Recensioni di classe 40

Brevi recensioni di classe a film, serie tv, documentari, mostre e concerti da vedere e da evitare


Recensioni di classe 40 Credits: https://www.mymovies.it/film/2021/lets-kiss/news/la-recensione/

 

Let’s Kiss. Franco Grillini storia di una rivoluzione gentile, di Filippo Vendemmiati, documentario Italia 2021, voto: 7,5. Bel documentario narrato dalla voce di un grande esponente della straordinaria lotta per l’emancipazione del movimento Lgbtq. Il documentario è godibile e certamente molto importante dal punto di vista didattico. Peccato che il movimento e il suo protagonista hanno cominciato a realizzare questa “rivoluzione gentile” proprio in concomitanza con la sconfitta del grande movimento di lotta degli anni sessanta e settanta e con l’affermarsi del riflusso, che hanno portato anche significativi dirigenti della sinistra radicale ad abbandonare completamente le grandi ambizioni di cambiare radicalmente il mondo, per assumere una prospettiva in ultima istanza corporativa. Così la rivoluzione sessuale e la lotta per i diritti civili ha finito per perdere qualsiasi legame con il movimento politico e sociale. Naturalmente questi significativi e tragici eventi non sono per niente affrontati da un film, che sposa acriticamente la posizione opportunista dell’attivista al centro di questa drammatica vicenda. In tal modo, non si mette minimamente in luce come la essenziale lotta per la rivoluzione sessuale e i diritti civili sia ancora oggi strumentalizzata dall’imperialismo per dei fini che contrastano la lotta per l’emancipazione del genere umano.

Grandi magazzini, di Mario Camerini, con Vittorio De Sica, commedia, Italia 1939, voto: 7+; classica commedia all’italiana, uno dei più significativi film del ventennio fascista. Il film riesce a trovare un significativo equilibrio fra il godimento estetico assicurato da una ben congegnata commedia – con un interprete davvero d’eccezione quale Vittorio De Sica, e il lasciare qualcosa su cui riflettere allo spettatore. Il film tocca anche un aspetto del conflitto sociale mettendo in luce le contraddizioni fra il manager tanto inflessibile dirigente del personale, quanto corrotto, e due lavoratori proletari. Quello che inevitabilmente manca negli anni neri della dittatura fascista è la possibilità di individuare una soluzione reale alle problematiche del conflitto sociale attraverso una mobilitazione collettiva di massa, possibilmente egemonizzata da una direzione consapevole, in grado di individuare una dialettica avanzata con lo spontaneismo.

Mostra fotografica Robert Doisneau a cura di Gabriel Bauret, una retrospettiva, sul celebre fotografo francese, attraverso oltre 130 immagini provenienti dalla collezione dell’Atelier Robert Doisneau a Montrouge, nello spazio espositivo del Museo dell'Ara Pacis a Roma 28/05 - 04/09/2022, voto: 7; la mostra, essenzialmente importata dalla Francia è certamente suggestiva come le foto di questo grande fotografo francese. Utile certamente il video realizzato in Francia che accompagna la mostra, mentre appare discutibile la disposizione tematica delle foto, che non tiene praticamente mai conto della scansione cronologica di fotografie scattate fra gli anni trenta e cinquanta. In tal modo i materiali esposti perdono qualsiasi rapporto con il contesto storico che cercano di interpretare e da cui sono inevitabilmente influenzate. In tal modo si finisce con il veicolare, per quanto forse inconsapevolmente, una concezione di fatto reazionaria dell’arte.

Il saluto. La storia che nessuno ha mai raccontato, di Matt Norman, documentario Usa e Australia 2008, voto: 7. Il film narra lo storico gesto di protesta di due grandi atleti statunitensi giunti primo e terzo nei 200 metri ai giochi olimpici di Città del Messico del 1968, anno della grande rivolta contro il conservatorismo e la reazione, narrata dal punto di vista del secondo classificato, un grande velocista australiano. Per narrare tale vicenda occorre contestualizzare gli eventi, dalle lotte antirazziste degli afroamericani, al movimento del sessantotto, alla spaventosa repressione del governo messicano della rivolta giovanile. Significativo come il clima di lotta e protesta abbia scosso persino il mondo del tutto disimpegnato dei grandi atleti. Interessante la durissima repressione subita dai due atleti statunitensi e dal velocista australiano, completamente tagliati fuori dal mondo dello sport professionista per il coraggio dimostrato in occasione della premiazione. La repressione ha effetti ancora più pesanti nel caso dell’atleta australiano proveniente da un mondo ancora più gretto e razzista degli stessi Stati uniti. Peccato che il materiale per il film, valido per un corto o al massimo per un medio metraggio, sia davvero insufficiente per un lungometraggio e peccato che naturalmente il film, prodotto di nicchia dell’industria culturale, tagli fuori completamente gli aspetti più significativi del gesto di protesta reso immortale da una celeberrima foto. Da un lato scompare completamente il richiamo al grande Movimento (rivoluzionario) delle Pantere nere, dall’altro è censurato il significativo dibattito, che aveva portato gli atleti afroamericani a boicottare la partecipazione ai giochi come rappresentanti di una nazione imperialista, razzista e segregazionista. I meno politicizzati, come gli atleti dei 200 metri parteciparono e scelsero il momento di attenzione mediatica durante la premiazione per testimoniare la loro solidarietà con il movimento di emancipazione afroamericano, in grado di egemonizzare un giovane atleta australiano, nato in un ghetto afroamericano con i genitori nell’Esercito della salvezza. Paradossale è che gli autori del film cerchino di utilizzare proprio quest’ultimo particolare per spiegare la coraggiosa presa di posizione del velocista australiano.

Luigi Proietti detto Gigi di Edoardo Leo, documentario, Italia 2021, voto: 6,5; documentario godibile che coglie alcuni aspetti decisamente significativi, in grado di spiegare il grande successo di questo attore e regista, in particolare la sua capacità di coniugare la cultura alta alla cultura popolare avvicinandosi, nei momenti più alti della sua produzione, a opere nazionali-popolari nel senso gramsciano del termine. D’altra parte la solita impostazione pregiudizialmente agiografica impedisce di cogliere e approfondire le contraddizioni reali, in particolare nei casi in cui il popolare attore scade nel populismo, si svende all’industria culturale, è corresponsabile della diffusione di opere meramente gastronomiche e di evasione. etc.

I due Foscari (1844) di Giuseppe Verdi, orchestra e coro del Teatro regio di Parma, dove è andato in scena nel 2009 per la regia di Joseph Franconi Lee, voto: 5,5; opera ben interpretata, cantata e recitata, con una valide regia, buoni costumi scenici e scenografie, che purtroppo non decolla per delle carenze strutturali del libretto di Francesco Maria Piave. Gli ingredienti per una messa in scena tragica ci sono tutti, ma la realizzazione lascia molto a desiderare, con il protagonista principale che appare umano, ma davvero troppo umano, quasi esclusivamente intento a piangersi addosso e che, quindi, appare retorico quando loda l’amata e il padre giunti a portargli conforto. La protagonista femminile è animata da un amore sconfinato (decisamente da operetta tardoromantica) tanto da apparire sostanzialmente irrazionale, irrealistico e inverosimile.

A casa tutti bene, serie tv in otto episodi, regia di Gabriele Muccino, Italia 2021, distribuita su Sky Serie e in streaming su Now, voto: 5+; davvero viviamo in tempi oscuri, si dovrebbe dire parafrasando Brecht, dal momento che ci siamo ridotti a prestare attenzione a un regista sostanzialmente integrato nell’industria culturale, peraltro di scarsissima qualità come quella italiana. La serie che riprende un film privo di fatto di spessore, ha qualche spunto lodevole nella critica sociale di una famiglia di parvenu. D’altra parte fermandosi a metà strada fra una serie brillante e una drammatica finisce con il non brillare in nessuno dei due generi.

Ted Lasso, serie Usa, seconda stagione, voto: 4,5; dopo aver visto e recensito la prima metà degli episodi avevamo desistito, convinti che la serie, per quanto ancora ben confezionata, come generalmente avviene nelle seconde stagioni non avesse proprio più nulla di significativo da esprimere e mediare. La convinzione che nella seconda stagione la serie fosse ormai sopravvissuta a se stessa, era stata posta in discussione dal fatto che Ted Lasso è risultata la serie brillante o comica che ha totalizzato il massimo numero di candidature agli Emmy Awards. Nel timore che ci potesse esser sfuggito qualcosa di significativo abbiamo ripreso a vedere la serie dal settimo episodio. Tale ripresa ci ha convinto che non solo la serie sembra ormai aver esaurito qualsiasi valido motivo per continuare a sfornare nuovi episodi, ma che anche la qualità degli ultimi episodi era decisamente peggiorata.

Così la serie da essere un buon prodotto dell’industria culturale è divenuta nella settima puntata, caratterizzata da una lunga digressione dedicata al secondo allenatore, decisamente intollerabile. Nei successivi episodi la serie rientra nei binari, cioè sostanza zero e gradimento assicurato. La formula, tipica dell’industria culturale, è di produrre merci meramente gastronomiche, di pura evasione, certamente gradevoli anche se non lasciano veramente nulla su cui riflettere allo spettatore. L’industria culturale rischia di imporsi come pensiero unico in particolare nel genere comico ora anche detto brillante, dove l’unica cosa che sembra contare è assicurare un momento piacevole, rinunciando decisamente non solo al buono, ma anche al bello. Così gli aspetti più significativi della commedia, a partire dalla satira sociale, sono radicalmente negati, per meglio difendere il pensiero unico dominante. Per meglio realizzare questa distopia è cancellata anche ogni forma di ideologia in nome del mito reazionario della fine di ogni ideologia che poi, a ben vedere è proprio un elemento cardine del postmodernismo.

Con l’undicesimo episodio la serie riprende relativamente quota ed è certamente piacevole, ma sempre del tutto disimpegnata e fuori dal tempo e dal mondo non essendoci nessun riferimento al conflitto sociale. Il dodicesimo e ultimo episodio, infine, dimostra ancora una volta che la serie non ha veramente più nulla da dire. Resta il mistero di come possa essere la serie che dopo Succession ha ricevuto più candidature agli Emmy Awards.

Venga a prendere il caffè… da noi, di Roberto Lattuada, con Ugo Tognazzi, Italia 1970, voto: 3,5; film insostenibile, a maggior ragione per essere stato prodotto durante il secondo biennio rosso. Il film dimostra bene la natura reazionaria della critica cinefila che è riuscita a rivalutare persino il Lattuada prestatosi a realizzare delle davvero pessime pellicole erotiche, volte a stravolgere completamente la rivoluzione sessuale in atto. Non si capisce come un film del genere possa essere stato selezionato per una retrospettiva volta a celebrare l’attore Ugo Tognazzi che, troppe volte – come dimostra in modo esemplare questo film – si è prestato a lavorare da protagonista in pellicole decisamente reazionarie e di scarsissima qualità. Colpisce, inoltre, come tanti aspetti negativi dell’attuale cinema italiano fossero presenti in nuce già in questo film, come il rimestare nel torbido e la sfacciata passione per il grottesco. Colpisce, infine, come in anni in cui i rapporti di forza nel conflitto sociale erano maggiormente favorevoli al proletariato persino pellicole reazionarie e squallide come questa dovessero contenere una spietata satira sociale nei riguardi di esponenti, in qualche modo tipici, della classe dominante.

Concerto “A tutto Swing” della Smile Orchestra, voto: 2; questa pura e semplice ripresa, in modo del tutto epigonale, dei successi più commerciali dello Swing risulta decisamente insostenibile e soporifera.

La vera storia di Luisa Bonfanti di Franco Angeli, Italia 2021, voto: 1; lo spunto iniziale poteva essere valido: riattualizzare il grande classico del cinema italiano Io la conoscevo bene, dandogli anche uno sfondo politico e sociale, ossia legando la parabola tragica dell’attrice protagonista allo sviluppo e alla crisi dei grandi movimenti sociali degli anni sessanta e settanta, che si sarebbero conclusi con la morte di Enrico Berlinguer. Peccato che il risultato finale sia del tutto intollerabile, realizzato in modo davvero imbarazzante.

27/08/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: https://www.mymovies.it/film/2021/lets-kiss/news/la-recensione/

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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