Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare A. Gramsci su argomenti analoghi
Segue da “Utopia e speranza: il marxismo di Bloch”
Per una sintesi dell’analisi scientifica della società e della portata emancipatoria dell’utopismo
Ernst Bloch non considera il pensiero mitologico-religioso come un residuo di un’epoca storica ormai superata, ma ritiene essenziale, per non ridurre il marxismo allo scientismo positivista, evidenziare come il marxismo rettamente inteso rappresenti la sintesi fra analisi scientifica della società e portata emancipatoria dell’utopismo. La componente utopica ed escatologica della religione, che il marxismo ha ereditato, sorge dal fondamento umanistico della concezione del mondo mitologico-religiosa volta a risolvere dei bisogni reali della società e dei bisogni profondi esistenziali dell’uomo. Perciò Bloch reinterpreta il marxismo come una concezione del mondo tutta incentrata sull’esigenza di emancipazione completa dell’uomo, in una prospettiva escatologica tesa, secondo il dettato del giovane Marx, a umanizzare la natura e a naturalizzare l’uomo. Il marxismo tesaurizza, dunque, la carica utopista della tradizione giudaico-cristiana e del socialismo primitivo, ma mediante una sua concretizzazione, tanto a livello teorico che pratico, ne supera il carattere astratto mediante l’analisi delle linee di sviluppo della realtà sociale. L’importanza della tradizione filosofica fondata da Marx è, a parere di Bloch, proprio nella rottura con una concezione del sapere rivolta alla contemplazione del presente o alla riflessione sul passato in nome del nesso indissolubile fra teoria e prassi e nell’aver dato concretezza alla carica utopista e millenarista della tradizione religiosa e del pensiero utopico.
Ateismo nel cristianesimo
Negli ultimi anni della sua vita Bloch approfondisce la sua originale interpretazione del marxismo, a partire dai suoi profondi legami con la tradizione teologica millenarista. Nonostante Bloch non intenda rinunziare al suo dichiarato ateismo, crede che la carica utopista presente in alcune tradizioni religiose possa servire da antidoto all’utilitarismo, al consumismo e al disperato scetticismo delle società occidentali secolarizzate. Riprendendo e sviluppando tesi della sua monografia giovanile su Thomas Münzer teologo della rivoluzione (1921), in cui aveva individuato nel leader politico e religioso della rivolta contadina del 1525 un precursore del socialismo, in Ateismo nel cristianesimo (1968) Bloch cerca di mostrare come la religione non possa essere considerata soltanto mero oppio dei popoli. Egli si sforza di ricostruire una tradizione del pensiero teologico-religioso che avrebbe mirato a concretizzare storicamente il “principio speranza” – , che caratterizzerebbe l’intera tradizione giudaico-cristiana – non rinviandone la realizzazione a una dimensione transeunte il mondo storico, trascendente il mondo dell’uomo. Per la loro carica rivoluzionaria, tali tendenze utopiste sono state spesso condannate come eretiche dalla Chiesa ufficiale, generalmente interessata alla difesa dell’ordine costituito e che, quindi, coglieva un pericolo in ogni affermazione concreta del principio speranza.
Per una rielaborazione della concezione marxista della religione
La distinzione tra religioni istituzionalizzate ed eretiche consente a Bloch di approfondire la concezione marxista della religione. Mentre per la prima tipologia sarebbe valida la posizione marxiana, che critica le religioni istituzionalizzate quali forme dell’alienazione umana, le seconde esprimerebbero una tensione escatologica e rivoluzionaria volta alla realizzazione del regno di dio nella storia e, perciò, porrebbero in discussione l’ordine costituito. La stessa idea di doversi preparare per il ritorno del Redentore significa operare una rigenerazione radicale del proprio essere in vista della compiuta emancipazione umana. Il marxismo è, secondo Bloch, l’erede naturale di tali tendenze, in quanto, mediante un’analisi rigorosa della società, offre una prassi storica di liberazione in grado di concretizzare e realizzare lo spirito utopico presente nelle differenti credenze religiose. Come tale il marxismo, a sua volta, non deve rinunciare allo spirito dell’utopia di cui sono portatrici le religioni eretiche, altrimenti esso si ridurrebbe a un’impotente constatazione della realtà di fatto, ovvero delle distorsioni e ingiustizie delle società capitaliste. D’altra parte lo stesso comunismo non può essere considerato, secondo Bloch, come l’orizzonte ultimo dell’uomo, poiché altrimenti esso verrebbe ad annullare quel principio speranza che costituisce la risorsa principale della natura umana. In tal modo, andrebbe perduto il decisivo nesso dialettico fra teoria e prassi, finendo con il cadere nell’economicismo che porta con sé l’opportunismo gradualista. Tali tematiche vengono affrontate in una dimensione teoretica in Experimentum mundi (1975), in cui Bloch affronta la questione del principio speranza mediante l’analisi della categoria logico-ontologica della possibilità.
J. P. Sartre: esistenzialismo, engagement e marxismo
Link alla videolezione tenuta su argomenti analoghi per l’Università popolare Antonio Gramsci
1. Vita e fase fenomenologica
Al marxismo occidentale fa riferimento anche un autore esistenzialista ateo come Sartre che ha creduto possibile una sintesi di esistenzialismo e marxismo nel comune umanesimo che li caratterizzerebbe. Filosofo, romanziere, drammaturgo, intellettuale impegnato politicamente, Jean-Paul Sartre, nato a Parigi nel 1905, è stato una delle figure centrali della cultura francese del Novecento. Dopo la laurea studia in Germania entrando in contatto con Husserl e Heidegger. Tornato in Francia compone le prime opere sotto l’influenza della fenomenologia di Husserl, polemizzando con la psicologica quantitativa del positivismo. Sartre ritiene che i fenomeni psichici non possono essere trattati come fatti accertabili con metodo matematico-statistico. Si tratta, al contrario, di individuare l’essenza trascendentale dei fenomeni della coscienza. Così, ad esempio, solo dopo aver individuato l’essenza dell’emozione nel modo in cui l’uomo vive la sua relazione con il mondo, potremo intendere i fenomeni riconducibili alla sfera emotiva dell’uomo.
La trascendenza dell’ego e il rapporto sempre mutevole fra io e mondo
Ciò non significa che il soggetto sia indipendente dalla realtà anzi, come mostra Sartre in La trascendenza dell’ego del 1936, la relazione con il mondo è un carattere costitutivo dell’uomo. L’Io non è una sostanza, ma è una coscienza sempre in un rapporto diverso con il mondo. Il senso e l’unità con la coscienza si realizzano solo nell’atto dell’intenzionalità, ossia nel rapporto concreto della coscienza con il mondo.
Immaginario su cui si fonda la libertà dell’uomo nei riguardi della realtà
L’opera più importante di questi anni è Immaginario (1940), in cui Sartre contesta che l’immagine sia considerata una mera riproduzione della realtà. Essa, pur avendo un correlato oggettivo, è prodotta dalla coscienza e, dunque, si distacca dalla realtà. Così l’immaginazione diviene il fondamento della capacità dell’uomo di prendere le distanze dalla realtà, negandola. Sull’immaginazione si fonda dunque la libertà dell’uomo nei riguardi della realtà.
2. Il passaggio all’esistenzialismo
L’accentuazione del legame uomo-mondo allontana Sartre da Husserl per avvicinarlo a Heidegger, che intende l’esserci come essere-nel-mondo. Così dall’analisi della coscienza Sartre passa all’analisi dell’esistenza umana, concependo l’io come un esistente gettato nel mondo e radicalmente condizionato da esso. Secondo Sartre nell’uomo l’esistenza, quale presenza effettiva nel mondo, precede l’essenza. L’uomo si crea la propria essenza soffrendo e lottando nel mondo, ma tale essenza non è mai conclusa e completa, dal momento che l’esistenzialismo si rifiuta di attribuire all’uomo una natura fissa, una volta per sempre. L’uomo non è dunque preordinato dalla sua natura specifica, ma deve crearsela. L’uomo è libero, in quanto è una possibilità che può realizzarsi o meno.
L’essere e il nulla: è l’esser per sé che nega l’inseità e dà senso al mondo
Queste sono le tesi di L’essere e il nulla (1943), la prima grande opera sistematica di Sartre, di orientamento decisamente esistenzialistico. In tale opera la distanza fra l’uomo e il mondo si fa più radicale con la distinzione fra l’essere-in-sé e l’essere-per-sé. L’essere-in-sé è la realtà immediata, priva di intenzionalità, è il dato bruto nella sua opacità, che ci circonda e condiziona. Non è perciò qualcosa di del tutto esterno a noi, dal momento che la nostra coscienza sarebbe vuota senza il rapporto all’essere-in-sé. Al contempo la nostra coscienza mantiene la propria autonomia che Sartre indica come l’essere-per-sé. La coscienza rapportandosi al dato ne nega l’inseità e la mancanza di senso, costringendolo ai propri significati.
La coscienza come potenza nullificante il puro dato
Per questa doppia prerogativa di non essere il dato, ma di poter attribuire a esso dei significati, Sartre chiama il per-sé nulla, intendendo con questo termine non il contrario dell’essere, ma la coscienza, che sorge come potenza nullificatrice del puro dato e come fonte di significati rispetto all’in-sé. Per Sartre affermare che l’uomo è coscienza, o per-sé, equivale a dire che l’uomo è libero, perché “annulla” la realtà attribuendole una serie di significati che in un certo senso la dominano (ad esempio, entro in una stanza e la mia libertà entra in azione quando io proietto sugli uomini e sulle cose che vedo una serie di significati e di valori: bello, brutto, simpatico, ecc.). L’esser-per-sé avverte una doppia lacerazione: è estraneo a sé in quanto gettato nel mondo e al contempo non si sente in armonia con il mondo. Così da una parte la coscienza nega se stessa per proiettarsi nel mondo, dall’altra nega gli oggetti appropriandoseli. Ogni atto della coscienza è, dunque, una negazione e ogni scelta si fonda su un desiderio, radicato nella mancanza di qualcosa. Del resto è proprio questo senso di mancanza che spinge la coscienza a proiettarsi costantemente fuori di sé. Tale senso di mancanza deriva dall’assenza di una giustificazione trascendente della vita umana e dall’incapacità dell’uomo di auto-fondarsi.
L’esistenza è condannata, per costituzione ontologica, a essere libera
La libertà, intesa come nullificazione coscienziale del mondo, mediante l’attribuzione a esso di una serie di significati, coincide dunque, per Sartre, con la struttura stessa dell’esistenza, che pertanto risulta condannata, per costituzione ontologica, a essere libera.
Dall’assenza di garanzie trascendenti che guidino l’uomo sorge l’angoscia e la responsabilità
Ciò rende ogni azione infondata e, dunque, egualmente possibile. Questo è l’orizzonte della libertà cui è condannato l’uomo, in quanto nel suo progettarsi urta nell’impossibilità di discernere fra le infinite possibilità. Dall’assenza di garanzie trascendenti e metafisiche che possano guidare l’agire umano sorge l’angoscia, ma anche la responsabilità. L’angoscia (tematica di ascendenza kierkegaardiana) accompagna, dunque, inevitabilmente ogni scelta dell’uomo.