Per chi non lo sapesse il prestito d’onore, talvolta presentato sfrontatamente come un potenziamento del diritto allo studio, è un prestito che le banche erogano in convenzione con le università e che può essere richiesto da studenti, meritevoli e bisognosi, dai 18 ai 35 anni, che vivono in Italia. Generalmente si tratta di circa 5.000-6.000 euro annui (circa 30.000 euro in totale), che dovranno essere restituiti alla banca solo al termine dei propri studi, quando lo studente ha ricevuto tutto il denaro pattuito.
Si tratta ovviamente di una brillante invenzione statunitense, che ha condotto al disastro economico, 7 milioni di studenti di quel potente paese (il dato si riferisce al 2014) che non sono in grado di restituire il denaro ricevuto e che si trovano sulle spalle un cospicuo debito all’inizio della loro vita lavorativa (ammesso che un lavoro lo trovino). Il loro debito ammonta a circa 26.000 dollari e sono obbligati a pagarlo anche se in bancarotta, per es. cedendo la loro casa. Alcuni non hanno alcun rimedio che vendere le parti del loro corpo, come per esempio gli ovuli pagati tra i 6 mila e gli 8 mila dollari, oppure il proprio sangue pagato 60 dollari la settimana. Sembra che nel 2016 tale debito sia arrivato a 1,3 miliardi di dollari. La necessità di indebitarsi è scaturita dall’aumento spaventoso delle tasse universitarie, che sono cresciute anche del 500%. Per ottenere l’annullamento dei debiti si è costituito il Debt Collective che raccoglie migliaia di studenti nel paese.
Sembra non stiano meglio gli studenti britannici, i quali sarebbero i più indebitati del mondo anglofono, avendo accumulato alla fine dei loro studi 44.000 sterline equivalenti a circa 55.000 euro. Tale problema deriva dal fatto che le famiglie britanniche non sono in grado di pagare gli studi universitari, anche perché negli ultimi anni il costo della frequenza ad un corso universitario è triplicato, giungendo alle 9.000 sterline l’anno. Ed è soprattutto per questa ragione che ci sono state a Londra manifestazioni di protesta, come quella dell’11 novembre 2014, coordinate dalla National Campaign Against Fees and Cuts, dalla Student Assembly Against Austerity e dai Giovani Verdi, represse dalla polizia con l’utilizzo di squadre antisommossa.
L’erogazione dei prestiti d’onore, divenuta effettiva in Italia solo a partire dal febbraio 2003, è prevista da una legge del 1991 (390/1991) e fomentata dal protocollo di intesa firmato dal Ministero della gioventù con l’Abi (Associazione bancaria italiana). Tuttavia, di fatto nel nostro paese tale usanza non si è significativamente diffusa e ciò potrebbe costituire uno degli elementi che spiegano la calma piatta del mondo universitario, accompagnata dal silenzio di quello della scuola (tranne qualche episodio). In internet si possono trovare informazioni sulle banche che erogano il prestito, sul suo ammontare, sui tassi di interesse, sulle università convenzionate. Per esempio, l’Unicredit è disposta a dare un prestito, il cui importo massimo non superi i 27.000 euro, rimborsabile con rate mensili (non più di 180). Questa banca prevede anche “un periodo di grazia” di due anni dopo aver terminato gli studi, per dare tempo al neolaureato di trovarsi un lavoro. Ho trovato una tabella comparativa da cui si evince che, per esempio, la società finanziaria Younited Credit presta 5.000 euro, rimborsabili in 60 mesi, con una rata di 93,45 euro, che comprende anche gli interessi complessivi, i quali ammontano a 607 euro.
Se l’Italia è caratterizzata dalla rassegnazione degli studenti e in molti casi dalla complicità dei docenti, vi sono altri paesi – in particolare in America Latina, l’unico continente in cui qualcosa si sta muovendo – che sono in fermento e si stanno mobilitando per ottenere significative riforme nel campo dell’educazione.
Dopo aver menzionato le proteste degli studenti britannici, voglio soffermarmi anche sulla situazione del Cile, dove ci sono più di 808.000 mila studenti universitari indebitati, come hanno dichiarato recentemente esponenti della Confederazione degli studenti dell’università del Cile (Confech). Lo scorso 9 di maggio 80.000 studenti cileni sono scesi nelle strade per un’ennesima manifestazione, chiedendo l’abolizione dei debiti, la gratuità dell’accesso alle università, una migliore qualità dell’insegnamento e al contempo la fine dell’uso lucrativo delle istituzioni educative. L’indebitamento degli studenti è dovuto all’alto costo dell’insegnamento universitario, per il quale non si fanno investimenti significativi, tenendo conto soprattutto che il Cile ogni anno investe il 3% del PIL in armamenti. La protesta degli studenti cileni è stata brutalmente repressa dalle forze speciali dei Carabineros, che hanno lanciato acqua e bombe lacrimogene, arrestando molti giovani.
A queste manifestazioni (la precedente si era tenuta l’11 aprile) partecipano anche gli studenti della scuola secondaria e i docenti dei diversi livelli educativi. Bisogna aggiungere che è almeno dal 2011 che gli studenti cileni protestano e che nel 2015 due giovani, che volevano attaccare un manifesto in cui si spiegavano le ragioni del loro manifestare, furono assassinati.
Nonostante le dichiarazioni precedenti del presidente socialista Michelle Bachelet, che aveva preannunciato la gratuità del sistema scolastico e universitario, la Riforma educativa approvata a gennaio del 2016 non prevede tale aspetto. Infatti, essa stabilisce che solo il 60% degli studenti poveri avrà accesso gratuito alle università a partire dal 2018, e che l’educazione superiore costituirà un sistema misto, in cui università private e statali potranno convivere pacificamente. Si spera di raggiungere successivamente il 100% degli studenti, se la crescita economica del paese garantirà le risorse necessarie. Questa marcia indietro della Bachelet ha suscitato la reazione degli studenti, che hanno rigettato la Riforma.
Anche l’Argentina sembra essere in fermento – non per i debiti - ma per la difficile situazione delle istituzioni educative di tutti i livelli. In particolare, i docenti argentini chiedono un aumento dei loro salari del 35%, dato che dall’anno passato l’inflazione si è incrementata del 40,9% a causa dello aumento significativo dei prezzi (beni di consumo e servizi) e dall’abolizione dei sussidi. Elementi che collocano i docenti tra i poveri, se non dovessero riconquistare il loro potere acquisitivo. Per opporsi al rifiuto del governo di accordare quanto richiesto, hanno organizzato varie forme di protesta, che vanno dallo sciopero alle lezioni all’aperto, alle informazioni sulle ragioni di tale malessere fornite agli studenti, che d’altra parte appoggiano i loro insegnanti. Giustamente i docenti argentini richiedono negoziati a livello nazionale e non provinciale, come vorrebbe il governo per indebolire il fronte oppositore. I vari gruppi protestatari (400.000 persone) hanno confluito in una enorme manifestazione che si è tenuta il passato 22 di marzo nella celebre Plaza de Mayo. Sergio Romero, segretario dell’UDA (Unione Docenti Argentini) che raggruppa docenti di tutti i livelli), ha dichiarato" che le 400.000 persone qui presenti, stanno qui perché sono finite nella scuola pubblica, dove vanno i figli dei lavoratori che non possono pagare 8.000 pesos per frequentare una scuola privata. Con queste parole voleva rispondere al presidente Macri, il quale aveva affermato che, secondo un’inchiesta, la scuola pubblica è inferiore a quella privata e che quindi chi ci finisce non è fortunato. Frase che ha suscitato proteste massicce da parte di chi vede nella scuola pubblica un’istituzione insostituibile e unica garanzia del pluralismo politico-culturale.
Purtroppo i prestiti d’onore e il declino delle istituzioni educative pubbliche, nel senso di degrado degli edifici, abbassamento dei livelli di insegnamento, blocco del cosiddetto turn-over, che impedisce il rinnovamento del corpo docente, sono le conseguenze ,della mercificazione dell’educazione decisa qualche decennio fa dalla Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC).