Gioco elettorale di sempre, tutti vincono nessuno perde, ma l’analisi dell’Istituto Cattaneo dice cose diverse. Vincono gli astensionisti, ormai primo partito, e vincono i fascioleghisti dell’urlante Salvini che, con l’estremizzazione a destra, incassa la rabbia ma rende i suoi voti imbarazzanti.
di Ennio Remondino
Il Partito democratico perde due milioni di voti rispetto al 2014 e il presidente-segretario ne esce ammaccato.
I numeri che contano. Piangono quasi tutti, anche se di nascosto, ad eccezione della Lega Nord che è il vero vincitore delle regionali 2015. Il partito di Salvini raddoppia i consensi rispetto alle politiche del 2013 e addirittura li triplica nelle regioni “rosse”, Umbria e Toscana. L’analisi mette a confronto i voti assoluti con quelli nelle precedenti elezioni europee (2014) e politiche (2013, dati Camera dei deputati). Il Partito democratico (Pd), perde oltre due milioni di voti rispetto al 2014, le elezioni più vicine nel tempo (-2.143.003), ma ne perde uno anche rispetto al 2013 (- 1.083.557).
Batosta Pd. In termini percentuali lo spostamento, quell’uno, due milioni di voti persi, si traduce in una contrazione del 50,2% rispetto alle elezioni europee del maggio 2014 e del 33,8% rispetto alle consultazioni politiche del 2013. Altro dato rilevante, la riduzione del partito guidato da Matteo Renzi è stata significativa in tutto il territorio nazionale, anche se ha segnato punto ed è risultata accentuata in Veneto (-65,8%), e in Liguria (-57,3%) - l’umiliazione finale in casa Pd con ricaschi ancora da vedere - ma risulta meno sostenuta in Toscana (- 42,6%) rispetto alle europee del 2014.
Le liste dei Presidenti. Il Pd non può prendersela con le liste del presidente che hanno inciso in maniera molto diversa da zona a zona. Una perdita di consensi per il partito rispetto al candidato, significativa solo in Puglia dove il PD sconta la forte affermazione della lista “Emiliano Sindaco di Puglia” (154.028 voti, pari al 9,2%) ma in Veneto la prestazione della lista a sostegno del candidato Alessandra Moretti è stata poco significativa (3,8%). Soprattutto: non c’erano liste del presidente in Toscana, Umbria e Liguria, dove i democratici hanno ottenuto risultati deludenti rispetto al passato.
5Stelle e pochi applausi. Se Renzi piange (o dovrebbe farlo), Grillo non ride (o dovrebbe farlo). Neppure il Movimento 5 stelle, segnala l’Istituto Cattaneo, può cantare vittoria. Il movimento di Grillo ha ridotto i propri consensi di circa il 60% rispetto all’exploit delle politiche del 2013, ma anche rispetto alle europee del 2014 (-40,4%), quando già avevano subito un cospicuo arretramento. In valore assoluto questa variazione si traduce in una contrazione di voti pari a (-1.956.613) rispetto alle politiche e -893.541 rispetto alle europee. Più o meno l’uno-due milioni di voti in meno del Pd.
Berlusconi solo Liguria Forza Italia perde il 46,9% rispetto alle europee del 2014 e oltre i due terzi dei consensi avuti alle politiche del 2013 (-67,0%). In termini assoluti abbiamo numeri da far paura, darto che Forza Italia ha perso quasi 2 milioni di voti sul 2013 (-1.929.827) e quasi 1 milione rispetto al 2014 (-840.148). Berlusconi riesce a limitare le perdite soltanto in Campania e in Liguria. Nel primo caso il candidato era il presidente della Giunta uscente, nel secondo si trattava di un esponente azzurro di rilievo nazionale, con Forza Italia ‘non partito’ legato più di tutti a una leadership.
La Lega Nord è l’unico grande partito che aumenta i propri consensi. Consensi oltre il doppio di quelli delle elezioni politiche del 2013. Se il confronto avviene tra il dato del 2015 e quello delle europee del 2014, c’è una crescita in valori assoluti di quasi la meta’ (+50,0%) pari a oltre 200mila unità (+256.803). La crescita maggiore del Carroccio è avvenuta nelle regioni centrali, aree in cui in precedenza il partito era meno forte. In questa zona la Lega ha raddoppiato (triplicato in Toscana e Umbria) i consensi delle europee.
La proliferazione delle liste, la molteplicità delle alleanze nelle diverse regioni, rendono difficile uno studio dei flussi elettorali rispetto alle elezioni regionali del 2010. Gli analisti sono propensi a dire che in queste amministrative l’elemento locale ha pesato di più rispetto a quello nazionale. Due elementi comuni a tutte le regioni: l’astensionismo e la crisi economica. Astensionismo: ha votato il 53,90% rispetto al 64,13% del 2010, omogeneo in tutte le regioni. Esempio eclatante: in Campania De Luca ha vinto con 985.962 voti, e cinque anni fa con 1.258.787 voti aveva perso contro Caldoro.
I flussi elettorali. Quesito chiave, come si muovono i voti che fanno vincere (da dove arrivano) e dove sono scappati quelli che fanno perdere (dovo sono finiti). La Lega vincente a danno di chi? In Liguria il più 14,7% è arrivato prendendo voti da Fi (4%), da M5s (2,3%), e dal Pd (1,3%), oltre che dall’astensione (6,3%). Altro dato generale riguarda il movimento di Grillo: svantaggiato nel voto locale ha preso comunque un 20% senza che Grillo facesse campagna elettorale. C’è dunque una componente di elettorato fidelizzata, anche se la polemica sugli ‘impresentabili’ ha aiutato molto.
Vale il 5 a 2 di Renzi? La vittoria numerica rivendicata de Renzi, segna comunque una condizione politica più precaria. La sconfitta in Liguria è lo smacco che brucia di più, preannunciata dai tempi delle primarie e dall’uscita di Cofferati, in uno scontro tra arroganze. L’elezione in Campania di De Luca pone forse più problemi che esultanza di vittoria. Gli stessi risultati di Renzi in Toscana ed in Puglia, si realizzano con due candidati insediati molto bene sul territorio ma espressione di linee politiche non in consonanza col segretario. Renzi ammaccato dopo avere imposto il “Renzullum”.