Una mostra da non perdere, nonostante tutti i suoi limiti, in quanto consente di poter ammirare alcuni capolavori di due eccezionali pittori e permette inoltre di osservare il passaggio dalla grande arte classica del Rinascimento al seguente periodo di crisi magnificamente rappresentato dal Manierismo. Tale passaggio segna anche l’affermarsi di un’arte sempre più autonoma dalla rappresentazione religiosa e sempre più espressione delle classi sociali in ascesa.
di Renato Caputo e Rosalinda Renda
Valutazione: 6,5
Anche una mostra appena discreta rischia di brillare nel buio culturale in cui sta sempre più sprofondando la capitale di un Paese alla deriva. Innanzitutto perché, dopo tante mostre che ci si è limitati a importare già belle e confezionate dall’estero, abbiamo finalmente a Roma una mostra originale. D’altra parte lo stesso titolo della mostra, Correggio e Parmigianino. Arte a Parma nel Cinquecento, rischia di rimanere una promessa mancata, dal momento che gli eccezionali capolavori parmensi di questi due pittori di eccezione sono degli affreschi, non certo esponibili nella mostra romana. Dunque, l’arte a Parma nel Cinquecento promessa dal titolo rinvia essenzialmente a una serie di pittori minori attivi a Parma nel Sedicesimo secolo che hanno l’unica funzione, data la loro scarsa qualità, di far risaltare il genio artistico di Correggio e Parmigianino. Del resto, quasi tutte le opere dei due grandi pittori non provengono da Parma e diverse di esse non sono neanche state pensate per questa città o almeno in essa realizzate.
La stessa presentazione dei quadri all’interno dell’esposizione lascia piuttosto a desiderare, non solo per l’esposizione a fianco di grandi capolavori di opere di infima qualità e per la presenza di stanze quasi completamente vuote, ma perché, pur mirando a un taglio espositivo cronologico, si passa senza soluzione di continuità dalle opere giovanili dei due maestri, in larga parte decisamente immature, alle grandi opere della maturità, esposte in sale tematiche. Inoltre non solo risulta assente un qualsiasi materiale audiovisivo di introduzione e approfondimento alla mostra, ma sono addirittura assenti a fianco delle opere l’indicazione degli anni in cui sono state realizzate, il che per una mostra che ha la pretesa di offrire un percorso storico dei due grandi artisti e, più in generale, dell’arte rinascimentale parmense è una pecca tale che pare di avere a che fare con dilettanti allo sbaraglio.
Si passa da una prima sala di carattere introduttivo, in cui spicca, come di consueto, una delle opere maggiori dell’esposizione - l’intensissimo Matrimonio mistico di Santa Caterina di Correggio da Capodimonte - alla sala che raccoglie alcune opere, in genere di qualità medio-bassa, degli esordi dei due maestri. Fra quest’ultime spicca il Ritratto di Lorenzo Cybo proveniente da Copenaghen, che mostra come Parmigianino sin da giovanissimo prediligesse le rappresentazioni laiche piuttosto che quelle religiose, e in particolare brillasse nella ritrattistica dove viene rappresentata la finalmente conseguita libertà dei moderni, ossia il valore assoluto riconosciuto all’individuo, anche se si tratta ancora unicamente dell’individuo rappresentante delle classi dominanti. Tale valore assoluto è dimostrato, fra l’altro, dall’attenzione alla valorizzazione completa della sua personalità, sia esteriore che interiore, con un notevole scavo psicologico che rende così interessante il volto del gentiluomo. La raffigurazione appare al contempo classica, in quanto la rappresentazione coglie l’essenza ben al di là dell’aspetto naturalistico della presenza fenomenica di un soggetto particolare, ma è al contempo realistica perché tale essenza non può ormai che realizzarsi nell’individuo. Proprio perciò Parmigianino sente decisamente di più i ritratti – apparentemente delle opere minori realizzate per un committente privato – rispetto alle “grandi” raffigurazioni dell’arte sacra in cui non riesce più, da artista e uomo ormai moderno, a riconoscersi e, dunque, a fare propria.
Così le opere di carattere religioso di Parmigianino appaiono sempre sovraccariche; più della cosa stessa, infatti, l’artista appare interessato a rappresentare la propria maestria soggettiva. Così, ad esempio, La Conversione di Saulo e Il san Rocco con il devoto Baldassarresono certamente grandi opere di gusto però decisamente manieristico. Il San Rocco, in particolare, appare del tutto estraneo al pittore, che riesce a riconoscersi al contrario nel donatore, mentre al centro della prima opera più che il santo vi è certamente il cavallo.
Tali opere sono delle significative espressioni del primo manierismo, sono rappresentazioni già di un’epoca di profonda crisi, l’autunno dell’umanesimo che sta per tramontare, dopo le ultime grandi fiammate del Rinascimento, nelle tenebre della Controriforma. Si tratta di un’epoca in cui dal grande sviluppo dei comuni, che sembrano far rivivere le glorie delle polis antiche e, al contempo, prefigurano lo sviluppo del mondo moderno, si sta precipitando in un’epoca oscura in cui con la libertà politica va perduta la stessa libertà di pensiero e di parola, la stessa libertà della ricerca scientifica e artistica. La mostra è particolarmente interessante in quanto mostra come nel giro di pochissimi anni si passi dal classicismo di Correggio al decadentismo manierista del suo geniale allievo.
Nei ritratti, al contrario, Parmigianino da una parte appare ancora un grande esponente della piena maturità della pittura rinascimentale, di quella compiutezza classica che rappresenta la vetta mai più raggiungibile dell’espressione pittorica dello spirito assoluto di un’intera civiltà; dall’altra è già artista consapevolmente moderno, che intuisce la strada che sarà poi seguita dal Cogito ergo sum di Descartes, origine della moderna filosofia soggettiva della riflessione.
Dal punto di vista della storia della pittura Parmigianino pare indicare la strada che sarà seguita da quel vero e proprio maestro del realismo figurativo che sarà Caravaggio. Esemplari a tale proposito sono i fantastici ritratti esposti nella penultima sala, dall’ottimo Uomo con libro, in cui con gradissimo stile Parmigianino rappresenta l’emergere dell’uomo moderno (profondo, tanto interessante quanto inquieto), al più classico Ritratto di giovane della Galleria Borghese, a La schiava turcain cui il giovane pittore dimostra di aver acquisito una maestria tecnica impressionante, al meraviglioso Ritratto di giovane donna, dettoAntea, da Capodimonte Napoli, esposto nell’ultima sala, al solito, di eccezionale qualità.
Nella sala dedicata agli splendori della grafica parmense, dove per la verità sono esposte anche opere davvero minori, emerge anche l’eccezionale maestria nel disegno di Parmigianino, che diviene un fine in sé e non la base per affreschi o quadri come è in Correggio. Fra di essi spiccano la splendida raffigurazione di Diogene, l’Uomo con cagna incinta, Circella, una Testa di bambin Gesù mirabilmente disegnato da Parmigianino con carboncino e matita, che dimostrano una maestria tecnica eccezionale.
Dal punto di vista dell’arte grafica e come ritrattista, Parmigianino supera certamente il suo per quanto grande maestro, per altro autore di un notevole Ritratto di uomo con libro, che rinvia a Petrarca, da molti considerato il primo uomo moderno. Correggio svetta decisamente, sul suo pur dotatissimo allievo, nella rappresentazione di opere di arte sacra, che pur reinterpretando in senso moderno, umanista, non avverte come un peso di un passato ormai estraneo da cui è giunto il momento di liberarsi. Fra di esse spiccano, oltre ai notevoli e molto intensi Volto di Cristo e Santa Caterina con libro, due autentici capolavori quali il Martirio di quattro santie Noli me tangere.
Quest’ultima in particolare rappresenta nel modo migliore quel perfetto ma delicatissimo equilibrio classico raggiunto nel Rinascimento in cui gli elementi sostanziali della rappresentazione religiosa sono perfettamente fusi con la pura ricerca del bello dell’arte moderna. Per altro dinanzi al Cristo – che non è ancora considerato dal punto di vista del disperato scetticismo manierista, che ha appena fatto la tragica scoperta della morte di Dio – si staglia una Maddalena nei panni di una magnifica dama rinascimentale, espressione di un’arte e di un mondo in sé già essenzialmente laico e moderno. La scena sacra è, inoltre, perfettamente inserita nel paesaggio a mostrare un ritrovato rapporto organico dell’uomo, dello spirito con la natura, in cui nessuno dei due momenti è sacrificato. Il mondo della natura non è più sacrificato al significato sostanziale del sacro, né quest’ultimo sarà completamente riassorbito nella prima, come avverrà nell’arte successiva, in cui la natura orfana di Dio sarà rappresentata nella sua splendida e malinconica solitudine. Abbiamo quella perfetta compenetrazione fra rivisitazione in chiave moderna del bello classico e compimento della religione nel corso del medioevo, che rappresentano la sintesi rinascimentale in cui l’arte pittorica raggiunge il suo apice.
In questa sfida ideale fra giganti, i due grandi pittori si equivalgono nelle rappresentazioni ispirate alla mitologia classica e, più in generale, al mondo antico. Fra tutte spicca in particolare La Danae della Galleria Borghese, che rappresenta un eccezionale esempio di arte classica rinascimentale, per altro molto osé, realizzata per Carlo V intento a combattere la Riforma in nome dell’ortodossia. Sempre di Corregio notevole è L’educazione di amore, mentre fra le opere di Parmigianino spiccano Pallade Atena di gusto ancora classico, e la Lucrezia romana, realizzata meno di dieci anni dopo e già ultra manierista.
In tutti questi casi il tema classico è riconsiderato alla cultura rinascimentale e riadattato al fine vero e proprio della pittura che consiste, per dirla con Hegel, nella “rappresentazione mediante contrazione dello spirito in sé” (Estetica, p. 909), che corrisponde all’esigenza di rappresentare l’interiorità dell’individuo che si afferma sulla esteriorità della vitapolis antica.