.gazzettafilosofica.net/2019-1/settembre/darwinismo-sociale-come-la-selezione-diventa-innaturale/

Segue da: “Il positivismo

Link al video della lezione dell’Università popolare Antonio Gramsci su argomenti analoghi

Come il positivismo pretende di eliminare i conflitti sociali del capitalismo

Secondo Auguste Comte la politica divenuta positiva grazia alla sociologia sarà in grado di risolvere la più grave problematica della società contemporanea, capitalistica, ovvero la misera condizione di vita delle masse, senza, però, mettere in discussione i rapporti di produzione e di proprietà, ovvero la proprietà privata dei grandi mezzi di produzione e la subordinazione gerarchica dei lavoratori salariati agli impresari, che Comte considera necessaria. La politica positiva – in linea con la concezione sociale della chiesa cattolica e con quanto mireranno a realizzare i regimi fascisti – farà comprendere a imprenditori e lavoratori salariati il loro ruolo e i loro doveri sociali, consentendo una pacifica cooperazione fra la testa (i capitani d’industria) e le braccia (il proletariato). In tal modo, la modernissima sociologia di Comte si rifà in realtà all’antichissimo apologo reazionario attribuito al patrizio romano Menenio Agrippa, ripreso dalla concezione politica organicista del romanticismo, per cui i conflitti sociali non avrebbero senso, essendo le classi dominanti la testa e le classi subalterne, per natura, gli arti del medesimo corpo sociale. Per cui sarebbe evidente che unicamente mediante la subordinazione degli arti alla testa, il corpo sociale potrà svilupparsi in modo sano, naturale, razionale e pacifico. Per altro, consapevole della difficoltà di sedare il conflitto sociale con queste vecchie massime reazionarie, Comte sostiene, inoltre, la necessità di stabilire una comune autorità morale indipendente e illuminata, che dovrebbe consentire di conciliare, in modo imparziale, i contrasti fra le classi sociali. Anche in tal caso, la nuova scienza sociologica fondata da Comte non fa che recuperare il medievale modello del potestà, che non a caso permise al popolo grasso di prevalere sul popolo minuto, al prezzo della trasformazione dei comuni in signorie. Si tratta, per altro, di un modello che sfrutteranno i fascisti, presunti pacieri del conflitto sociale, per conquistare un potere totalitario.

Le ragioni del successo del positivismo

Queste concezione politiche e sociali di Comte – decisamente conservatrici, se non reazionarie – consentono di capire quanto tale visione del mondo fosse funzionale alla classe dominante e dirigente alto borghese per cementificare il proprio potere, al punto da farla assurgere a ideologia dominate in praticamente tutti i paesi capitalistici. In tal modo, il positivismo ha influenzato ideologicamente in modo profondo tutte le scienze umane: dalla critica letteraria, alla pedagogia, alla politica e al diritto, oltre alla filosofia.

Il positivismo utilitaristico anglosassone: Spencer e l’applicazione dell’evoluzionismo alle scienze sociali

Il più significativo esponente del positivismo anglosassone è stato Herbert Spencer (1820-1903). Spencer si definisce utilitarista, concezione essenziale alla società capitalistica e decisamente dominante nel mondo anglosassone, in cui più forte è la tradizione liberale. D’altra parte Spencer intende prendere le distanze dalla concezione predominante elaborata da Jeremy Bentham, uno dei massimi ideologi del modo di produzione capitalistico. Secondo la concezione di quest’ultimo, l’azione dell’uomo deve essere considerata buona quando è utile, ossia quando contribuisce alla felicità o alla mancanza di infelicità del maggior numero di persone possibili. A parere di Spencer questa “filosofia del tornaconto” – come la definisce in modo sprezzante – è rozzamente empirista e l’immediatezza del calcolo edonistico proposto da Bentham non può assurgere a legge scientifica, sulla cui base stabilire quale azione sia buona o meno.

Le intuizioni morali fondamentali sono trasmesse, secondo Spencer, mediante l’eredità biologica

Spencer ritiene, al contrario, che nell’evoluzione dell’umanità si siano formate delle fondamentali intuizioni morali, quale risultato di ripetute esperienze di utilità, che si sono un po’ alla volta organizzate e sono trasmesse con l’eredità biologica, tanto da divenire indipendenti dall’esperienza cosciente dell’individuo.

La Statica sociale

Nel 1851 Spencer dà alle stampe quella che definisce statica sociale, ovvero la sua concezione della sociologia, caratterizzata dall’attitudine tipicamente positivista di voler dare un fondamento scientifico alle scienze sociali utilizzando il metodo scientifico che si è già affermato nelle scienze naturali. Spencer a conferma della sua morale, che pretende sia fondata scientificamente, si richiama ai postulati del deismo settecentesco britannico, ovvero la perfettibilità dell’uomo, l’equilibrio degli interessi in assenza di interventi dello Stato sulla società civile e la fatalità del progresso. A quest’ultima credenza, Spencer crede di poter dare una base scientifica, sostenendo che il progresso sarebbe garantito da una legge organica del vivente, sviluppata dalla biologia, ovvero la legge dell’adattamento dell’individuo al proprio ambiente naturale, che tende a stabilire una congruità fra le facoltà dell’agente e le circostanze dell’azione, evitando così, progressivamente, le azioni cattive.

Scientismo e religione

Spencer mira a superare la principale remora della classe dirigente ad assumere “ufficialmente” il positivismo quale ideologia dominante, ossia la sua attitudine essenzialmente agnostica nei riguardi della religione, che da sempre costituisce uno dei fondamentali instrumentum regni. Per altro tale posizione scettica verso le credenze religiose favoriva il fiorire nel positivismo di posizioni materialiste che, per quanto rozze potessero essere, accrescevano il terrore sociale della classe dominante. Per superare tali remore e timori Spencer mira a saldare lo scientismo tipico della cultura positivista con la concezione deista del fondamento divino della conoscenza, utilizzando come termine medio la dottrina dell’inconoscibile. In altri termini, il carattere relativo e fenomenico che avrebbe la conoscenza umana – sulla base delle ripresa della gnoseologia empirista di Hume con il suo esito scettico – rininvierebbe necessariamente a qualcosa di assoluto e reale che non ci è dato conoscere. In tale sfera dell’assoluto – presupposto come inconoscibile nella prospettiva intellettualistica di Spencer – avrebbe sede tanto la nostra credenza nella realtà oggettiva del mondo e, quindi, le idee ultime della scienza, con un’evidente riprese della prospettiva romantica di Jacobi. In tale assoluto trascendente avrebbe sede anche l’idea astrattissima di dio, fondamento di ogni religione positiva, con ancora una volta una ripresa delle concezioni deiste del diciottesimo secolo. Per altro, questa concezione della religione, come già denunciava a ragione Hegel, è particolarmente primitiva e barbara, dal momento che, proprio al contrario, la storia della religione è caratterizzata dal legame sempre più profondo e stretto fra uomo e dio, sino ad arrivare, con il compimento del cristianesimo, alla completa fusione di universale e singolare. Al contrario qui, come già nella concezione di Kierkegaard e del secondo Schelling si ripresenta la concezione reazionaria e irrazionalistica della religione come assoluta trascendenza, inaccessibile in quanto tale alla ragione umana. Si ripropone così la più completa contrapposizione fra un sapere condannato intellettualisticamente alla conoscenza del finito e la fede irrazionale quale unico accesso all’assoluto, ipostatizzato in un dio posto, ancora in modo intellettualistico, in una assoluta distanza dal mondo umano, dalla razionalità e dalla moralità

La conciliazione fra scienza e religione

Questa presunta conciliazione fra scienza e religione spiega il grande successo del pensiero di Spencer nel mondo occidentale fra i due secoli. Tale concezione, in effetti, consentiva al filisteo borghese di professare una visione immanentista e laica della scienza – divenuta una moda fra le persone colte e necessaria per portare avanti con successo i propri affari – senza trarne conseguenze materialistiche e agnostiche, che alla classe dominante apparivano, necessariamente, sovversive e pericolose. Altro motivo del grande successo di Spencer è l’aver preteso di dare una veste scientifica alla teoria del progresso lineare, ideologia dominante nella seconda metà dell’Ottocento, suffragata da uno sviluppo economico che appariva agli intellettuali borghesi, apologeti della società capitalistica, inarrestabile. Spencer, in particolare, applica alla teoria del progresso lineare il concetto – al solito desunto acriticamente dalle scienze naturali – di evoluzione. Per altro tale concetto è assunto secondo la concezione Jean-Baptiste de Lamarck – da cui Spencer riprende la presunta eredità delle azioni maggiormente utilitaristiche – che proprio allora Charles Darwin aveva superato e, sostanzialmente, confutato.

Il Sistema di filosofia sintetica e il concetto di evoluzione

Spencer – con la consueta tendenza degli apologeti del capitalismo a naturalizzare la società borghese – pretende che l’evoluzione, interpretata come passaggio dall’omogeneo all’eterogeneo, dal semplice al complesso, consentirebbe di spiegare la necessaria differenziazione sociale e la divisione del lavoro, come lo sviluppo della mente individuale. Perciò gli occidentali, che avrebbero seguito questo percorso evolutivo, sarebbero decisamente superiori alle popolazioni extraeuropee che non avrebbero seguito questo sviluppo. In tal modo la concezione di Spencer consente di giustificare in un modo pseudoscientifico la politica imperialista occidentale. A partire dallo pseudo-legame fra evoluzione naturale, differenziazione sociale e divisione del lavoro – tratti caratteristici delle società capitaliste – Spencer elabora fra il 1862 e il 1899 un monumentale Sistema di filosofia sintetica, che si apriva con un volume di Primi princìpi, per passare in seguito ad analizzare la legge dell’evoluzione in biologia, psicologia, sociologia ed etica. In altri termini, la concezione dell’evoluzione biologica pseudo-scientifica di Lamarck viene assunta acriticamente da Spencer come chiave unica per comprendere sia le scienze sociali, che l’etica e la morale.

Lo pseudo darwinismo sociale

Concependo il corpo sociale romanticamente come un insieme organico soggetto a evoluzione, Spencer pretendeva di dare un fondamento scientifico alla concezione etico-politica dominante nella società capitalista, ovvero il liberalismo. Partendo dall’assunto, non dimostrato, che la società sarebbe un organismo dotato di una legge naturale evolutiva, indipendente dalla volontà umana, ogni interferenza legislativa dello Stato, della democrazia o del socialismo, nello sviluppo dei rapporti sociali non potrebbe che essere considerata dannosa, innaturale e irrazionale. Così, riprendendo le concezioni più antiche ed estreme del liberismo economico, Spencer sostiene apertamente che i più deboli, anche dal punto di vista sociale ed economico, non devono essere salvaguardati dalle leggi, di un innaturale e irrazionale Stato sociale, ma devono essere lasciati al loro tragico – ma inevitabile e indispensabile all’evoluzione della specie – destino, ovvero l’essere schiacciati dagli individui più potenti, i soli che potrebbero garantire una sana, naturale e razionale evoluzione della specie. Come è evidente queste testi, riprese e radicalizzate da Nietzsche, troveranno una radicale realizzazione nella Germania nazionalsocialista, in parte ispirata dalle politiche eugenetiche sviluppate dapprima negli Stati uniti, proprio a partire dalle concezioni pseudo scientifiche di Spencer.

13/09/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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