Segue da Heidegger, Husserl e il nazismo
4.2. L’ebreo, la civilizzazione e la rivoluzione
Già alla vigilia e nel corso della Prima guerra mondiale gli stereotipi dell’ideologia della guerra tendono a saldarsi con quelli dell’antisemitismo e antigiudaismo (l’ebreo, già per Sombart nel 1911, rappresenta il mercante, il rappresentante del pensiero calcolante e antimetafisico, incarna la Gesellschaft un modello di società estrinseco e meccanico, in quanto non avrebbe il senso della comunità). E attecchiscono soprattutto dopo la Rivoluzione di ottobre, interpretata con un complotto ebraico, in particolar modo in Germania a causa della disfatta subita, della vicinanza con la Russia, del crollo della dinastia degli Hohenzollern, nella quale gli intellettuali ebrei sono accusati di aver giocato un ruolo di primo piano.
Lo stesso Weber, pur se contrario all’antisemitismo, spiega la partecipazione degli ebrei agli eventi rivoluzionari attraverso la categoria del ressentiment, lo spirito di vendetta, ripreso da Nietzsche. Ed è da motivi desunti da Nietzsche che si alimenta l’antigiudaismo (mentre l’antisemitismo è più connesso al razzismo biologico che, al contrario, Nietzsche rifiutava come forma di ressentiment dei mal nati tedeschi nei riguardi dei ben nati ebrei). Noterà acutamente T. Mann: “lontano da ogni antisemitismo razziale, Nietzsche vede tuttavia nell’ebraismo la culla del cristianesimo e, in questo, a ragione ma con orrore, il seme della democrazia, della Rivoluzione francese e delle odiate ‘idee moderne’, che egli, con parole di fuoco, bolla come morale del gregge”.
È evidente anche in Spengler la presenza di Nietzsche; Spengler utilizza l’espressione ressentiment anche nell’interpretazione del socialismo e del comunismo; anche se in questa posizione non è presente un razzismo biologico, tuttavia l’insistere sulla continuità culturale della ribellione degli schiavi dalle origini cristiano-giudaiche al bolscevismo lo avvicina al nazismo. Altro motivo presente in Sombart e in Spengler è il considerare l’ebreo privo di “storicità” e di “destino”, come i nemici della Germania. L’ebreo è considerato il tipico rappresentante della Zivilisation: si entusiasma per la parola “internazionale” e agirebbe in senso distruttivo verso la società in cui vive ed è perciò assimilato alla figura del sovversivo (apolide, sradicato, senza legami con il suolo). Del resto il confine tra antigiudaismo e antisemitismo è labile e incerto (95-100) [1].
4.3. Gli ebrei e la comunità senza suolo
Ciò che rafforzerà i sentimenti antigiudaici negli anni successivi alla prima guerra mondiale è il richiamarsi, da parte di intellettuali ebrei quali Buber o Rosenzweig, alla “comunità” o anche alla “comunità del sangue”. Ma questo richiamo comporta l’essere liberi dal legame del suolo e, quindi, la teorizzazione dell’ebreo quale autentico pacifista. Ciò rafforza la convinzione, da parte degli ambienti più sciovinisti, dell’estraneità degli ebrei dall’“autentica comunità tedesca” e accentua i sentimenti antigiudaici (100-2).
4.4. Occidente e giudaismo: Jaspers e Heidegger
Jaspers (che secondo Lukács non avrebbe aderito al nazismo solo per questioni di carattere personale – la moglie era ebrea) è decisamente contrario all’antisemitismo. Tuttavia nel criticare la modernità usa temi nicciani quali il ressentiment, che rendono difficile la demarcazione rispetto all’estensione del concetto in chiave antigiudaica. Del resto gli stereotipi antigiudaici imperversano anche tra gli stessi ebrei: si pensi a Bergson che si rammarica nel suo testamento spirituale del contributo dato dalla sua stirpe alla Rivoluzione d’Ottobre. Anche in Heidegger non c’è razzismo biologico, tuttavia condivide il mito che il bolscevismo sarebbe giudaico, ma non come i nazisti, per i quali la continuità è di origine razziale. Per Heidegger, sulla scia di Nietzsche, il bolscevismo è il risultato di tutta la storia d’occidente. Quindi, il rifiuto della modernità, come in Jaspers, a partire dal cristianesimo comporta l’antigiudaismo (103-8).
4.5. Schmitt e la teoria del complotto ebraico
I temi antigiudaici in C. Schmitt si caricano di elementi naturalistici, che lo portano ben oltre Heidegger. Emerge con chiarezza il mito della Rivoluzione come complotto ebraico (come si spiegherebbe altrimenti la dissoluzione in chiave liberale che il “filosofo ebreo” Spinoza avrebbe operato della teoria dello Stato assoluto di Hobbes?) (108-11).
5. Tra “sangue e suolo” e modernismo reazionario
5.1. Le contraddizioni ideologiche del Terzo Reich
La critica alla modernità, tema proprio dell’ideologia della guerra, oltre alle idee della Rivoluzione francese investe anche la tecnica, (la cui terra di elezione è l’Inghilterra): il calcolare viene contrapposto al pensare, l’autentica civiltà e cultura al semplice comfort, alla civilizzazione sinonimo di cultura dell’utilità e d’ideologia del benessere, spirito borghese, attaccamento meschino alla sicurezza e alla felicità e fuga dalla dimensione elementare e pericolosa dell’esistenza. La critica alla civilizzazione e al pensiero tecnico e calcolante era in contraddizione con la mobilitazione totale in funzione dello sforzo bellico. E di questo se ne prende coscienza dopo la disfatta del 1918.
Sia Schmitt che Spengler mettono sotto accusa il “romanticismo” che ha impedito il pieno dispiegarsi del potenziale militare del paese. Ancora di più Jünger, che condanna sì la tecnica in quanto sinonimo di massificazione e di involgarimento plebeo, ma ritiene assurdo ritagliarsi nella modernità uno spazio bucolico; la battaglia deve essere condotta dal cuore stesso della modernità e proprio grazie alla tecnica che ha rivelato un significato nuovo, non più sinonimo di sicurezza borghese e di comfort, bensì di dominio e di volontà di potenza. A proposito di questo atteggiamento assunto da Jünger, ma anche da Spengler nei confronti della tecnica, si è parlato di “modernismo reazionario”, che accanto al rifiuto del liberalismo, della democrazia e del socialismo comporta il rigetto dei motivi arcaicizzanti. Questa contraddizione si presenta anche nel nazismo, dove da un parte si celebra la tecnica, ma dall’altra si insiste sull’ideologia del sangue e del suolo (questo per giustificare il programma delle conquiste a est) (112-8).
5.2. Nietzsche, la volontà di potenza e la lotta contro il nichilismo
La contrapposizione tra pensiero calcolante e volontà di potenza è presente anche in Jaspers e Heidegger. Quest’ultimo saluta l’avvento di Hitler al potere come liberazione dal pensiero privo di radici e potenza. Ma, soprattutto, in questo momento Nietzsche è ai suoi occhi l’alfiere della lotta al nichilismo (tema caro all’ideologia della guerra). Nichilismo è per Heidegger bolscevismo, socialismo, democrazia e trova la sua origine (indicata da Nietzsche) nel cristianesimo. Mussolini e Hitler lottano contro il nichilismo perché sono andati a scuola da Nietzsche, ma Heidegger non risparmia dalla sua critica lo stesso nazismo, non immune del tutto dalla massificazione: le gite al mare, l’accesso ai beni culturali da cui i più fino ad allora erano esclusi. Nichilismo sono, dunque, massificazione, organizzazione, sradicamento e smarrimento della “storicità”.
Heidegger non interpreta Nietzsche come ateo, considera l’espressione “dio è morto”, non una negazione, ma un più intimo sì al dio venturo. Per lui la nuova religione è la ripresa della grecità originaria e in questo presenta punti di contatto con il neopaganesimo dei nazisti (Heidegger criticherà il concordato dei nazisti con la chiesa cattolica – per lui la lotta al nichilismo presuppone la resa dei conti con la chiesa cattolica). Nietzsche viene considerato da Heidegger come fine della parabola nichilista, ma anche come passaggio al secondo inizio. Dal 1933 l’unità intorno al nuovo regime si configura in Heidegger anche come unità intorno a Nietzsche (119-124).
5.3. Macchina e massificazione: Heidegger e Jaspers
L’adesione di Heidegger e la vicinanza di Jaspers al nazismo non sono collocate sul terreno del modernismo reazionario. Tutt’e due desumono da Nietzsche il rapporto tra tecnica da una parte e massificazione e, quindi, democrazia dall’altra. La critica alla tecnica e al pensiero calcolante non poteva non creare tensioni col regime, ma siamo ben lontani da una rottura con esso. La denuncia della modernità è sicuramente un motivo di incontro con il nazismo nella condanna al liberalismo, al socialismo, alla democrazia e alla massificazione, ma è anche un motivo di confronto critico nella definitiva resa dei conti con la modernità e con il pensiero calcolante (124-131).
5.4 Totalità, pensiero calcolante e massificazione
La critica di Heidegger non solo alla “visione del mondo” (tema che richiama l’ideologia della guerra, come la critica alla concezione del mondo), ma anche alla “visione del mondo totale” è stata interpretata come resa dei conti nel confronti del “totalitarismo nazista”. Innanzitutto i nazisti definivano totalitari i loro nemici (l’Urss ad esempio), la loro era piuttosto una visione totale del mondo. Ma Heidegger guardava con sospetto questa categoria di totalità perché richiamava l’odiosa tradizione rivoluzionaria. Questo aspetto è del resto presente anche negli ideologi nazisti, quali Böhm che denuncia il razionalismo totale, il meccanicismo totale, che contrassegnerebbe la parabola rovinosa della modernità. La categoria di totalità è connessa con quella del pensiero calcolante, che parte da Cartesio e sarebbe alla base della civilizzazione. Al cartesianesimo e alla modernità viene contrapposto da Böhm il pensiero dischiudente che apre alla realtà (concetti che rinviano a Heidegger). Risulta chiaro che la critica di Heidegger alla categoria di totalità e al pensiero calcolante non sta a significare di per sé rottura con il regime, ma semmai è espressione delle contraddizioni ideologiche all’interno del Terzo Reich (131-5).
6. Tramonto e trasfigurazione dell’occidente
6.1. La critica dell’ideale della pace perpetua
Deriva da un tema dell’ideologia della guerra ed è presente in autori quali Spengler e Jaspers nel 1936 e in Heidegger che liquida la pace perpetua come una forma di cristianesimo secolarizzato e di nichilismo incompleto, ancora una volta richiamandosi a Nietzsche (136-40).
6.2. Guerre-lampo, ordine nuovo e nichilismo completo
Secondo Heidegger a determinare lo scoppio della Seconda guerra mondiale è stata la volontà di potenza (che è nichilismo) che attraversa la storia d’occidente, mentre avrebbero un ruolo secondario i motivi economici e lo stesso “spazio vitale” propagandato dai nazisti. Anche gli stessi nemici della Germania sono mossi dalla volontà di potenza. A questo punto potremmo porci il problema del perché schierarci con una della parti in lotta. In realtà, secondo Heidegger, la democrazia e il socialismo rappresentano il “nichilismo incompleto e passivo” che mira a sostituire i valori attuali con altri analoghi (il socialismo e la felicità universale al posto del cristianesimo). Mentre il nazismo rappresenta il nichilismo estremo, attivo, che mira, guidato dalla volontà di potenza, a realizzare l’ordine nuovo (quindi le brutalità e le vittorie del Terzo Reich vengono filosoficamente trasfigurate nel nichilismo completo e attivo). In questa fase Heidegger si riavvicina a Jünger, commentando il suo libro Il lavoratore, sostiene che le iniziali vittorie del Terzo Reich sembrano confermare la tesi dell’autore, ovvero che il volto del reale sono “il lavoratore” e “il soldato” considerati figure rappresentative della nuova umanità chiamata a realizzare la nicciana volontà di potenza. (140-6)
Note:
[1] I numeri fra parentesi tonde si riferiscono alle pagine del testo qui recensito: La comunità, la morte, l’occidente. Heidegger e l’“ideologia della guerra”, di Domenico Losurdo, Bollati Boringhieri, Torino 1991.