Il film del regista sudafricano Matthew A. Brown affronta indubbiamente dei temi sostanziali di grande attualità: il razzismo e la xenofobia, che impedisce di valorizzare anche gli essenziali apporti che una cultura diversa dalla nostra può offrire; il tema della casta accademica, chiusa nel proprio classismo conservatore a ogni valorizzazione dei giovani talenti e, infine, il complesso incontro-scontro fra due opposte concezioni della scienza, una analitica l’altra intuitiva.
di Renato Caputo e Rosalinda Renda
L’uomo che vide l’infinito (valutazione 7,5) è un film che, attraverso la narrazione della tragica vita di Srinivasa Ramanujan, un geniale matematico indiano con diversi tratti affini a quelli del nostro Majorana, affronta in primo luogo i suoi drammatici rapporti con il mondo coloniale. Negli anni in cui si sviluppa la vicenda rappresentata dal film, gli anni della Prima guerra mondiale, l’India è sotto il dominio coloniale inglese. Quest’ultimo, al contrario di quanto racconta la vulgata autoconsolatoria occidentale, lungi dal favorire la modernizzazione di civiltà arretrate, ne ha sfruttato selvaggiamente per i propri fini imperialisti le risorse non solo fisiche, ma anche umane. Per altro tale sfruttamento è avvenuto in modo rozzo e irrazionale, proprio perché i colonialisti in quanto tali sono incapaci, prigionieri dei loro pregiudizi razziali, di qualsiasi forma di riconoscimento verso le popolazioni extra europee. In tal modo le competenze e le potenzialità che potrebbe offrire questo “capitale umano” rischiano di andare completamente perdute. Come vediamo nel film, che narra una storia vera, persino un geniale giovane matematico ha difficoltà persino nel trovare un misero impiego da contabile al servizio della potenza colonizzatrice.
D’altra parte il colonialismo ha, come ogni forma di violenza e oppressione, la conseguenza di certo non voluta, di suscitare nella realtà sfruttata e dominata gli anticorpi necessari a rovesciare il rapporto servo-padrone che avevano imposto. Se, come insegna la Fenomenologia dello spirito, il mancato riconoscimento fra le autocoscienze porta a una lotta per la vita e per la morte, che si risolve a favore del più violento, in questo caso del colonialista, attraverso il duro servizio è proprio quest’ultimo che si forma, tanto da sviluppare capacità e competenze di cui il signore, abituato a sfruttare il lavoro altrui, non ha.
Come vediamo nel film, infatti, è proprio l’indiano al servizio del signore inglese l’unico a scoprire il talento del giovane matematico e a offrirgli oltre a un impiego la possibilità di essere conosciuto e valorizzato a livello internazionale. Il padrone inglese, ebbro della propria volontà di potenza e accecato dai propri pregiudizi razziali non può che giudicare astrattamente, vedendo nel giovane genio solo uno straccione da scacciare.
D’altra parte il rapporto servo-padrone si fonda su tale riconoscimento ineguale, ossia funziona fino a che l’oppresso si riconosce in tale ruolo subordinato. Tale attitudine al servizio è favorita, come acutamente intuito dal grande pensatore reazionario Nietzsche, dallo sviluppo di una morale del gregge, di un’eticità servile favorita dai pregiudizi affermatisi grazie alla tradizione religiosa che afferma che gli ultimi, i subalterni, saranno premiati in un ipotetico altro mondo, a patto che si subordinino passivamente all’ordine gerarchico della società santificato e reso eterno dal suo fondarsi sulla stessa volontà divina.
Così la potenza coloniale inglese si afferma non solo grazie alla violenza e alla morale signorile che la guida, rafforzata dai pregiudizi razziali che la portano a riconoscere nell’extra-europeo un servo naturale, ma anche grazie al collaborazionismo attivo dei gruppi sociali e culturali dominanti nel paese coloniale. Sulla base del vecchio principio del divide et impera, fondamento di ogni politica imperiale e imperialista, i colonizzatori esercitano il loro dominio grazie alla complicità dei ceti sociali dominanti, che esercitano il proprio imperio grazie all’egemonia culturale, in questo caso fondata sulla tradizione religiosa improntata a perpetuare la gerarchia sociale mediante l’ideologia delle caste. Gli oppressi, dunque, soffrono la mancata accettazione nelle vite precedenti dell’ordine universale divino e possono liberarsi solo mediante la passiva e incondizionata accettazione di tale ordine, che li porterà a un certo riscatto in una ipotetica reincarnazione.
Così il mancato riconoscimento e la mancata valorizzazione del talento giovanile anche di un individuo geniale come il protagonista della storia rappresentata nel film, è opera non solo della potenza coloniale, ma della stessa tradizione culturale e religiosa strumentale al domino socio-economico delle classi dirigenti autoctone. Tanto che, per poter sviluppare i propri enormi talenti, il protagonista deve battersi non solo contro i pregiudizi razziali dei dominatori, ma contro i pregiudizi religiosi dei dominati, vero e proprio fondamento della loro eticità servile. La determinazione a rompere con l’ordine sociale e culturale tradizionale porta però il protagonista a entrare in conflitto con l’eticità dominante nel suo nucleo familiare naturale. La mancata determinazione a portare fino in fondo la lotta con queste arcaiche strutture etiche, il rispetto che il protagonista preserva, a tutela della propria identità, con le credenze religiosi tradizionali e con la struttura gerarchica della famiglia, gli impedisce la piena emancipazione dalla propria coscienza servile.
Come vedremo questa mancata determinazione a portare alle estreme conseguenze la rottura con una tradizione oscurantista sarà fatale al protagonista, in quanto gli impedirà di poter sviluppare in pieno la propria vocazione nella società civile e di potersi liberamente realizzare in un nucleo familiare nuovo, scelto sulla base dell’amore e della volontà razionale e non imposto dalla natura e dalla tradizione. Anzi, come ognuno costruisce con tutta una serie di azioni inconsapevolmente irrazionali la propria morte, anche il protagonista favorisce la propria prematura dipartita mediante un regime alimentare assurdo, imposto dai pregiudizi della religione tradizionale. La conservazione insensata di questi ultimi, è però in buona parte il prodotto del mancato riconoscimento da parte della cultura della potenza coloniale, che favorisce l’oppresso a cercare in modo irrazionale la propria identità nella tradizione.
Al contempo la sua prematura scomparsa è favorita, oltre che all’esplosione della guerra imperialista – che per altro favorisce l’esplodere delle pulsioni scioviniste e razziste, fondate sul ressentiment degli strati inferiori del paese dominante, per l'autoemancipazione dei colonizzati attraverso il duro lavoro di formazione durante il servizio – dal baronaggio imperante nelle accademie dei paesi classisti. Quest’ultimo oltre che sulla difesa classista dei propri privilegi sempre più irrazionali, si fonda sul razzismo e sul complesso di Laio, che vede nel giovane dotato di genio un pericoloso concorrente.
Tale spaventoso Leviatano finisce però per dimostrarsi una tigre di carta, dinanzi alla pervicace determinazione della minoranza progressista del mondo accademico che, anche per le proprie origini nelle classi subalterne, prende decisamente posizione per il valorizzare, anche se in funzione comunque subordinata ai proprio interessi, il capitale umano offerto dal giovane immigrato. In tal modo, pur tra mille lotte e difficoltà, riusciranno a fare la propria fortuna, utilizzando ai propri fini le enormi capacità di lavoro sviluppate da chi è stato temprato in una realtà di duro servizio, e le fortune della propria accademia e del proprio stesso paese, che di tale fuga e furto dei cervelli troverà indubbiamente giovamento.
Molto interessante e significativa è la rappresentazione del complesso rapporto che si istaura fra l’anziano accademico progressista e il giovane genio autodidatta, in parte prigioniero della torsione identitaria favorita dall’oppressione imperialista. Il professore democratico svolge la delicatissima e decisiva funzione di termine medio fra la comunità scientifica, prigioniera dell’ideologia dominante e di un’idea di scienza tutta analitica, in cui l’intelletto calcolante e la logica deduttiva della scolastica impedisce lo sviluppo dell’intuizione intellettuale, e il giovane geniale autodidatta che ha sviluppato al massimo quest’ultima, ma è incapace di ottenere l’ambito riconoscimento in quanto arriva direttamente alle soluzioni, saltando i necessari passaggi dimostrativi intermedi.
Da questo punto di vista il giovane indiano ha molti tratti in comune con la figura di Giordano Bruno e non a caso le sue ricerche lo portano, percorrendo una strada del tutto diversa, a risultati analoghi, che confermano le geniali intuizioni del nolano sull’universo infinito. Anche in tal caso i risultati incredibilmente avanguardisti cui giunge con l’intuizione intellettuale e il rifiuto pregiudiziale alla loro paziente dimostrazione scientifica, lo portano a una rotta di collisione inevitabile con la conservatrice comunità accademico-scientifica. Gli esiti non potrebbero che essere devastanti per il genio autodidatta se non intervenisse il duro lavoro di mediazione operato dal professore progressista che sulla scorta di Galileo ha una maggiore attenzione alla tattica da una parte e a tenere insieme l’attitudine sintetica dell’intuizione intellettuale con l’attitudine analitica dell’intelletto calcolante.
In tal modo pur reprimendo, come lo rimprovera il più radicale Bertrand Russell, le attitudine creative del giovane, riesce a far accettare i risultati della sua ricerca dalla conservatrice accademia delle scienze, superando almeno in parte i pregiudizi psicologici, sociali e ideologici. D’altra parte questa figura, magistralmente interpretata da Jeremy Irons, è anch’essa verosimilmente complessa e, dunque, limitata e necessariamente contraddittoria. Certo in essa, rispetto alla media degli accademici, i tratti progressivi e democratici sono decisamente prevalenti, ma la sua passione per la scienza, per l’universale lo porta, inconsapevolmente, a ragionare talvolta in modo astratto, a non considerare per niente la sfera particolare, i necessari limiti, la radicale finitezza dell’essere umano.
Così, mosso dalla buona intenzione di costringere il giovane ad affiancare alle sue geniali intuizioni le necessarie dimostrazioni, non si avvede che lo costringe a un carico di lavoro eccessivo che finisce per rendere ancora più rapida al sua prematura scomparsa. Del resto, a differenza del giovane, ha del tutto trascurato la necessità di radicare la propria eticità universale, sull'eticità particolare e naturale della famiglia e questo lo porta a vedere nel geniale indiano unicamente lo scienziato e non l’uomo particolare, con i suoi problemi concreti, che finiscono per schiacciarlo.