Tutti vogliono qualcosa, Serata Nureyev e Dov’è Mario?

Questa settimana proponiamo la recensione dell’ultimo film di Linklater – istantanea dell’alba dei devastanti Eighty – della Serata Nureyev – tre balletti in omaggio all’indimenticabile danzatore – e l’esilarante miniserie di Corrado Guzzanti, in cui il volto grottesco della destra populista si rivela l’altra faccia della (a)sinistra italiana.


Tutti vogliono qualcosa, Serata Nureyev e Dov’è Mario?

di Renato Caputo e Rosalinda Renda

Questa settimana proponiamo la recensione dell’ultimo film di Linklater – istantanea dell’alba dei devastanti Eighty – della Serata Nureyev – tre balletti in omaggio all’indimenticabile danzatore – e l’esilarante miniserie di Corrado Guzzanti, in cui il volto grottesco della destra populista si rivela l’altra faccia della (a)sinistra italiana.

Tutti vogliono qualcosa (valutazione: 6,5)

Tutti vogliono qualcosa (Everybody Wants Some!!) comincia dove Boyhood, il penultimo film di Linklater, era arrivato ma decisamente non è all’altezza di quest’ultimo.

Siamo nel 1980 e Jake, alter ego del regista, appena arrivato al college conosce i suoi coinquilini che sono anche i suoi compagni di squadra. Jake è un giocatore di baseball, un lanciatore, è nella squadra del college e come i suoi compagni pensa solo a divertirsi, sballarsi e rimorchiare le ragazze.

È chiaro che siamo nel momento del riflusso, Reagan è stato appena eletto e la spinta propulsiva e rivoluzionaria dei giovani tra gli anni Sessanta e Settanta è giunta al termine. C’è solo qualche piccolo strascico che emerge nella caratterizzazione di qualche personaggio come il giovane dall’aura hippie, l’ex compagno di classe convertito al punk, erede della spinta anarchica del movement e la potenziale ragazza di Jake, una radical chic in salsa Living Theatre.

Il film si svolge nel weekend precedente l’inizio delle lezioni, non ha una vera e propria trama, quello che emerge è solo una fotografia di una generazione, di una generazione di giovani piuttosto deludenti, che hanno come unico obiettivo dire e fare cose cretine. È sicuramente una fotografia azzeccata, è lo spaccato di un epoca che apre ai disastrosi anni Ottanta, ma c’è poco più. Proprio perché il film è naturalista e non realista, non ha sbocchi, non ha morale, né prelude a un riscatto sociale o politico, fa al massimo riflettere sulla miseria del recente passato, ma niente più.

La prima parte della pellicola è piuttosto noiosa se non irritante, anche perché il vocabolario usato dai protagonisti è piuttosto limitato e povero. Ancora meno interessanti sono le cose che fanno e che pensano, tipiche di persone senza cervello, ma anche senza sentimenti puri. Solo il protagonista sembra un po’ volersi distinguere dal branco, ma lo fa in modo molto timido e poco deciso.

L’unica nota positiva è la musica, proprio ben scelta, un brano su tutti la mitica My Sharona dei Knack, un vero tormentone nel 1980. La colonna sonora più di ogni altra cosa nel film sottolinea il momento di passaggio dal rock ormai al tramonto, al nascente punk che si contrappone alla più commerciale disco music. Il protagonista, al bivio, non sa cosa scegliere e nel dubbio sembra voler provare un po’ tutto…

Serata Nureyev (valutazione: 4)

Come ogni estate l’Opera di Roma si trasferisce alle Terme di Caracalla. La stagione estiva si è aperta con Serata Nureyev, tre date dedicate al balletto (22, 24 e 26 giugno), in particolare al Rudolf Nureyev (1938-1993) coreografo. In realtà Nureyev se è indimenticabile come danzatore, per il suo talento e per il suo virtuosismo, tra i migliori del Novecento insieme a Nižinskij e Baryšnikov, meno importante è sicuramente come coreografo. Il celebre ballerino russo dal temperamento forte e dotato di un’eccezionale prestanza fisica, fu sicuramente molto influente e innovativo nella danza classica: egli diede un’importanza ai ruoli maschili mai avuta fino ad allora e si affermò anche come ballerino nella danza moderna oltre che nella classica contribuendo a superarne i confini e guadagnandosi numerose critiche a proposito. La sua carriera di coreografo è sicuramente meno brillante, egli era affascinato dall’opera del coreografo francese Marius Petipa (1818-1910), di cui ha rimontato i balletti più importanti. La sua coreografia è piuttosto classica e non particolarmente innovativa come quella di un Roland Petit o un Maurice Béjart.

L’opera di Roma presenta in apertura della serata il terzo atto di Raymonda (1898) che Nureyev rimontò 1964 al Royal Ballet, non discostandosi molto in realtà dalla versione di Petipa, ed è il primo balletto che Rudolf Nureyev presentò all’Opéra di Parigi nel 1983. Dopo un lungo e incomprensibile intervallo di più di 25 minuti, vista la scenografia estremamente spoglia di Raymonda (qualche scranno e candelabro) e quella inesistente dei due balletti successivi, per i quali ci si affida alla scenografia gratis fantastica e spettacolare delle rovine delle Terme di Caracalla che fanno da sfondo, (l’unica cosa veramente bella che rimane della serata), vengono proposti degli estratti de Il Lago dei Cigni (1895): in particolare La Polonaise dell’atto I e il Pas de Trois del cigno nero dell’atto III dalla versione finale di Nureyev del 1984 per l’Opera di Parigi. Rispetto alle versioni precedenti, la coreogrefia di Nureyev si incentra su Siegfried anziché su Odette, vengono inserite nuove parti maschili, la Polonaise, ad esempio, prima danzata in coppie, diventa una Polonaise di gruppo maschile. Nureyev inoltre rielabora l’intero Pas de Deux del Cigno Nero in un Pas de Trois, che coinvolge Siegfried, Odile e il crudele mago Rothbart. La serata si conclude con l’intero III Atto de La Bayadère (1877) che Nureyev realizzò nel 1992, pochi mesi prima della sua morte, basandosi sulla vecchia versione di Chabukiani.

Gli interpreti di questa serata omaggio a Nureyev sono i primi ballerini e i solisti del Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma. Interprete d’eccezione Friedemann Vogel, primo ballerino al Balletto di Stoccarda, nei ruoli di Jean de Brienne per Raymonda e di Siegfried ne Il lago dei cigni. Se l’interpretazione di Vogel è sicuramente all’altezza, meno lo sono le sue partner, almeno nella serata del 24, dove le gocce di pioggia cadute sul palcoscenico ne compromettono l’esibizione. Ma a parte la pioggia, l’interpretazione dei danzatori e delle danzatrici è pittosto piatta, non solo priva di tecnicismi e virtuosismi, ma anche di quella passione che riesce a trasmetterti qualcosa anche di fronte ad un’esibizione, diciamo così, un po’ sporca. Come più volte abbiamo sottolineato, l’Opera di Roma dovrebbe investire un po’ di più nella qualità degli spettacoli che propone e non fare solo affidamento alla bellezza di uno scenario mozzafiato che fa, come sempre, perdonare tutto. Anche un’amplificazione davvero non all’altezza.

Dov’è Mario (valutazione: 7-)

Serie in quattro puntate realizzata dal grande comico televisivo Corrado Guzzanti per Sky Atlantic, rappresenta ancora una volta un’ottima dimostrazione che si può realizzare una televisione di qualità divertendo, ma al contempo dando non poco da pensare in modo critico a un pubblico piuttosto ampio, visto che la prima puntata, andata in onda il 25 maggio, è stata vista da 650.000 spettatori. Il filone scelto è quello di Dr Jekyll and Mr Hyde, riadattato in sede di satira politico-sociale sulla scia di due capolavori di Bertolt Brecht come L'anima buona di Sezuan e Il signor Puntila e il suo servo Matti. In Dov’è Mario? abbiamo l’intellettuale tradizionale di sinistra che, per recuperare la popolarità perduta e il contatto con le masse, dinanzi all’avanzata di una destra nemica della cultura determinata a non fare prigionieri, assume le fattezze di un comico che parla alla pancia del suo pubblico, stimolandone gli istinti più rozzi, i pregiudizi più beceri. Siamo così difronte alla tragicommedia della sinistra bertinottiana e girotondina, la cui assoluta incapacità di dare parola ai bisogni reali dei subalterni ha fatto sì che in loro voce parlassero pagliacci sempre più populisti e truci, considerato che il decennio berlusconiano ha prodotto tre gradi eredi, demagoghi per tutti i gusti, da Grillo a Renzi a Salvini. Mentre gli intellettuali della a-sinistra, con il loro buonista e tutto ideologico politically correct, tendono a rivolgersi a un ceto medio riflessivo in via di estinzione, rapportandosi con uno snobismo paternalistico verso i subalterni, questi ultimi, sempre più privi di coscienza di classe, divengono facile preda del populismo dei demagoghi, che sfruttano un senso comune sempre più trucido e destrorso prodotto da una classe dominante che non ha più dinanzi un’opposizione in grado di impensierirla, neppure dal punto di vista culturale.

Guzzanti mette alla berlina la sinistra tradizionale italiana che pensa ancora di poter campare di rendita sulle conquiste della Resistenza, che ha prodotto la costituzione più democratica nei paesi capitalisti e poi le conquiste del Pci. Si tratta certo di grandi conquiste, che certo non possono essere abbandonate dinanzi a chi le sta attaccando da destra, ma che non si difendono in un’ottica conservatrice, rivolta al passato, ma riaprendosi al principio speranza, riacquisendo quel necessario spirito dell’utopia per riprendere a sviluppare quel conflitto sociale senza il quale non solo non si conquista nulla di nuovo, non solo ci si riduce a difendere delle posizioni sempre più arretrate, ma neanche la linea del Piave appare più in grado di reggere alla barbarie che avanza.

Un altro aspetto significativo è la pervicacia dell’ideologia dominante, che riesce sempre più a egemonizzare una sinistra sempre meno capace di esprimere una propria autonoma visione del mondo, capace di trasformarsi in una filosofia della praxis. In tal modo sempre più spesso il discorso della sinistra mainstream finisce con l’essere l’altra faccia di quello della destra populista e anzi quest’ultima finisce sempre più per avere il sopravvento, dal momento che la prima ha la preminenza sul piano ideale dei diritti, degli ideali civili e democratici, mentre la seconda – parlando direttamente alla pancia dei subalterni – è più facilmente in grado di egemonizzarli, per quanto sia un discorso rozzamente demagogico.

Il limite del film rischia di essere lo stesso di Carnage di Polaski, per cui il pubblico finisce per ridere delle battutacce razziste e politically uncorrect dei cinici rappresentanti della destra, tanto i rappresentanti della sinistra nel loro elitismo e formalismo politically correct da intellettuali tradizionali appaiono noiosi, fiacchi e perdenti. Si finisce così per sviluppare un sano e avanzato effetto di straniamento verso gli esponenti della a-sinistra radical-chic del ceto medio riflessivo e provare una qualche attrazione e immedesimazione nella rozzezza demagogica, che ha portato tanti elettori di sinistra delusi a votare per il populismo grillino generalmente rozzo e xenofobo.

Dov’è Mario? non riesce a sottrarsi al principale difetto delle serie: la ripetitività – che le rende, già alla terza puntata piuttosto noiose – e la necessità, per mantenere vivo l’interesse del pubblico, di inserire – oltre a infinite variazioni sul tema di fondo e rimandi all’intuizione originaria – anche trovate e colpi di scena sempre più forzati e improbabili, che finiscono con il rendere sempre meno realistica e addirittura inverosimile il plot. Corrado Guzzanti non si sottrae nemmeno al limite di fondo dei comici televisivi che possono essere davvero geniali negli sketch, ma finiscono con l’annoiare e con il divenire stucchevoli più tendono a utilizzare ogni mezzo per allungare un brodo che finisce così con l’apparire sempre più insipido.

Se la terza puntata inizia ad annoiare la quarta finisce con il divenire irritante, a tratti intollerabile. La comicità greve, qualunquista, machista e razzista alle lunghe diviene stucchevole. Le continue risa e convinte approvazioni da parte degli spettatori sono sempre più fastidiose, perché l’attitudine cialtronesca di certo pubblico diviene l’unica possibile, viene normalizzata e quasi “naturalizzata”, per cui il trash televisivo finisce con l’essere, in qualche modo, giustificato. Del tutto insopportabile diviene poi la schematica dicotomia per cui le uniche due ipotesi possibili sono una a-sinistra elitaria, che si parla addosso, del tutto estranea al mondo dei subalterni, narcisista, e una massa di subalterni ridotta a claque della destra populista, razzista, sessista e cinica. Per quanto sia vero che si tratta in ultima istanza di due facce della stessa medaglia, il non prendere in considerazione nemmeno la possibilità di un’alternativa reale, finisce per naturalizzare questo stato di cose e per far apparire più vicina e simpatetica con le masse la destra populista e fascistoide.

02/07/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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