Judas and the Black Messiah di Shaka King, biografico, Usa 2021, voto: 9,5; film davvero bello sulla breve, ma gloriosa ed esemplare vita di un giovane grande rivoluzionario: Fred Hampton, leader delle Pantere Nere di Chicago, massacrato a freddo a soli 21 anni dalla Fbi, Hampton con coraggio, abilità, fermezza, radicalità e coscienza di classe aveva costruito un movimento dal basso in grado di spaventare seriamente gli apparati repressivi dell’imperialismo statunitense. Puntando sulla questione di classe e non di razza, aveva creato un movimento unitario in grado di costruire un’alleanza classista, fra le Pantere Nere, una banda di afroamericani, i portoricani in lotta per l’indipendenza e il proletariato caucasico, per quanti pregiudizi razziali potesse coltivare. Il film, sulle orme del Conformista di Bernardo Bertolucci ci racconta queste tragiche vicende dal punto di vista straniante di un infiltrato afroamericano. Si tratta di un sottoproletario che, ricattato dalla Fbi – che lo minaccia costantemente di sbatterlo in carcere per i suoi crimini giovanili – viene infiltrato nel movimento rivoluzionario. L’agente della Fbi che lo dirige gli fa credere di essere un democratico sostenitore della parità dei diritti civili, ma contrario all’eguaglianza che le Pantere pretenderebbero di imporre con una violenza opposta e speculare a quella del Ku Klux Klan. L’infiltrato finisce per farsi quasi convincere delle posizioni delle Pantere Nere, tanto che quando l’Fbi getta la maschera e pianifica l’assassinio di Hampton, vorrebbe tirarsi indietro. Ma il ricatto di finire in carcere lo induce a portare fino in fondo il suo tradimento. Solo alla fine prenderà coscienza delle sue malefatte e, come Giuda, si suiciderà. Interessante come il truce Edgar Hoover, da subito cosciente del pericolo mortale per l’imperialismo delle forze rivoluzionarie interne, convince il proprio sottoposto a portare a termine l’assassinio di Hampton. Si limita a chiedergli come reagirebbe nell'ipotesi che la figlia neonata gli portasse a casa un afroamericano. Dinanzi allo stupore del suo sottoposto, gli fa comprendere come tutto il loro mondo, fondato su un rigido apartheid e su una serie di miti razzisti di grande efficacia, crollerebbe se si fosse lasciata la possibilità di agire alle Pantere Nere. Infine, molto interessante come il piano dell’impegno rivoluzionario si rifletta nei rapporti familiari, in primo luogo fra Hampton e la compagna incinta del suo primo figlio. La compagna, per quanto molto radicale, si preoccupa di cosa ne sarà del suo bambino, quando il padre, rivoluzionario fino alla fine, sarà certamente assassinato. Anche perché rifiuta le offerte degli altri compagni che, per salvargli la vita, organizzano la sua fuga a Cuba o in Algeria. Hampton rifiuta qualsiasi compromesso ricordando di essersi votato alla rivoluzione. A questo punto, anche la compagna comprende che, morto il padre, del figlio si prenderà cura il Partito rivoluzionario e più in generale il popolo-proletariato. Così, nonostante la drammatica strage in cui cade – come molti altri rivoluzionari afroamericani – Hampton, il film prevede da vera tragedia la necessaria catarsi, con la compagna che militerà fino alla fine nelle Pantere Nere e il figlio che diverrà il leader di un nuovo movimento rivoluzionario che vuole raccogliere l’eredità del movimento precedente. Unico limite di questo film, in generale eccellente, è che rimane troppo legato alla vicenda, per quanto esemplare, di Hampton, a differenza dell’unico film non documentario precedente sulle Pantere Nere, Panther di Mario Van Peebles, purtroppo sostanzialmente irreperibile. In Panther, non rimanendo naturalisticamente legati a una singola vicenda, si riusciva a ricostruire in modo più ampio la modalità utilizzata dagli apparati repressivi dello Stato per sterminare il movimento rivoluzionario ossia, oltre all’uso spropositato della violenza, la sistematica diffusione nei quartieri proletari dell’eroina, prima sfruttata per mantenere sotto controllo i soldati-proletari durante l’aggressione imperialista al Vietnam. Purtroppo, come di consueto, quando finalmente passa un grande film, capace di essere rivoluzionario e così avvincente da vincere ed essere candidato ai più importanti premi, a partire dalla candidatura a cinque Oscar, fra cui quello di miglior film, viene poco considerato dalla critica radicale italiana, tanto che l’unico giornale comunista gli dà meno rilievo dell’agiografia del reazionario Clint Eastwood su Hoover, bollando come irrilevante il film Panther. Inoltre, a dimostrazione di quanto sia paradossalmente più avanzato il mondo del cinema statunitense rispetto a quello europeo, mentre hanno ricevuto moltissimi premi film rivoluzionari come Judas and the Black Messia e Il processo ai Chicago 7, il premio al miglior film europeo è andato all’insostenibile e ultrareazionario film danese L’ultimo giro. A dimostrazione, ancora una volta, che le scuse degli ignavi che sostengono che sia impossibile fare film rivoluzionari in paesi imperialisti e farli anche distribuire, non ha fondamento ed è solo la scusa per adeguarsi all’ideologia dominante. Certo, bisogna anche considerare il fatto che la produzione di così tanti grandi film negli ultimi anni negli Stati Uniti di denuncia delle spaventose discriminazioni degli afroamericani sono in primo luogo il prodotto dei grandi movimenti di lotta che sono scesi in campo contro il razzismo. A ulteriore dimostrazione che in una società classista solo la lotta paga.
Snowpiercer seconda serie in 8 episodi; il primo, L’epoca dei due motori, riapre il conflitto di classe non più interno – in quanto i rivoluzionari hanno conquistato il potere – ma rivolto all’esterno, dove ancora domina l’autocrazia del grande capitale. Quest’ultimo, in effetti, per conservare il proprio dominio ha la necessità di mantenere il controllo sui tecnici-intellettuali. Questi ultimi, però, sono ancora fortemente influenzati dal processo rivoluzionario e fanno in modo che i due mondi contrapposti debbano rimanere uniti per poter sopravvivere. Inizia dunque la guerra fredda, una lunga guerra di posizione, quando i due campi si rendono conto che il tentativo di risolvere il conflitto con una guerra lampo di movimento non ha possibilità di aver successo. La nuova situazione di guerra di logoramento mette subito in seria difficoltà il campo rivoluzionario, in quanto la tanto agognata democrazia non può affermarsi, in quanto lo stato di guerra impone il mantenimento dello stato di emergenza e, di conseguenza, la legge marziale. Inoltre le differenze di classe in teoria sparite, rischiano di riprodursi con il leader della rivoluzione che è convinto dall’intellettuale tradizionale e dalla compagna a installarsi in prima classe per poter meglio gestire il processo rivoluzionario. Inoltre, l’intellettuale tradizionale, da sempre controrivoluzionario, ha facile gioco nel convincere le masse, stanche dopo il massacrante conflitto di classe, che sia necessario un compromesso e che il padrone non è poi così cattivo. Inoltre vi è il sotto proletariato, anarcoide ed estremista, che cade facilmente nell’inganno del campo nemico, che vi comincia a diffondere il cancro della droga.
Una fiamma pronta a divampare, secondo episodio della seconda serie di Snowpiercer, si mantiene all’altezza delle aspettative. Emerge la necessità di superare la lotta di classe a livello internazionale, fra le due parti del treno, metafore del sistema capitalista e del sistema socialista, per preservare la vita sulla terra dalla catastrofe ambientale, in modo da poter uscire dallo stato d’eccezione reso permanente, indispensabile al dominio sempre più irrazionale e ingiusto del capitale. Come si vede chiaramente la politica di distensione viene sfruttata dal capitale, per cercare di colpire al cuore il socialismo. Tanto più che l’universo socialista è infiltrato da fascisti volti a terrorizzare le classi popolari. Inoltre è ancora forte la capacità di egemonia del grande capitale non solo sui residui dell’alta borghesia ma anche della media e piccola borghesia all’interno del mondo socialista. Un ruolo importante è svolto dagli intellettuali scienziati che si illudono idealisticamente che sia possibile superare le divisioni di classe sulla base del bene comune. Segue in Recensioni di classe 13.
Due regia di Filippo Meneghetti, Francia e Belgio 2019, voto: 7; considerato il miglior film francese dell’anno e fra i migliori film europei, anche quest’opera dimostra l’arretratezza anche del miglior cinema europeo rispetto allo statunitense. Mentre quest’ultimo, nelle sue opere più avanzate, affronta coraggiosamente questioni storiche sostanziali, come lo sterminio del movimento rivoluzionario negli Stati Uniti, il cinema europeo arriva al massimo a una critica dei costumi bigotti e cattolici che impediscono il libero amore fra due donne. Per cui la sinistra ha portato a termine la sua metamorfosi nell’ala sinistra dello schieramento borghese, che incentra il proprio impegno esclusivamente sulla lotta liberale per i diritti civili, lasciando completamente da parte la questione sociale. Tanto che la lavoratrice manuale che perde il lavoro viene vista, esclusivamente, come un possibile intralcio alla riconquista del libero amore fra le due protagoniste. Per il resto il film è certamente ben girato e ben interpretato, ma sostanzialmente incapace di andare al di là del piano etico della famiglia e delle contraddizioni fra la famiglia naturale e quella “spirituale”.
Sound of Metal, di Darius Marder, drammatico, musicale, Belgio, Usa 2019, voto: 6; film toccante sulle difficoltà di chi diviene diversamente abile e sui problemi nel dover ricostruire la propria vita. Il film tende a sostenere la tesi che la disabilità non debba esser considerata un caso clinico da curare, pretendendo così di riprendere la vita precedente, come se si trattasse di un handicap da superare quanto prima, ma di una nuova possibilità di vita all’interno di una comunità dove valorizzare il proprio essere diversamente abile. La contrapposizione troppo netta fra integrazione in una comunità e soluzione chirurgica appare troppo manichea, come altrettanto discutibile è la prospettiva di tenere il più possibile separati dai normodotati la comunità dei diversamente abili, invece di cercare di operare in vista della loro integrazione. Questa attitudine manichea rende il film troppo deterministico e a tesi, con una conclusione già scritta, priva di qualsiasi significativa catarsi. Il film colleziona davvero troppe candidature ai premi oscar, fra cui – davvero ingiustificata – la candidatura a miglior film.
Il commissario Montalbano, 15x01, Il metodo Catalanotti, voto 5+; con questa ultima e inutile puntata sembra finalmente giungere a termine questa fortunata e ultra sopravvalutata serie, che da molto non aveva più nulla di significativo da dire. Per quanto, al solito, ben confezionata per essere una serie italiana, il motivo tragico o drammatico del giallo passa sempre più in secondo piano, sostituito dalla merce più facilmente vendibile e tendenzialmente conservatrice della commediola sentimentale. Nel caso specifico, abbiamo l’integerrimo commissario che, dopo anni, rompe su due piedi la propria stabile relazione per “amore” di una giovinetta, appena conosciuta. Per altro l’immagine della donna non esce comunque bene dal film, per quanto il tentato omicidio venga giustamente depenalizzato a causa del trattamento degradante subito dall’autrice: quest’ultima dimostra un amore-sottomissione assoluto nei confronti dell’uomo, inverosimile e degradante.