È finalmente stato dato alle stampe anche in Italia l'ultimo libro di Ricardo Antunes, tra i principali sociologi brasiliani, pubblicato originariamente in Brasile ad inizio del 2018. Tale testo si configura come raccolta di articoli, alcuni inediti, altri no, pubblicati a più riprese su giornali e riviste brasiliane, ovviamente riadattandoli alle necessità di un testo più duraturo come è per l'appunto un libro.
Il libro è diviso in 4 parti: la prima dedicata alle nuove forme della precarietà digitale; la seconda si focalizzata sulle trasformazioni del mercato del lavoro in Brasile a seguito delle ultime controriforme neo liberali; la terza dedicata alle lotte che si svilupparono a partire dal 2013 contro gli attacchi ai diritti dei lavoratori [1] e infine un'analisi sulle prospettive di lotta sindacale e nell'America latina.
L'attualità di tale opera si dimostra fin dall'introduzione all'edizione italiana, dove l'autore dimostra come l'epoca di pandemia che stiamo vivendo abbia solo portato alla luce con più forza quel fenomeno che Ricardo Antunes non stenta a definire uberizzazione del mondo del lavoro, da intendersi come flessibilizzazione totale dei rapporti di lavoro, mascherati da lavoro “autonomo” o da lavoro “digitale”.
Nella prima parte del libro l'autore cerca di descrivere le principali caratteristiche della classe che vive di lavoro [2], con particolare attenzione a ciò che avviene nel vasto mondo del terziario, o settore dei servizi. La pretesa di una presunta fine del lavoro viene messa in discussione: dal momento che per realizzare il lavoro “digitale” sono necessari componenti, come i minerali rari, provenienti dai paesi del cosiddetto Terzo Mondo, estratti in condizione spesso prossime alla schiavitù. Caso emblematico è la fabbrica della Foxconn in Cina, dove le terribili condizioni di lavoro hanno condotto molti operai al suicidio.
Quello che sta cambiando non è dunque il mondo del lavoro, ma stanno cambiando, in peggio, le condizioni di lavoro. Il boom dei lavoratori terziarizzati o esternalizzati, lungi dal costituire qualcosa di nuovo, rappresenta unicamente un modo per diminuire i diritti e il costo del lavoro, combinando come fa Walmart, toyotismo e taylorismo. Antunes fa inoltre notare, facendo riferimento a Marx, che il lavoro nei servizi è lavoro produttivo, già che il ciclo completo descritto nel primo libro del Capitale è: produzione, consumo, circolazione e scambio. Il capitale non starebbe così riducendo il suo margine di valorizzazione, ma lo starebbe ampliando con tecniche differenti, ma non meno efficaci, rispetto al passato. Esempio ne è il contratto a zero ore, diffusosi nel Regno Unito, in cui si guadagna solo in relazione alle ore lavorate, e non c'è alcuno stipendio fisso mensile.
Allo stesso tempo in cui aumenta il contributo della tecnologia nel mondo del lavoro, si moltiplicano le forme contrattuali, si disperde in mille rivoli la coscienza dei lavoratori, e appare evidente l'individualizzazione del rapporto di lavoro, nel quale il lavoratore è apparentemente “padrone” del suo tempo [3].
Tra i lavoratori che maggiormente soffrono di questa situazione vi sono i lavoratori immigrati, sempre sotto il costante ricatto della perdita del lavoro, che può significare la perdita del permesso di soggiorno, la possibile espulsione; al tempo stesso però essi rappresentano per Antunes, in piena sintonia su questo con Pietro Basso, strumento fondamentale con le loro lotte per il riconoscimento dei diritti sociali, dell'emancipazione del lavoro tutto dal dominio del capitale.
Come dicevamo nella seconda nota a piè di pagina Antunes rifiuta categoricamente l'ipotesi della fine del lavoro o che quella a cui ci troviamo di fronte sia una “nuova” classe lavoratrice, la definizione corretta sarebbe quella di “classe che vive di lavoro”, intendendo con essa tutti coloro i quali per vivere sono obbligati a lavorare e non sono proprietari dei mezzi di produzione. La nuova morfologia del mondo del lavoro deve comprendere la classe lavoratrice nelle sue molteplici determinazioni e non appena includere le nuove forme, precarie, di lavoro.
Nel quinto capitolo l'autore riprende il dibattito lukacsiano sul concetto di reificazione. Per Lukács tale concetto si riferisce alla cosalizzazione di tutti i rapporti umani, giungendo fino all'animo del lavoratore; in più distingue, secondo l'analisi di Tertulian, tra reificazioni innocenti e alienanti, le prime si produrrebbero quando l'attività umana si realizza in una cosa, che rappresenta in qualche modo un riflesso; le seconde si determinerebbero quando l'attività soggettiva si trasforma in un oggetto, che riproduce una forza estraniata da sé.
Tale elemento appare con più chiarezza nella dialettica tra lavoro astratto e concreto: il primo marxianamente è dispendio di energie umane dal punto di vista intellettuale, il secondo dal punto di vista materiale, ma nel sistema capitalistico entrambi sono subordinati alle esigenze di valorizzazione del capitale. L'emancipazione umana si potrà realizzare solo con la fine della dicotomia tra tempo di lavoro socialmente necessario per la riproduzione dei lavoratori e tempo necessario per la valorizzazione del capitale.
Nella seconda parte dell'opera Antunes si concentra sull'analisi dei processi di precarizzazione in Brasile. Innanzitutto il sociologo sottolinea come il mercato del lavoro in Brasile si sia fondato a partire dagli anni '60, epoca d'inizio della dittatura militare in Brasile, sul super-sfruttamento della forza lavoro, caratterizzato da bassi salari e giornate di lavoro molto lunghe. A partire dagli anni '80, con l'introduzione di meccanismi toyotisti, si è innestato su un sistema di tutele già di per sé molto debole un sistema di ulteriore precarizzazione della forza lavoro. Tra i settori più colpiti c'è stato quello dei call center, dove tutti i ritmi del lavoro sono scanditi in maniera precisa; tutto dalle pause alla durata delle conversazione, deve essere cronometrato al minuto.
Tutto ciò ha come principale effetto quello di portare a malattie di tipo fisico e psicologico, dovute agli eccessivi livelli di stress e agli alti ritmi di lavoro; ad esempio è molto utilizzata la gestione per obiettivi che produce una competizione tra lavoratori, costretti ad aumentare la quantità di lavoro per raggiungere risultati sempre più elevati [4].
Ad un'analisi più approfondita emerge anche il fatto che i lavoratori terziarizzati lavorano in media diverse ore in più dei lavoratori con contratto a tempo indeterminato, subiscono il doppio degli incidenti, e spesso non hanno accesso a diritti costituzionali come tredicesima o ferie. La terziarizzazione era cominciata per alcuni settori negli anni '70, in seguito si era estesa negli anni '90 alle attività intermedie di tutti i settori, impedendola in quelle finali, ma a partire dal 2015, e nonostante le crescenti mobilitazioni, è stata consentita in tutti i rami produttivi. Da tali relazioni sindacali discendono nuove esigenze per il movimento sindacale.
Il sindacalismo brasiliano si trovò costretto a fare i conti prima con la repressione governativa durante l'epoca della dittatura militare, e in seguito con i processi di ristrutturazione produttiva descritti in precedenza. La nascita della CUT (acronimo di Centrale Unica dei Lavoratori) e contemporaneamente la fondazione del PT alla fine degli anni '70 sembravano riaccendere le speranze su un possibile cambiamento radicale, ma dopo una fase di ascesa del movimento sindacale negli anni '80, che sfociò nel riconoscimento del diritto di organizzazione sindacale nella costituzione del 1988, gli anni '90 videro l'attacco forte del neoliberalismo, sopratutto con i due governi di Fernando Henrique Cardoso. In questa fase, mentre il movimento sindacale scontava l'enorme processo di privatizzazioni con il quale il governo Cardoso cercò di compiacere il capitale finanziario, il PT, sconfitto per 3 volte alle elezioni presidenziali, avviava un processo di progressiva conciliazione di classe, culminato con la “Lettera ai brasiliani” del 2002, con il quale si garantiva il pagamento del debito estero e il mantenimento del quadro economico neo liberale, in cambio di sviluppo economico e aumento dei livelli occupazionali.
La CUT nel frattempo a partire dagli anni '90 si trasformava progressivamente da sindacato di lotta a sindacato di conciliazione, avendo sempre come obiettivo quello di raggiungere il compromesso con la controparte padronale. La vittoria del PT nel 2002 e i successivi governi Lula prima e Dilma poi, produssero una vera e propria istituzionalizzazione della CUT, i cui dirigenti entrarono ai vertici delle imprese pubbliche, divennero sottosegretari o ministri, allontanandosi sempre di più da una prospettiva di lotta di classe, per adottare un discorso sull'ampliamento dei diritti di cittadinanza, concentrandosi unicamente sui diritti civili, e dando in qualche modo i diritti sociali per scontati.
Il primo governo Lula si caratterizzò dunque più per la continuità con il neoliberalismo che per una rottura radicale, come dimostrato da una totale assenza di riforma agraria, dall'appoggio dato al latifondo rivolto all'esportazione e una politica economica di avanzo primario. Lo scandalo definito come “mensalao”(traducibile come mensilità) che significava mantenimento in forme diverse del meccanismo che scambiava fondi ai partiti in cambio di voto alle leggi del governo, condusse Lula nel suo secondo mandato a cercare alleanze tra il sottoproletariato, attraverso le politiche sociali riassunte nell'ambito della Bolsa famiglia. Tutto ciò gli consentiva di allargare molto la sua base di consenso, includendo settori storicamente appannaggio della destra, a causa del timore dell'instabilità economica che un eventuale governo di sinistra avrebbe potuto provocare.
Alle elezioni del 2010 il PT presentò Dilma, un personaggio di secondo piano del partito, e che in ogni caso non avrebbe messo in discussione la leadership lulista; i suoi governi si caratterizzarono per la continuità con le politiche di conciliazione di classe, appoggiando programmi sociali, ma al tempo stesso rafforzando il capitale finanziario. Ma la crisi internazionale cominciava a mordere e l'organizzazione del mondiale di Calcio, con lo spostamento di ingenti risorse dall'ambito sociale a quello per gli eventi sportivi condusse, insieme ad altri fattori, all'esplosione delle rivolte del giugno 2013. Esse si caratterizzarono da subito per la loro eterogeneità: nelle principali piazze del paese vi erano i lavoratori precari, alcune tra le principali organizzazioni di sinistra del paese che erano all'opposizione del PT e una parte del ceto medio. Le divisioni politiche tra i movimenti condussero progressivamente all'egemonia della destra in queste piazze, spostando il centro delle rivendicazioni dalle politiche sociali alla lotta contro la corruzione. Ciò aumentò i consensi al candidato Aecio Neves, che nel 2014 per pochi punti percentuali non sconfiggeva Dilma. Ella, dopo una campagna elettorale contro tagli e austerità, accusata di brogli, decise di capitolare al programma di austerità voluto dalla destra, alienandosi progressivamente tutti i consensi che aveva nella classe lavoratrice.
Il clima con il quale si arrivò al golpe giudiziario nel 2016 contro Dilma quindi già vedeva un'opinione pubblica in buona parte convinta che il PT fosse responsabile di tutta la corruzione nel paese e un Parlamento già disponibile a trovare una scusa per cominciare il processo di impeachment: il motivo scatenante fu un deficit che Dilma avrebbe prodotto senza le adeguate coperture fiscali. Dopo il passaggio elettorale alla Camera e al Senato a succederle fu il suo vice, Temer.
Il suo governo si caratterizzò per l'esigenza di determinare un attacco neo liberale che vertesse su tre punti specifici: riduzione della spesa pubblica, controriforma del mercato del lavoro e delle pensioni. Per quanto concerne la prima fu approvata una legge che impose per 20 anni un tetto alla spesa pubblica, per i successivi venti anni con tendenza alla progressiva riduzione; sulla precarizzazione fu approvata una riforma che introdusse il contratto senza orario fisso e permise di estendere a piacimento la giornata di lavoro.
La riforma delle pensioni, il cui dibattito cominciò verso la fine del governo Temer, fu approvata nel primo anno di governo Bolsonaro, dimostrando la pressoché totale continuità tra le due gestioni.
La candidatura Bolsonaro si inserì in un quadro di profonda instabilità politica, con la destra tradizionale incapace di creare una figura forte da contrapporre al PT, e con un'opinione pubblica sempre più convinta della pressoché totale identificazione tra corruzione e PT. Bolsonaro, i cui tratti misogini, razzisti e nostalgici della dittatura erano da tempo noti, colse in qualche modo la palla al balzo; l'attentato che subì pochi mesi prima delle elezioni aiutò invece a creare l'immagine dell'uomo salvato da Dio, venuto a liberare il paese dai corrotti. Ma gli ultimi mesi dimostrano proprio il contrario: Bolsonaro è coinvolto in scandali di corruzione pressoché quotidianamente, e sta gestendo in maniera disastrosa la pandemia da Coronavirus.
Nella parte conclusiva del libro Antunes si interroga su quale sia il futuro dei sindacati e più in generale sul movimento socialista internazionale. Per quanto riguarda il primo punto, in un paese in cui il sindacato fu creato in epoca Vargas per meglio disciplinare il lavoro e contenere le istanze più radicali del movimento dei lavoratori, è necessario riorganizzare il movimento sindacale, ampliandone la partecipazione a tutto il proletariato dei servizi, superando inoltre il corporativismo e il burocratismo tipico delle centrali sindacali.
Per quanto concerne invece l'ambito più squisitamente politico, l'autore ritiene, a partire dall'analisi di Meszaros, che i movimenti debbano porsi il tema del superamento non solo della struttura economica capitalista, ma anche del sistema del capitale, che coinvolge anche lo Stato e la relazione gerarchica in relazione al lavoro; necessario sarebbe anche fare tesoro degli insuccessi delle rivoluzioni “in un paese solo” pensando dunque a un coordinamento delle lotte che dal piano nazionale continentale possa estendersi a quello mondiale; inoltre sarà fondamentale che le lotte sul piano politico si pongano sul piano extra-parlamentare oltre che su quello puramente istituzionale.
Tale raccolta di articoli e saggi ci appare come estremamente rilevante, per tutti coloro che volessero studiare le trasformazioni del mondo del lavoro in Brasile, ma più complessivamente a livello mondiale, per comprendere lo sviluppo economico del Brasile degli ultimi decenni e come il neoliberalismo si sia installato nelle maglie di un mercato del lavoro già con poche tutele e infine per riflettere sulle prospettive internazionali di lotta per l'emancipazione dei lavoratori dal dominio del capitale.
Note:
[1] Con il capitolo 18, non presente nell'edizione brasiliana, che mostra la continuità neo liberale tra il governo Temer e quello Bolsonaro.
[2] L'autore rifiuta la definizione di nuovo proletariato o di “precariato”, intendendo tale settore come parte integrante della classe di coloro che sono obbligati a dover vendere la propria forza lavoro per poter vivere.
[3] Tra gli esempi potremmo citare i tassisti di Uber: in teoria potrebbero lavorare quanto vogliono, hanno la loro macchina, ma quello che accade in realtà è un costante aumento delle ore lavorate, per far fronte ai crescenti costi di benzina,assicurazione, ecc.
[4] Tra gli esempi riportati nel libro vi sono i lavoratori della canna da zucchero, che ricevono un salario in proporzione alla quantità di canna che raccolgono, costringendoli di fatto a coglierne sempre di più, e al tempo stesso provocando una riduzione del valore del lavoro svolto.