Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci su questo argomento
Segue da: “Gran Bretagna e Francia fra le due guerre”
Il fallimento del colpo di Stato fascista in Francia
Le sinistre seppero rispondere prontamente al tentato colpo di Stato della destra radicale – al contrario di quanto era avvenuto in Italia e Germania – con un imponente e immediato sciopero generale che paralizzò l’intera Francia, spaventando la grande borghesia che tendeva a finanziare l’estrema destra. Inoltre, in corrispondenza di un accordo internazionale fra Unione sovietica e Francia, volto ad arginare i piani espansionistici della Germania nazista, che mettevano a serio rischio entrambi i paesi, anche il partito comunista francese fece appello a un fronte comune antifascista con le forze socialiste e sinceramente democratiche. Dinanzi alla concreta minaccia che anche in Francia potesse imporsi un regime fascista, le sinistre, sino a quel momento divise e, perciò, incapaci di offrire un’alternativa credibile, sono spinte a fondare un Fronte popolare. Tale fronte si fonda sull’alleanza fra radicali, socialisti e comunisti ed è favorito dalla svolta frontista all’interno della Terza internazionale, dinanzi alla grande affermazione a livello mondiale di regimi di estrema destra.
Il governo del Fronte popolare
Sulla scia dell’entusiasmo popolare per la realizzazione – per la prima volta dalla rottura della Seconda internazionale nel 1914 – dell’unità fra le forze della sinistra, alle elezioni politiche del 1936 i partiti costituenti il Fronte popolare ottengono una netta affermazione elettorale, eleggendo ben 378 deputati contro i 220 dell’opposizione di centro-destra. Si afferma, così, un governo di coalizione tra socialisti e radicali, presieduto da Leon Blum leader socialista, con – per la prima volta – l’appoggio esterno di un partito rivoluzionario, ossia i comunisti guidati da Maurice Thorez. Sospinto dall’entusiasmo popolare, il governo come prima misura significativa scioglie le formazioni eversive dell’estrema destra. Così, sebbene si tratti di un governo riformista, la vittoria delle sinistre galvanizza a tal punto le masse popolari le quali – convinte di avere per la prima volta un governo dalla loro parte – ampliano le lotte sociali e agli scioperi seguono misure decisamente più radicali come le occupazioni delle fabbriche, che tendono a dilagare nel paese. In questo frangente decisivo, in cui con il dualismo di potere si era creata oggettivamente una situazione rivoluzionaria, è ancora una volta la soggettività rivoluzionaria a mancare. Socialisti e riformisti per mantenersi al governo, invece di favorire uno sbocco rivoluzionario alle lotte operaie preferiscono fare da arbitro super partes al conflitto fra capitalisti e lavoratori salariati. Persino in comunisti – legati dall’accordo franco-sovietico in funzione anti nazista e dalla linea frontista prevalsa nella Terza internazionale – non danno una direzione consapevole al movimento spontaneamente rivoluzionario che si era così venuta a creare. Da parte sua la borghesia francese ha il buon senso di dimostrarsi disponibile a notevoli “concessioni” pur di riprendere il controllo sui principali mezzi di produzione. Così, per la prima volta, con un governo a fare realmente da arbitro, la borghesia francese deve fare notevoli “concessioni” alle classi lavoratrici, per evitare lo svilupparsi di una situazione rivoluzionaria: contratti collettivi, ferie obbligatorie e retribuite, la settimana lavorativa di quaranta ore e aumenti salariali consistenti. Il governo socialista si trova però in una morsa fra i comunisti, che spingono a sinistra, e i radicali che spingono a destra. I radicali, democratici piccolo-borghesi, al governo erano sempre più contrariati dalle conquiste dei lavoratori salariati e dall’inasprirsi dello scontro sociale. Il governo è inoltre costretto dal Regno unito e dalla borghesia francese a non intervenire nella Guerra civile spagnola, originata da un colpo di Stato dell’esercito coloniale con l’appoggio della destra radicale, contro il governo del Fronte popolare spagnolo “democraticamente” eletto. I comunisti si oppongono duramente a tale decisione di non sostenere il governo fratello spagnolo legittimamente eletto, di contro a un colpo di Stato appoggiato direttamente dalle truppe naziste di Hitler e fasciste di Mussolini. Tanto più che la grande borghesia, per mettere in crisi il governo e fermarne la politica di riforme, aveva trasferito i suoi capitali all’estero, facendo piombare il paese in una pericolosa crisi economica, ponendo – come di consueto – sotto un pesante ricatto il governo riformista. Nel 1937 il governo Blum finisce per cedere. Caduto il governo del Fronte popolare, è sostituito da un governo radicale guidato dal più moderato Édouard Daladier, in coalizione con i socialisti.
L’espansione a livello internazionale del modello italiano di Stato totalitario fascista
Oltre che in Italia e Germania, in conseguenza della crisi economica, il fascismo tende a espandersi – quale soluzione necessaria a difendere dei rapporti di produzione sempre più irrazionali – rendendo con la violenza impossibile l’unica reale alternativa, ossia la transizione al socialismo. Si affermano così regimi di estrema destra in particolare in Europa orientale, dal più antico regime clerical-fascista sorto in Ungheria dal rovesciamento della Repubblica dei consigli, alla Romania, la Jugoslavia e la Polonia.
L’avvento in Germania del nazionalsocialismo
La tensione sociale è ampliata in Germania da una gravissima crisi economica che colpisce il paese, già martoriato dalle guerra, nel 1923. Non potendo farsi carico delle terribili riparazioni economiche impostegli da Francia e Gran Bretagna, con la pace punitiva di Versailles, e dovendo importare molto di più di quanto esporta, il governo tedesco fa crescere enormemente l’inflazione, per cui persino per acquistare pane o caffè erano necessari migliaia di marchi. Ciò significava la condanna alla miseria per tutti coloro che vivevano di un reddito fisso, in primo luogo i lavoratori salariati, i pensionati e il ceto medio. Allo stesso modo la piccola borghesia vede evaporare come neve al sole i risparmi di una vita. Tanto che con la consueta crisi di sovrapproduzione cresce spaventosamente la disoccupazione. Di tutto ciò fanno le spese i socialdemocratici, che avevano espresso il primo presidente, al punto che nel 1925 diviene presidente della repubblica lo Junker che aveva guidato la Germania nella Grande guerra e che rappresenta la volontà di riscossa delle destre unite: Paul von Hindenburg. I socialdemocratici sono indeboliti dallo scontro fratricida con i comunisti e dal fatto che la classe dominante non ha più bisogno di loro per poter salvaguardare l’ordine costituito.
Il piano Dawes
L’economia capitalista tedesca si riprende grazie ai prestiti e agli investimenti dei capitalisti statunitensi – che necessitavano investire all’estero i capitali sovra-prodotti – con il piano Dawes del 1924 (che prende il nome dal coordinatore del comitato internazionale che ha lo scopo di valutare il problema della riparazione dei danni di guerra dovuti dalla Germania ai paesi vincitori). Il piano di investimenti consente di riaprire diverse aziende chiuse, di rivalutare il marco e rivitalizzare il commercio. Per fronteggiare il blocco di destra che unisce la casta militare rappresentata dal maresciallo e presidente von Hindenburg, gli agrari, i grandi industriali, i revanscisti guidati da Hitler, gli ultra-conservatori guidati da Von Papen e il partito comunista rivoluzionario, i socialdemocratici si alleano con i cattolici del Centrum, dando vita nel 1928 a un nuovo governo di grande coalizione guidato da un socialdemocratico.
La crisi del 1929
La situazione, che sembra estendersi anche sul piano internazionale, subisce un tracollo in seguito all’esplodere di una gigantesca crisi di sovrapproduzione nel 1929, che colpisce innanzitutto il paese a capitalismo più avanzato, ovvero gli Stati uniti, dove la produzione è ampiamente automatizzata. Il governo statunitense è, però, pronto a scaricarne le nefaste conseguenze sulla classi sociali subalterne e sui paesi stranieri più deboli e dipendenti dagli investimenti statunitensi, primo fra tutti la Germania. Gli ingenti capitali statunitensi investiti in Germania vengono improvvisamente disinvestiti e portati fuori dal paese, facendo andare alle stelle il debito pubblico tedesco.
Il programma del partito nazionalsocialista
In tale situazione di disgregazione sociale, disordine e rabbia si fa strada il Partito nazionalsocialista degli operai e/o lavoratori salariati tedeschi, presto guidato da un austriaco infiltrato da esercito e polizia: Adolf Hitler. Ispiratosi al fascismo italiano, tale partito sostiene che la colpa della crisi è delle sinistre, ovvero dei socialdemocratici, dei comunisti e dei sindacalisti che hanno messo in ginocchio il paese con la loro lotta di classe e gli scioperi. Per uscire dalla crisi, senza mettere in discussione i rapporti di produzione, occorre uno Stato forte e autoritario, in grado di riportare ordine e lavoro in Germania imponendo militarmente la pace sociale (essenzialmente dei salariati a tutto vantaggio del padronato). Inoltre Hitler punta sullo sciovinismo: occorre vendicare l’umiliazione del trattato di Versailles, la Germania deve tornare a essere una potenza mondiale (imperialista) conquistando il suo “spazio vitale”, ovvero le colonie perdute dopo la Prima guerra mondiale, in cui poter investire i capitali sovra-prodotti che rischiano di soffocare l’economia tedesca. A ciò si aggiunge l’antisemitismo, rivolto in particolare contro gli ebrei che sarebbero i protagonisti di un fantomatico complotto mondiale, controllando banchieri e comunisti, per umiliare e sfruttare il popolo tedesco. Inoltre il nazionalsocialismo propaganda una teoria razzista, che considera ariani, germanici e anglosassoni una razza superiore, che ha diritto di dominare sulle razze inferiori, dai latini – con cui ci si può anche alleare, ma in funzione subordinata – agli slavi, asiatici e africani, popoli da colonizzare e asservire, agli ebrei da cacciare via dalla Germania, depredandone le proprietà.
La resistibile ascesa del nazionalsocialismo
Con tali tesi, i nazisti conquistano vaste simpatie fra i ceti medi e piccolo borghesi (impiegati, bottegai, piccoli proprietari terrieri) esasperati da una crisi che minacciava di proletarizzarli, fra i sottoproletari e, soprattutto, si conquistano il sostegno dei grandi industriali e banchieri interessati alla sconfitta del movimento dei lavoratori e alla ripresa della politica di riarmo per superare, con le commesse statali, la crisi di sovrapproduzione.
Le elezioni del 1930
Così nelle elezioni politiche del 1930 i nazisti, che nelle elezioni di due anni prima avevano raccolto appena 800 mila voti, superano i sei milioni, passando da 12 a 107 deputati, i socialdemocratici perdono terreno scendendo a 8 milioni e mezzo di elettori, terreno recuperato dai comunisti saliti a 4 milioni e 600mila voti.
Lo squadrismo delle camicie brune
A questo punto si scatena una campagna terroristica contro il movimento dei lavoratori e chi lo rappresenta a livello politico e sindacale, ancora più violenta di quella fascista del 1921. Le camicie brune incendiano le case del lavoro, le case del popolo, le sedi sindacali, i circoli ricreativi, sportivi e artistici dei lavoratori, le sedi dei partiti di sinistra, insieme a negozi e abitazioni di ebrei. Uccidono dirigenti politici e militanti operai, con la copertura degli apparati repressivi dello Stato, generalmente controllati dagli Junker. Ciò fa aumentare i lauti finanziamenti dell’alta borghesia al nazismo e gli fa ricevere l’appoggio degli Junker, ossia dei vertici militari, della burocrazia statale, della polizia, rimasti fedeli all’autoritarismo dell’epoca guglielmina.