LA BATTAGLIA DI HACKSAW RIDGE di Mel Gibson Usa 2016-17: valutazione 4/10
Il film è reso intollerabile dall’ideologia del regista che riesce a mettere insieme il peggio del peggio dal punto di vista ideologico, ovvero una visione ultra-fondamentalista della religione e, dal punto di vista politico, l’aperto sostegno allo sciovinismo imperialista del proprio paese. I due aspetti appaiono difficilmente coniugabili, in quanto il comandamento non uccidere non pare ben sposarsi con l’arruolamento come volontario nell’esercito a stelle e strisce impegnato in una guerra imperialista particolarmente sanguinosa. Tanto che l’ostinazione del protagonista nel tenere insieme questi due aspetti manda su tutte le furie l’esercito in tutte le sue componenti. Solo la cieca ostinazione del fanatico religioso e la vocazione al martirio permettono al protagonista di spuntarla.
Ciò è reso possibile dalla sua incrollabile convinzione della compatibilità, fra servire in una guerra imperialista e rispettare nel modo più rigoroso il comandamento non uccidere. Essa si fonda sulla totale ingenuità del protagonista che è a sua volta portato di una profonda ignoranza, perfettamente incarnata da Andrew Garfield sino ai limiti del fastidio, per la sua capacità di immedesimarsi in modo così acritico in un personaggio tanto naif. Il problema è che l’effetto di straniamento è reso impossibile dalla completa adesione del regista al punto di vista del suo, per quanto assurdo, protagonista.
L’ignoranza riguarda innanzitutto l’adesione assolutamente acritica a una visione del mondo mitologico-religiosa particolarmente rozza e integralista, che porta non solo a considerare la Bibbia rivelazione divina di una verità assoluta, ma a interpretarla e ostinarsi a seguirla alla lettera, senza nemmeno intravederne lo spirito. D’altra parte il protagonista dimostra altrettanta ignoranza nella fiducia cieca nella propaganda guerrafondaia, sciovinista e imperialista che lo porta a interpretare la guerra interimperialista con il Giappone come una guerra santa del bene, costretto a difendersi dall’aggressione del male.
Anche in tal caso c’è totale adesione del regista a tale visione ultra-sciovinista, tanto da presentare i giapponesi, impegnati in una difesa disperata del proprio territorio nazionale da un’aggressione imperialista che mira a una totale sottomissione del Giappone all’imperio del proprio nemico statunitense. La pretesa della resa senza condizioni, senza accettare neppure l’unica richiesta della controparte, che chiedeva garanzie per l’imperatore venerato in Giappone come una divinità, porterà ai due più spaventosi attacchi terroristici della storia, le due bombe atomiche su città del tutto estranee al conflitto, e poi l'instaurazione di una vera e propria dittature militare statunitense.
Abissale è la differenza rispetto al capolavoro di Clint Eastwood Lettere da Iwo Jima, ne La battaglia di Hacksaw Ridge i nemici sono totalmente disumanizzati, appaiono delle pure bestie assetate di sangue, e non c’è mai il minimo sforzo non solo da parte dei militari americani, ma da parte dello stesso regista di provare a mettersi nei propri panni. Manca, in effetti, sulla base di una concezione decisamente razzista, difficilmente conciliabile con il cristianesimo, qualsiasi forma di riconoscimento per un nemico del tutto disumanizzato.
Ciò è possibile grazie all’interpretazione calvinista in senso integralista del cristianesimo, che intende seguire proprio la parte più arcaica e irrazionale della Bibbia, l’antico testamento, ereditato dalla ancora più arcaica religione ebraica, senza valorizzare in nulla la profonda innovazione introdotta dal Cristo. Perciò il nuovo e unico, secondo il Vangelo di Giovanni, comandamento del Cristo: ama il tuo prossimo come te stesso, è completamente sacrificato ai dieci comandamenti della Genesi.
Emergono inoltre, proprio per il cieco integralismo del regista e del protagonista gli aspetti più detestabili della visione del mondo cristiana, ovvero l’individualismo antipolitico che spinge il cristiano unicamente a salvare se stesso in un mondo circostante condannato alla completa dannazione. Così il protagonista patisce un intero Calvario pur di non mettere in discussione un comandamento divino che rischierebbe di portarlo all’inferno, ma non ha mai nessuno slancio di amore per l’altro, spingendolo a fare lo stesso, ossia a non uccidere. Anzi il suo folle coraggio, viene esplicitamente sfruttato, senza che il protagonista sollevi il benché minimo dubbio, nel rendere ancora più agguerrito l’assalto finale dei suoi commilitoni, che sterminando i propri nemici rischierebbero anch’essi l’inferno.
Tale palese contraddizione è aggirabile unicamente grazie alla profonda ipocrisia del cristiano calvinista, dal cui spirito non a caso sorgerà il capitalismo, per il quale l’unico modo per comprendere di essere fra gli eletti è nella propria capacità di prevalere sugli altri, perciò condannati alla dannazione eterna. Certo, di tale capacità di primeggiare il fedele rende grazie al proprio dio, ma si tratta sempre più palesemente di un’ipocrisia, considerato che la propria elezione si realizza senza residui nel successo che si consegue sulla terra grazie al proprio sforzo individualistico.