Siccità di Paolo Virzì, drammatico, Italia 2022, con Valerio Mastandrea e Silvio Orlando, voto: 6,5; il film è di fatto una ripresa di America oggi di Altman, inizialmente pare fiacco e noioso, ma nella seconda parte si rianima e diviene interessante, divertente e anche commovente. Film tutto sommato ben fatto, con una trama che sfiora alcuni aspetti sostanziali, anche se appare del tutto avulso dal conflitto sociale e dalla lotta di classe, a differenza dei migliori film di Virzì.
La figlia oscura – The Lost Daughter di Maggie Gyllenhaalda, drammatico, Usa 2021, nomination ai premi Oscar per la sceneggiatura non originale, la migliore attrice protagonista e non protagonista, voto: 6,5. Film ben confezionato e altrettanto ben recitato, ha un plot decisamente intrigante, che ne rende indubbiamente piacevole la visione. Peccato che di fondo il film, come il romanzo da cui è tratto, non abbiano sostanzialmente nulla di significativo da trasmettere. Perciò se appaiono meritati i riconoscimenti tributati a Olivia Colman e a Jessie Buckley, meno meritata appare la nomination per la migliore sceneggiatura non originale.
Crisi in sei scene di Woody Allen, miniserie in sei episodi, voto: 6,5; sebbene ci siano tutti gli ingredienti per una bella serie brillante, Crisi in sei scene è, soprattutto nell’episodio pilota, decisamente deludente. Non bastano un grande attore, un grande regista, un grande sfondo storico, l’intersecarsi di vicende individuali con grandi eventi storici per realizzare una reale opera d’arte. La serie appare essenzialmente un lavoro su commissione e non è in grado di sviluppare una godibile satira sociale. Si resta sempre a un livello decisamente superficiale, in quanto la serie manca decisamente d’incisività.
A poco a poco Crisi in sei scene riprende quota attraverso il confronto-scontro fra la posizione borghese del protagonista-regista e la posizione estremista della ricercata rivoluzionaria. La satira sociale è benevola, anche se lascia qualche perplessità il fatto che proprio quando per la prima volta Woody Allen fa i conti con le grandi contraddizioni del mondo storico e sociale non ne colga minimamente la tragicità, appiattendo tutto sull’inadeguato tono comico.
Con il passare delle puntate, la serie diviene sempre più convincente e divertente. Certo colpisce negativamente il fatto che la satira sociale finisce per colpire non solo lo spirito dell’utopia, ma lo stesso principio di speranza. Stupisce, inoltre, il fatto che il punto di vista dell’autore assume di fatto la prospettiva del cameriere sui grandi eventi storici, finendo sostanzialmente per rivendicare la classica ipocondria dell’impolitico. D’altra parte anche la versione farsesca dei grandi movimenti di lotta della fine degli anni sessanta è talmente superiore alla tenebra del quotidiano oggi dominante, che anche la serie di Woody Allen finisce in modo, anche involontario, per riproporre le grandi ambizioni che animavano davvero molti uomini di quell’epoca, che non si può che rimpiangere dinanzi al deserto del reale oggi imperante, insieme al pensiero debole che considera ormai definitivamente sorpassata la possibilità stessa di una grande narrazione.
Love life di Kôji Fukada, drammatico, Giappone 2022, voto: 6,5; film alla Ozu, molto lento, minimal, ma intenso. Love life evidenzia quanto il Giappone sia patriarcale e, quindi, l’importanza della lotta per l’emancipazione della donna, anche se questo aspetto dirimente non appare facilmente al pubblico occidentale che, generalmente, non conosce quanto sia ancora lunga la strada che porta al raggiungimento delle pari opportunità fra i generi nella conservatrice società giapponese.
Due donne – Passing, regia di Rebecca Hall, drammatico, Usa 2021, vincitore di diversi premi, oltre alla nomination per la migliore opera prima e per il miglior film britannico, voto: 6,5; film che affronta un tema sostanziale, cioè le durissime condizioni degli afroamericani negli Stati Uniti, quando appena un secolo fa vi erano costanti linciaggi con atti di sadismo spaventosi. Il film è incentrato sul dramma di una mulatta che si finge caucasica e sposa un marito razzista. Tuttavia sente nostalgia per il proprio mondo, in particolare quando incontra di nuovo una sua amica che è, peraltro, una delle protagoniste della Harlem reinassance. Nel film abbiamo finalmente un’alternativa, ma manca la catarsi e soprattutto la lotta contro il razzismo. Il film, peraltro ben confezionato, finisce per perdersi nel rapporto fra le due amiche, divenendo alquanto soporifero.
Apollo dieci e mezzo – A Space Age Childhood di Richard Linklater, animazione, Usa 2022, distribuito su Netflix, voto 6,5; film decisamente piacevole e ben realizzato formalmente, animato da una vivace ironia, contribuisce a smontare alcuni aspetti del sogno americano. Peccato che si limiti solo a sfiorare delle tematiche sostanziali, finendo con il contribuire al riflusso nel privato e alla narrazione piuttosto romantica di esperienze soggettive vissute dal regista.
La vita è una danza di Cédric Klapisch, commedia, drammatico, Francia, Belgio 2022, voto: 6+; film certamente godibile, ben confezionato e piuttosto emozionante. Notevole il contributo di provetti ballerini, che consente al film di trasmettere amore per la danza nei suoi diversi aspetti. Nonostante le anche notevoli coreografie, il film non scade mai in una serie di siparietti piuttosto estemporanei. Interessante la prospettiva di una ripartenza che non miri a una perfezione astratta per sempre perduta, ma capace di valorizzare anche le debolezze e gli aspetti anche tragici dell’esistenza. Peccato che dal film sia completamente cancellata la realtà e la storia con i suoi conflitti sociali e politici.
La stranezza di Roberto Andò, commedia, Italia 2022, con Toni Servillo, Salvo Ficarra e Valentino Picone, voto: 6+; il film è ben confezionato e alquanto gradevole, ma si dimostra privo di contenuti sostanziali e significativi da comunicare allo spettatore. Il regista si diverte a mettere in scena Pirandello al modo di Pirandello. La trovata è certamente di maniera e un po’ scontata e non ha nulla, naturalmente, a che vedere con le innovazioni essenziali introdotte da Pirandello nel dramma moderno. Resta, comunque, certamente valida la trovata di affiancare un personaggio di altissimo spessore artistico, impersonato da un grande attore drammatico, a due personaggi da commedia, impersonati da due comici di rango inferiore. Al di là delle trovate e della buona prova degli attori, al di là di una regia che si sottrae ai principali vizi del cinema italiano, il film lascia troppo poco su cui riflettere allo spettatore. Il film finisce per attrarre e tenere insieme un pubblico sofisticato e degli spettatori dai gusti più semplici, risultando il film italiano campione d’incassi dell’anno.
Lupin è una serie televisiva francese prodotta da Gaumont e pubblicata su Netflix, in dieci episodi, candidata come miglior serie drammatica ai Golden globe, voto: 6+; sullo sfondo delle avventure di un ladro “gentiluomo” che segue le orme di Lupin, si staglia la significativa denuncia della storia di discriminazione di una famiglia emigrata nel mondo occidentale dall’Africa. La falsa e pretestuosa accusa che colpisce il padre condiziona pesantemente la vita del figlio ed è anche responsabile della sua scelta di seguirne, almeno apparentemente, le orme. Significativa la denuncia dei pregiudizi che portano a condannare i più umili e deboli, sebbene per il resto la serie, nei primi due episodi, appare carente di contenuti sostanziali e, quindi, non sembra in grado di suscitare reale interesse e godimento estetico nello spettatore.
Nel terzo e quarto episodio finalmente la serie decolla, emerge in primo piano la corruzione e la collusione dei “poteri forti”, dai dirigenti degli apparati repressivi dello Stato, ai “grandi” imprenditori, in realtà dei perniciosissimi parassiti sociali. Appare evidente come gli esponenti del grande capitale vivano alle spalle dei lavoratori subordinati, sfruttando a loro vantaggio il razzismo che contribuiscono a diffondere. Valida è anche la volontà di rivalsa dei subalterni e di chi ha subito discriminazioni razziali, peccato che la sacrosanta lotta di classe dal basso è portata avanti in modo individualistico e sostanzialmente inverosimile da un singolo. Si tratta, naturalmente, di una soluzione in fin dei conti impraticabile, irrealistica e, in ultima istanza, sostanzialmente scarsamente in grado di incidere.
Nel quarto e quinto episodio, invece, le questioni sostanziali passano in secondo piano e finiscono così con il rimanere troppo sullo sfondo. In tal modo la serie diviene noiosa e soporifera.
Negli episodi successivi Lupin torna a essere una serie godibile e lascia, inoltre, meritoriamente emerge l’importanza di presentare come eroi positivi i figli di emigrati africani. Emergono anche i profondi e nefasti legami fra mondo del capitale finanziario, classe politica dirigente e apparati repressivi dello Stato, pronti a non indagare sui gravissimi delitti dei colletti bianchi e a perseguitare sino all’ultimo, senza pietà, reati che trovano una evidente giustificazione economica e sociale nelle tragiche condizioni di vita dei ceti subalterni. Restano, inoltre, tutti i dubbi già prima evidenziati, sulla prospettiva e la praticabilità di una emancipazione individualista come quella promossa dalla serie.
Nell’episodio finale ritroviamo, nel bene e nel male, le principali caratteristiche dell’intera serie. Quest’ultima si conferma godibile e approfondisce la critica della classe dominante e degli apparati repressivi dello Stato supportati anche da nazisti. Valida la figura del protagonista ribelle al sistema, anche se la sua capacità di incidere come singolo resta necessariamente limitata a una vendetta sostanzialmente personale.
Come te nessuno mai di Gabriele Muccino, commedia, con Anna Galiena e Luca De Filippo, Italia 1999, voto: 6+; film che ha il merito di ricostruire, in modo relativamente naturalistico, il fenomeno delle occupazioni scolastiche, dandone un giudizio storico positivo. Il limite principale è che la prospettiva del film è tutto sommato reazionaria, in quanto idealizza il riflusso nel privato e in un amore romantico ormai davvero fuori tempo massimo.
I fratelli De Filippo di Sergio Rubini, drammatico, Italia 2021, ha ottenuto 6 candidature ai David di Donatello, voto: 6+; discreto film che fa da controcampo, per quanto in modo un po’ unilaterale, all’altrettanto unilaterale film di Mario Martone che racconta una parte della stessa storia dal punto di vista di Scarpetta: Qui rido io. Il film narra tutte le traversie dei figli naturali di Scarpetta per affermarsi, nonostante tutte le difficoltà dovute alla loro condizione e al loro tentativo di innovare profondamente la commedia. Il limite principale del film è accentuare in modo troppo unilaterale la volontà di rivalsa dei De Filippo per le umiliazioni subite dal padre padrone Scarpetta.
Winning time – L’ascesa della dinastia dei Lakers, serie televisiva statunitense ideata da Adam McKay, Jim Hecht e Max Borenstein per HBO, in Italia trasmessa nel 2022 da Sky Atlantic, voto: 6+; serie certamente godibile, ben confezionata e senza cadute nel postmoderno. In Winning time vi sono alcuni spunti significativi sulla discriminazione degli afroamericani negli Stati Uniti. Interessante anche il confronto-scontro fra le generazioni cresciute nelle lotte degli anni sessanta e settanta e quelle già fuori dal mondo e dalla storia che maturano negli anni ottanta. Peccato che la serie sia una sostanziale apologia di quest’ultima generazione. Altro grande limite è lo sguardo soggettivo sullo “squalo” che, sfruttando di fatto la prostituzione, si è acquistato la squadra e che non è praticamente mai presentato in modo realistico, ma sempre in forma edulcorata. Infine, per quanto a tratti anche avvincente, la tematica sportiva al centro della serie è priva di elementi realmente sostanziali.
Lunana – Il villaggio alla fine del mondo di Pawo Choyning Dorji, drammatico, Bhutan 2019, nomination a miglior film internazionale, ai premi Oscar 2022, voto: 6+; film interessante, coinvolgente e anche commovente, fa riflettere su problematiche significative quale il ruolo dell’insegnante. Purtroppo non affronta le questioni fondamentali economiche, sociali e politiche e offre un’immagine edulcorata, irrealistica e inverosimile della vita nei più sperduti villaggi di montagna.
I Mitchell contro le macchine di Michael Rianda e Jeff Rowe, animazione, Usa 2021, distribuito da Netflix, nomination agli Oscar come miglior film d’animazione e vincitore nella stessa categoria dei Critics Choice Award, voto: 6+; I Mitchell contro le macchine ha ottenuto diversi riconoscimenti ed è risultato tra i film di animazione più premiati dell’anno. Dal punto di vista formale niente da ridire, il film è certamente molto ben costruito, innovativo, godibile e a tratti geniale. Rovescia i luoghi comuni prendendo come protagonista una famiglia di antieroi particolarmente “sfigata”. Se significativa appare anche l’indagine psicologica all’interno della famiglia, per il resto il contento lascia alquanto a desiderare in quanto abbiamo la solita esaltazione sostanzialmente reazionaria della comunità etica della famiglia e la consueta critica altrettanto reazionaria della tecnologia con – allo stesso tempo – una sua altrettanto irrazionale sopravvalutazione. In ultima istanza anche l’esaltazione della famiglia sfigata statunitense contiene alcuni aspetti populisti e demagogici che, nel contesto statunitense, potrebbero rinviare al trumpismo, anche perché la famiglia modello che gli viene contrapposta si presenta, di fatto, in stile Obama.
A Chiara di Jonas Carpignano, drammatico, Italia 2021, 6 candidature ai David di Donatello, 3 candidature a Spirit Awards, voto: 6+. Film italiano che si occupa, finalmente, di una questione sostanziale come il radicamento della malavita organizzata nel tragico contesto economico e sociale dell’Italia meridionale. La tragedia ha anche un'adeguata catarsi, superando l’ottica sociologica e positivista. Peccato che l’impostazione del film resti improntata a un naturalismo documentaristico e non si sviluppi in senso realistico e tantomeno socialista.
La terra dei figli di Claudio Cupellini, drammatico, fantascienza, Italia 2021, distribuito da 01 Distribution, voto: 6+; in controtendenza rispetto alla media dei film italiani, La terra dei figli non teme di confrontarsi con una tematica sostanziale, evitando le facili cadute nella vulgata postmoderna. Anche i consueti toni grotteschi sono in questo caso giustificati dall’ambientazione post apocalittica, che consente di sviluppare un plot interessante anche con pochi mezzi economici. Certo, al solito, il film pur non nutrendo dubbi sul fatto che il modo di produzione capitalista non potrà che produrre una spaventosa crisi di civiltà, non riesce nemmeno a immaginare l’unica reale soluzione, ossia la transizione al socialismo. Significativo il fatto che, per quanto modesta, la tragedia contempli come sua necessaria coronazione una catarsi che indica nella direzione di una prospettiva di superamento dell’esistente – ovvero dello spietato mondo post apocalittico – per quanto su di un piano ancora troppo minimalista.
Flee di Jonas Poher Rasmussen, documentario, animazione, biografico, Danimarca, Francia, Svezia e Norvegia 2021, candidato a miglior film internazionale, di animazione e documentario, voto: 6+. Per essere il primo film candidato a questi tre ambiziosi titoli Flee non convince del tutto. Per quanto sia ben costruito e architettato, la trama incentrata su una figura molto particolare e poco tipica non suscita grande interesse e partecipazione finendo con rendere Flee piuttosto soporifero. Certo si denunciano il fondamentalismo religioso afghano armato dagli Stati uniti, la condizione dei profughi in particolare nella tragica situazione che si è venuta a creare in Russia dopo il crollo dell’Unione sovietica e la tragica condizione degli omosessuali perseguitati dagli integralisti, ma non si approfondiscono più di tanto le problematiche storiche, politiche, economiche e sociali.
Luigi Proietti detto Gigi di Edoardo Leo, documentario, Italia 2021, voto: 6+; documentario godibile che coglie alcuni aspetti decisamente significativi, in grado di spiegare il grande successo di questo attore e regista, in particolare la sua capacità di coniugare la cultura alta alla cultura popolare avvicinandosi, nei momenti più alti della sua produzione, a opere nazionali-popolari nel senso gramsciano del termine. D’altra parte la solita impostazione pregiudizialmente agiografica impedisce di cogliere e approfondire le contraddizioni reali, in particolare nei casi in cui il popolare attore scade nel populismo, si svende all’industria culturale, è corresponsabile della diffusione di opere meramente gastronomiche e di evasione etc.
La persona peggiore del mondo, regia di Joachim Trier, Norvegia, Francia, Svezia e Danimarca, voto 6+. Film poco più che sufficiente, pur appartenendo al genere minimal qualunquista La persona peggiore del mondo non è noioso, è certamente ben girato e presenta uno scavo abbastanza significativo dei caratteri dei personaggi. Privo com’è di contenuto realmente sostanziale appare decisamente sopravvalutata la candidatura ai premi oscar nella categoria di miglior film straniero e migliore sceneggiatura originale.
Nostalgia di Mario Martone, drammatico, Italia 2022, con Pierfrancesco Favino, voto: 6+; film che ben rappresenta lo stato sostanzialmente pietoso dell’intellettuale tradizionale di “sinistra” italiano. Nostalgia mostra, in effetti, tantissime potenzialità, le grandi capacità del regista, una profondità inusitata per il cinema italiano ma, al contempo, un’assoluta mancanza di realismo e una completa assenza di connessione sentimentale con il proprio stesso popolo. Siamo ancora di fronte a un prodotto malato della sconfitta storica dell’inizio degli anni novanta, con intellettuali che – pur non rinnegando apertamente il proprio passato e non passando al campo della destra – subiscono l’egemonia dell’ideologia dominante e finiscono con fare propri diversi aspetti del postmodernismo, quasi un pensiero unico nel contemporaneo cinema “d’autore”. Vi è poi il consueto scollamento che il formalismo, altra ideologia decisamente di destra, provoca fra una forma dignitosa e un contenuto insostenibile. Con l’aggravante di sostenere tesi decisamente di destra, per cui – per limitarci a un esempio emblematico – la lotta alla malavita organizzata, a ragione identificata con il fascismo, la condurrebbero in prima linea gli imprenditori (cioè i padroni, per il solo fatto di aver assunto questo infausto ruolo sociale), oltre a coloro che incarnano il sogno di carta statunitense del self made man ed esponenti del clero cattolico. Ecco così contrapporre una piccola associazione a delinquere, come il clan camorrista, ad altre ben più vaste e presenti in quasi tutto il mondo, con lo scopo di esaltare rappresentanti di spicco delle classi dominanti di contro ai piccoli imprenditori mafiosi. Il messaggio è – come ormai di consueto nei nostri tempi oscuri – che l’unica alternativa possibile alla destra radicale (Meloni) sarebbero il papa e un grande imprenditore (come Draghi), cioè delle alternative ancora più conservatrici e care all’ideologia dominante, per quanto meno reazionarie. Peraltro, il modello che si indica ai giovani meridionali è di emigrare all’estero, dove mediante il lavoro si diverrebbe imprenditori ecc. Davvero una bella prospettiva in un cupo e inverosimile melodrammone che non conosce catarsi. Restano alcune intuizioni valide all’inizio della pellicola, con la riscoperta, ad esempio, che il terzo mondo lo abbiamo dentro casa, prima ancora di andarlo a ricercare in Medio Oriente.
Fabian – Going to the Dogs di Dominik Graf, drammatico, Germania, Austria 2021, voto: 6+; liberamente tratto dall'omonimo romanzo di Erich Kästner, pubblicato nel 1931 e messo poi al rogo dalla Gestapo, il film dovrebbe essere una significativa metafora del rischio che corre la società attuale di ricadere nel fascismo senza, sostanzialmente, colpo ferire, per colpa innanzitutto dell’individualismo degli intellettuali tradizionali, pronti magari a disprezzare gli aspetti plebei dei fascismi, ma senza contrastarli realmente. Purtroppo la forma postmoderna, la durata eccessiva, l’assenza di qualsiasi traccia di effetto di straniamento, impedisce al film, di fatto, di raggiungere l’obiettivo. Davvero un peccato, in quanto sarebbe stata un’ottima occasione – almeno per gli intellettuali tradizionali che vi hanno lavorato e lo hanno promosso – di apprendere qualcosa dai tragici errori del passato. Al contrario il film rovescia il significato del romanzo e assume la stessa posizione di sostanziale estraneità alla tragedia del proprio mondo storico, propria del protagonista a ragione criticato dal romanzo cui Fabian è ispirato. Altro evidente segno che davvero viviamo in tempi oscuri.
Rimini di Ulrich Seidl, drammatico, Austria, Francia, Germania 2022, voto: 6+; film certamente ben realizzato e ben interpretato, risulta decisamente più debole dal punto di vista del contenuto sostanziale, del plot, che ha sempre un peso dominante nella riuscita di un’opera d’arte. Il tema scelto, per alcuni aspetti anche significativo, ha però un taglio troppo minimal-qualunquista che impedisce il pieno godimento estetico del film e lascia troppo poco su cui riflettere allo spettatore.
Full Time – Al cento per cento di Erich Gravel, drammatico, Francia 2021, voto: 6+; ancora un film francese che mette al centro lo sfruttamento dei lavoratori nel sistema capitalista e liberista. Bella e valida denuncia di come lo sfruttamento occupi l’intera giornata e vita del lavoratore salariato, se ha la “fortuna” di non ritrovarsi disoccupato o sottoccupato. Interessante anche come il salario corrisponda allo stretto indispensabile per la riproduzione della forza lavoro, anche in questo caso se tutto va bene. Deludente la catarsi finale e la mancanza di una prospettiva di risposta alla lotta di classe dall’alto con il conflitto sociale dal basso. Il film rischia perciò di scadere nel naturalismo e di annoiare lo spettatore.
Halston è una miniserie televisiva statunitense del 2021, prodotta da Ryan Murphy e basata sulla vita dell'omonimo stilista, distribuita da Netflix, voto: 6+. Si tratta, dunque, della rappresentazione realistica della visione del mondo di uno stilista di successo, il problema, naturalmente, è che la sua visione distorta e soggettiva viene presentata come la sola e, quindi, come se si trattasse di una realtà oggettiva. Così sparisce completamente dalla rappresentazione il mondo dei lavoratori salariati, degli sfruttati, dei subalterni, naturalmente cancellati da una merce, come la serie Halston, dell’industria culturale della potenza imperialista più retriva, aggressiva e reazionaria, sebbene si tratti di una merce sofisticata e di qualità. Altrettanto naturalmente si tratta di una merce ben confezionata e certamente piacevole, che ha il consueto effetto droga, cioè tende a portare lo spettatore a vedere tutti gli episodi, quando già uno è più che sufficiente per fare tesoro di quel poco di sostanziale che Halston è in grado di mediare.
La tana di Beatrice Baldacci, drammatico, Italia 2021, voto: 6+; film che, nonostante sia realizzato con pochissimi mezzi, risulta intrigante e godibile. Ben girato, senza cadute nel grottesco e nel postmoderno, il film resta purtroppo confinato, pur affrontando tematiche sostanziali, nell’eticità immediata della famiglia, rimanendo del tutto incapace di sviluppare la dimensione sociale e politica della vicenda. Infine, fornisce una visione idilliaca e del tutto irrealistica della grettezza del mondo del piccolo contadino.