Zhang Boying, Il socialismo con caratteristiche cinesi. Perché funziona?, Tianjing People Publishing House 2014, traduzione it. di Letizia Vallini, redazione finale all’edizione italiana: Andrea Catone, MarxVentuno Edizioni, Bari 2019, pp. 500, 20 euro. Acquistabile su marx21books.com
In 70 anni dalla sua fondazione, il 1° ottobre 1949, la Repubblica Popolare Cinese ha compiuto uno straordinario cammino sulla strada della liberazione dalle catene della dipendenza economica e politica dell’imperialismo e del sottosviluppo. Nel giro di alcuni decenni il più popoloso paese al mondo, guidato dal Partito Comunista Cinese, è stato attore della più grande rivoluzione politica, economica, sociale finora conosciuta nella storia mondiale: ha eliminato la povertà per centinaia di milioni di persone, è oggi la seconda economia mondiale, è promotore della grande iniziativa di sviluppo mondiale della “Nuova via della Seta” e si propone la costruzione di un futuro condiviso per tutta l’umanità.
Tutto ciò si deve al “socialismo con caratteristiche cinesi”.
Che cosa è, attraverso quali tappe e processi storici si è costituito, come si è sviluppato creativamente sulla base del marxismo-leninismo, del pensiero di Mao Zedong, della teoria di Deng Xiaoping e delle innovazioni teoriche degli altri dirigenti che si sono succeduti alla guida del paese, da Jiang Zemin a Hu Jintao, all’attuale presidente Xi Jinping? Come è organizzata la sua economia, come si articola il suo pensiero politico, quale è il ruolo del Partito Comunista Cinese, con i suoi quasi 90 milioni di iscritti? Come funziona oggi questo socialismo, e perché funziona?
Lo spiega e illustra in modo articolato questo libro, che – ideato e coordinato da Zhang Boyng, vicepresidente della Federazione di Scienze sociali di Tianjin e professore all’Università Normale di Tianjin – è frutto del lavoro collettivo di diversi studiosi e ricercatori cinesi. Pubblicato dalla Tianjin People Publishing House nel 2014, viene oggi presentato per la prima volta in un paese europeo dopo un paziente e certosino lavoro di traduzione e redazione.
Nella prefazione all’edizione italiana, il curatore del volume Zhang Boyng sottolinea che si tratta di “un libro dal contenuto scientifico ma di facile comprensione” [1]. Ha ricevuto diversi premi e può esser considerato “un best seller di grande successo nel campo delle scienze umane e sociali a livello nazionale” (10). Il libro fa riferimento a dati del 2014, anno della pubblicazione, negli anni seguenti la Cina ha proseguito il suo eccezionale sviluppo, raggiungendo risultati ancora più notevoli. Peraltro lo scopo del libro “è spiegare ai lettori italiani quali sono i risultati concreti che la Cina ha ottenuto negli ultimi anni e come sono stati ottenuti” (10).
Il primo capitolo: Solo qui c’è un bello scenario, opera di Ding Datong, ricercatore associato, si apre con una prima parte intitolata: Un campanello di allarme: “Occupy Wall Street” e con un primo paragrafo in cui si spiega cos’ha innescato la crisi dei subprime. Si parte constatando che “dopo aver sperimentato il benessere a metà e nel tardo XX secolo, all’alba del XXI secolo, nei paesi capitalistici occidentali sviluppati è iniziata una profonda crisi” (13). Tutto sarebbe cominciato “con lo scoppio della crisi dei mutui subprime negli Stati Uniti” (13). La crisi è così spiegata: “non appena la Fed aumentò i tassi di interesse, gli acquirenti senza un reddito fisso e che non potevano permettersi di pagare gli interessi dovettero restituire le case agli istituti di credito” (14). In tal modo “i derivati con ipoteche come garanzia non poterono essere sostenuti e la bolla finanziaria scoppiò” (14). Il governo reagì “con un piano di salvataggio da 700 miliardi” utilizzando “il denaro dei contribuenti per aiutare Wall Street a pagare gli enormi debiti degli speculatori, ormai divenuti inesigibili” (14). Da ciò sorse il movimento “Occupy Wall Street”. Il movimento si sviluppò in tutto il mondo capitalistico. “«Occupy Wall Street» palesò anche che «l’impero del capitale» stava gradualmente declinando” (16).
La crisi ha causato una crescita della disoccupazione e fatto crescere a 46 milioni le persone “che vivono al di sotto della soglia di povertà” (16). Del resto il sistema capitalistico non potrà “eliminare la crescente disuguaglianza tra ricchi e poveri e la stratificazione sociale e non potrà mai aggirare la crisi economica ciclica e i conflitti sociali di base” (20).
La crisi del debito europeo aumenta il numero di persone che, in questo continente, ritengono che i giovani avranno un tenore di vita peggiore della passata generazione. “La crisi del debito europeo (…) è la continuazione e l’intensificazione della crisi finanziaria globale. Entrambe sono causate dalle contraddizioni fondamentali del sistema capitalista: sono manifestazioni concrete dell’intensificazione della contraddizione tra la socializzazione della produzione e la proprietà privata capitalistica dei mezzi di produzione”.
La crisi ha prodotto il rilancio dell’opera di Marx che “ha predetto l’inevitabilità della crisi economica capitalistica oltre un secolo fa” (29).
Al contrario, “nel 2010, il valore di produzione dell’industria manifatturiera cinese aveva già superato quello degli Stati Uniti, classificandosi ai primi posto al mondo” (37). Per di più “dall’attuazione della politica di riforma e apertura della Cina alla fine degli anni 70 del XX secolo, ci sono voluti solo 30 anni o poco più per completare la transizione da società agricola a società industriale, Da paese povero e debole, la Cina si è gradualmente trasformata nella seconda potenza economica mondiale, diventando una delle forze trainanti della crescita economica globale” (39). Bastano poche cifre a mostrare l’eccezionale sviluppo delle forze produttive, che in altri paesi ha richiesto secoli. In un solo giorno nel 2008 il prodotto interno lordo è cresciuto più dell’intero 1952. Il reddito dei residenti nel 2012 è divenuto 71 volte superiore a quello del 1978. Infine, “negli ultimi tre decenni, il tasso di crescita economica cinese del 10% annuo ha dato vita alla più grande rivoluzione della storia umana. Finora nessun paese con una così grande popolazione era mai stato in grado di cambiare gli standard di vita dei propri cittadini così drasticamente e in poco tempo” (44).
Il socialismo da utopistico a scientifico da teoria a realtà:
Il socialismo utopistico ha fornito preziose risorse intellettuali per la nascita del socialismo scientifico. “La differenza chiave tra il socialismo scientifico e quello utopistico sta nel fatto che il primo si basa su due capisaldi: il materialismo storico e la teoria del plusvalore” (50). Si passa, quindi, ad analizzare l’importanza e limiti della prima costruzione del socialismo in Unione sovietica. Si evidenzia che “vennero enfatizzate esclusivamente la lotta di classe e la dittatura del proletariato, trascurando la costruzione della democrazia socialista e dello Stato di diritto socialista” (57). D’alta parte “il fallimento del modello dell’Unione Sovietica non ha significato la disfatta del socialismo scientifico, ma ha convalidato la precedente analisi di Marx: realizzare il comunismo è un processo storico lungo in cui possono verificarsi non solo ripetute sconfitte ma persino regressioni” (57).
Si passa, quindi, all’analisi della storia della Cina, dalla sua tradizionale potenza al secolo nero del dominio imperialista fino alla rinascita, seguendo la via della rivoluzione socialista. Via che, a partire dal 1956, dovette autonomizzarsi da quella tortuosa seguita dai sovietici, anche se nei primi anni non si trovò la strada giusta da seguire.
Percorrere la propria strada
Dopo le forzature utopiste iniziali, ci si rese conto delle diverse fasi di sviluppo del socialismo in un paese arretrato. Così negli anni ottanta si cominciò a parlare di “fase primaria del socialismo” (87). Tale fase “è stata lo stadio iniziale della lunga storia della costruzione del socialismo con caratteristiche cinesi” (90). In particolare la Cina sarebbe rimasta “nella fase primaria del socialismo a partire dal completamento della trasformazione socialista della proprietà privata dei mezzi di produzione a metà degli anni Cinquanta fino alla realizzazione della modernizzazione socialista” (92-93).
“Quando si sceglie il marxismo come guida teorica, è necessario saperne combinare le idee di base con la situazione reale nazionale cinese, promuovere continuamente la sinizzazione del marxismo e arricchendone e sviluppandone il pensiero” (102). Verso la fine degli anni ottanta, si previse che ci sarebbe stato bisogno di un secolo prima che la Cina potesse divenire un paese socialista moderno. Il crollo del socialismo sovietico nell’Europa orientale fu attribuito dai dirigenti cinesi a problemi interni, ovvero il mancato sviluppo delle forze produttive aveva fatto scemare nella popolazione la fiducia nel socialismo. Anche perché i dirigenti dell’Urss, troppo impegnati nella guerra fredda, avevano trascurato lo sviluppo delle forze produttive. Per altro la fine dell’Unione sovietica fu favorita dal progressivo affermarsi del revisionismo ideologico, tanto che alla fine non ci fu nessuna seria iniziativa da parte dei membri del Partito comunista, non fosse altro che per impedirne lo scioglimento, né ci furono significative proteste popolari. “Fin dall’inizio dei drastici cambiamenti nell’URSS e nei Paesi dell’Europa Orientale nel 1989 Deng Xiaoping aveva previsto che questi paesi sarebbero inevitabilmente precipitati in una situazione caotica. «La lezione più profonda da apprendere dai drastici cambiamenti dei Paesi dell’Europa Orientale e della disintegrazione dell’Urss è che l’abbandono della via socialista, della dittatura del proletariato, della direzione dei Partiti Comunisti e del Marxismo-Leninismo comporta solamente l’intensificazione dei già seri problemi economici, politici, sociali ed etici e infine è la causa delle tragedie storiche dei drastici cambiamenti istituzionali e della disintegrazione nazionale»” (146).
“Al contrario dell’Unione Sovietica, la Cina è stata in grado di sopravvivere senza ripercussioni ai tumulti politici. Da un lato, questo fu possibile perché ci si concentrò sulla costruzione economica, persistendo nel processo di riforma e apertura e facendo crescere rapidamente l’economia cinese e il tenore di vita della popolazione, in netto contrasto con il lungo periodo di arretratezza economica vissuto dalla Cina durante il momento di «estremismo di sinistra» e la Rivoluzione culturale, caratterizzato da un socialismo oppresso dalla povertà” (146).
Note:
[1] Citeremo direttamente nel testo, inserendo tra parentesi tonde la pagina del volume qui recensito.