Assistiamo oggi alla fascinazione che le metodiche così dette oggettive esercitano sugli insegnanti, sulle famiglie, sugli analisti al capezzale della scuola. Il sistema è malato, ha bisogno del "termometro" del test, ha bisogno della durezza del numero, della misura della prestazione, e più in generale di una verità-vera sull'andamento dell'intero processo di insegnamento-apprendimento.
di Renata Puleo
Il processo di veridizione
"Si tratterebbe di sapere se la volontà di verità non eserciti, in relazione al discorso, un ruolo di esclusione analogo a quello che può giocare l'opposizione di follia e ragione o il sistema dei divieti. Detto altrimenti, si tratterebbe di sapere se la volontà di verità non sia altrettanto profondamente storica di tutti gli altri sistemi di esclusione; se essa non sia , come questi, arbitraria alla sua stessa radice, se essa non sia, come essi, modificabile nel corso della storia"
Michel Foucault, Lezioni sulla volontà di sapere, 2015
"Non sono i privilegi della verità, ma quelli della credenza nella verità che il potere ha bisogno di perseguire e sfruttare"
Jacques Bouveresse, Le Monde Diplomatique, Marzo 2016
C'è qualcosa nei dispositivi – i frameworks, i test, le tabelle di raffronto – messi in campo dalle agenzie di valutazione, sempre più simili a quelli usati in ambito economico, che ci stupiscono.
Si tratta dell'effetto prodotto in noi da tutto quanto appare oggettivo, realistico, inconfutabile nella sua perfetta simmetria di parola e numero. Harold Bloom, il grande critico d'arte americano, ricordava come stupore, stupefazione, istupidimento vengano dalla stessa radice indoeuropea eklepsis, il colpo inferto. La nostra cultura scolastica e accademica fatta di lezioni magistrali, di libri, di interrogazioni, di scrittura tematica, vacilla sul fronte della valutazione di ciò che tutto questo apparato produce, sull'apprendimento come cambiamento, come modificazione. Assistiamo oggi alla fascinazione, in parte frutto di rassegnata depressione professionale, che le metodiche così dette oggettive esercitano sugli insegnanti, sulle famiglie, sugli analisti al capezzale della scuola. Il sistema è malato, ha bisogno del "termometro" del test, ha bisogno della durezza del numero, della misura della prestazione, e più in generale di una verità-vera sull'andamento dell'intero processo di insegnamento-apprendimento.
In Italia le agenzie che si occupano di valutazione dall'infanzia [1] all'università sono l'INVALSI e l'ANVUR, modellate su analoghi enti internazionali.
Per provare a capire cos'è e, soprattutto, di chi è l'INVALSI, possiamo andare a due testi, entrambi con diverso ma cogente valore legale: lo Statuto dell'Istituto (2009), ente di ricerca di diritto pubblico, e il Regolamento 80/2013 istitutivo del Servizio Nazionale di Valutazione (SNV).
Nel primo leggiamo in tre articoli (dei 22 che lo compongono):
- la definizione di ambito, funzione e personalità giuridica (art 1)
- le finalità di studio e ricerca (art 2)
- le attività di ente rilevatore del SNV (art 5 cc 1c e 2)
Dalla lettura del secondo articolo evinciamo che l'ente lavora per conto del MIUR nel SNV, pur essendo autonomo in forza delle norme statutarie.
Sappiamo anche che il Regolamento, che norma tutto il complesso di queste attività, è in odore di illegittimità costituzionale. Lo si può leggere nel ricorso presentato al TAR-Lazio dalla FLC-CGIL nel 2013, con i cosiddetti motivi aggiunti per comportamenti reiterati, avendo proseguito il MIUR le attività additate alla magistratura. Fra le diverse argomentazioni, la prima è eclatante: il Regolamento è stato approvato a Governo dimesso, quando, secondo la carta costituzionale, l'attività legislativa è sospesa se non per l'ordinaria amministrazione.
Se torniamo all'identità dell'INVALSI, la domanda è: siamo in presenza di un'authority? [2]. Se sì, se l'INVALSI è un'authority, si palesa qualcosa di affine al giudizio di conflitto di interesse vista la commistione di ruoli, di ricerca sul tema della valutazione e di vigilanza in qualità di perito per conto del MIUR, esercitata mediante i suoi dispositivi. Per intenderci, è come se scoprissimo che il garante della vigilanza sui dati personali lavora anche per un'agenzia di spionaggio o di investigazione. Ma, se tale giudizio impegna una giurisprudenza che non prevede tale inciampo nel caso specifico, potremmo certamente parlare di ambiguità di scopo, quanto meno di semplice eterogenesi dei fini?
Se disponiamo l'apprendimento lungo l'asse oggettività-misura-attribuzione di merito/demerito potremmo delineare questo schema:
- primo tassello: può l'effetto di un apprendimento essere oggettivato, ha il carattere di un oggetto?
- secondo tassello: può essere portato a misura mediate un costante arbitraria (parametro)?
- terzo tassello: può costituirsi all'interno di un sistema valoriale, valorizzabile in senso etico-economico?
Il rimando è chiaramente a quello che Michel Foucault chiamava "veridizione", dunque alla elaborazione (volontaria?) della Verità, dal punto di vista epistemologico e filosofico, ammesso che i due sistemi siano distinguibili. Il processo di veridizione produce una sorta di rituale, di burocratizzazione si potrebbe dire nel nostro caso, di ricorsività delle ipotesi e del modello per verificarle, di adesione a-critica al modello prescelto. Davide Borrelli [3] ricorda che Foucault coniò per questo tipo di ritualità-ricorsività il termine "aleturgia", la liturgia dell'aletheia, svelamento e rivelazione.
Incontriamo, seguendo questo ragionare, altre fonti di perplessità:
- di ordine filosofico: c'è il vero; c'è un discorso che può dire il vero?
- di ordine epistemologico: nel rapporto fra un osservatore e un oggetto osservato, mediante uno strumento di osservazione, c'è modo di intercettare veramente l'oggetto, le sue caratteristiche?
Ne deriverebbero, se le accettiamo come presupposte, due conseguenze sul piano politico:
- dal lato del potere istituito (di governo, accademico, economico: i titolari del Discorso) si tratta di assumere pienamente il ruolo di chi è, per statuto, deputato a dire la verità
- dal lato dei dominati (cittadini, moltitudini, masse, popolo) si tratta di fare appello ad un'autorità che dica il vero.
I due lati producono discorsi intrecciati, i cui registri linguistici costituiscono lo stile, lo stile del consenso e del rapporto fra immaginario istituente e istituito. Nel caso di cui ci occupiamo: cosa pensa "la gente" della necessità di valutare le scuole e cosa veicola la politica istituzionale e il Discorso delle agenzie di valutazione su come si debba e si possa ottenere un miglioramento delle "prestazioni del servizio".
Perché dire no all'INVALSI
La critica del gruppo NoINVALSI al sistema dei dispositivi messi in atto dall'istituto, titolare del Discorso sul SNV, con l'ausilio dei suoi buoni spalleggiatori (o effettivi soggetti supposti sapere? ci tornerò dopo…), nazionali e internazionali, si articola su due piani,
- uno relativo al progetto politico che informa tale discorsività (parole performative e fatti)
- l'altro alla tecnica, all'uso del test (e a tutto quello che vi ruota attorno).
Il progetto politico (neoliberista)
È necessario parlarne sempre, anche a ridosso di una riflessione relativa alle prove censuarie, ai rapporti di autovalutazione, alle pratiche di certificazione della ricerca a cura dell'ANVUR, per l'università. Si tratta di capire perché la metodica non è emendabile e deve essere rifiutata è [4], e di come il progetto neoliberista dia conto dell'origine storico-culturale e politica del meccanismo tribunalizio, della impostazione panottica della valutazione a tutto tondo, come già aveva sagacemente previsto Michel Young [5].
Scrive Valeria Pinto: "Se […] la valutazione mette in gioco appunto valori, allora ogni discorso critico sulla valutazione dovrebbe interrogarsi non semplicemente sulla valutazione in senso stretto, ma […] più fondamentalmente sulla cultura della valutazione". Davide Borrelli, citando la filosofa, aggiunge che le pratiche di cui parliamo vengono promosse per "realizzare una vita migliore in quanto più produttiva, competitiva, fondata sul merito e orientata all'eccellenza" [6] (pp. 19/20). Un'ipocrita miscellanea di comportamenti, il pifferaio di Hamelin chiama a raccolta i moralisti, "nella prospettiva di un nuovo umanesimo" [7].
Valerio Romitelli, etnografo del pensiero, commentando gli effetti epistemologici e governamentali del neoliberismo dice che c'è qualcosa di amaramente ironico nel pensiero neoliberista, perché esso contempla la cooperazione, l'altruismo a patto che la comunità a cui il soggetto si dichiara appartenente (in un atto volontaristico!) sia premiabile in quanto funzionale, efficiente, affidabile[8].
In un testo drammaticamente attuale, il sociologo cileno Manuel Antonio Garretón ci racconta come il suo paese dal 1973 fu il laboratorio per l'applicazione del progetto socio-economico che va sotto il nome di neoliberismo[9]. Feroce modello statale ideato sui precetti dei cosiddetti "Consenso di Chicago" (1974) e "Consenso di Washington" (1985), con il trasferimento dei Chicago Boys a Santiago, i suoi principali punti di attacco furono la scuola, l'università, il sistema di protezione sociale (le pensioni, la salute,) e la riduzione delle competenze dello Stato al minimo, semplice garanzia del mercato. Pierre Dardot e Christian Laval [10] ci danno conto di cosa significa, senza bisogno di eliminare 30.000 persone, limitandosi a liquidare in maniera più soft partiti e sindacati, adottare la forma di vita prevista da Frederick von Hayek, ideologo della disuguaglianza come principio naturale.Del resto, molto pragmaticamente, riuscirono ad esser assai più chiari del filosofo ed economista austriaco la Thatcher e Reagan.
Così dietro la diade competenza-competizione, nella condivisione della radice, avremo efficacia, efficienza, meritocrazia, spazi condivisi ridotti al minimo, promozione dell'individualismo come capitalizzazione della conoscenza, dei saperi personali, senso critico obnubilato, scala sociale senza ascesa, riproduzione delle classi sociali[11]: sono il Discorso che sostiene tutti i discorsi di veridizione della legge del mercato e – per citare Guglielmo Forges Davanzati in un recente articolo - che alimentano il think tank della scuola che piace a Confindustria [12].
Chi sono gli spalleggiatori dell'INVALSI, internazionali e nazionali?
Fra i primi, la Commissione Europea, l'OCSE, oltre, ancora e sempre, il verbo degli USA Boys. Per tornare a Garretón ricordiamo che dopo la premessa sulla dittatura, il suo lavoro è dedicato ai governi di "concertazione", ovvero alle responsabilità, all'adesione completa della sinistra storica al progetto neoliberista.
Fra i secondi spalleggiatori, quelli nazionali, citiamo in ordine sparso:
la Compagnia di San Paolo, fino all'accordo con il MEF dell'anno scorso maggior azionista di Intesa San Paolo, molto appassionata del progetto di legge Puglisi 0/6 anni di cui parla con scetticismo anche un'esponente del CIDI di Firenze [13];
Comunione e Liberazione, ispiratrice del lavoro di Formigoni in Lombardia proprio sulla sussidiarietà, sulla privatizzazione della scuola, con la presenza nel cuore operativo dell'INVALSI di Anna Maria Poggi, Giorgio Vittadini, Elena Ugolini;
l'associazione TreeLLLE, con il suo innamoramento per la scuola privata chiamata senza vergogna "privato sociale", "penalizzato dall'ambiguità" dell'art 33 comma 4 della Costituzione che mostrerebbe l'indecisione dei padri costituenti intorno al ruolo dello stato;
la Fondazione Agnelli, attivissima in parallelo, se non in concorrenza con l'INVALSI, nell'attività di ricerca su come far funzionare il SNV.
L'uso del test(metodica, tecnica)
Anche in questo caso facciamo solo qualche esempio, rimandando a un'analisi più completa già condotta dal nostro gruppo che vede il test come spina dorsale di tutti i dispositivi [14]:
- Le prove censuarie: II, V primaria, l'esame conclusivo primo ciclo (ex III media), II secondaria di II °
- Le sperimentazioni gemelle di INVALSI e Fondazione Agnelli condotte nello stesso arco di tempo (2011-2014) sul tema Valutazione-Sviluppo-Qualità (VSQ)
- L'autovalutazione (RAV) etero-condotta, ora anche per la scuola dell'infanzia
- Il Nucleo Esterno di Valutazione (NEV) recentemente istituito
- Il testo con le linee-guida per la CERTIFICAZIONE delle COMPETENZE
Senza dimenticare il Rapporto INVALSI 2015 sull'andamento delle prove, vergognosamente reticente sul dato più clamoroso: la percentuale di partecipazione alle prove che ha visto assenti intere regioni e numerosissime scuole superiori. Oltre naturalmente, il silenzio sull'esclusione dei soggetti diversamente abili, esclusi in quanto eccezione statistica.
Sempre in modo sintetico, riportiamo alcuni elementi di riflessione sul test come tecnica di indagine (da inquadrarsi nelle perplessità epistemologiche e filosofiche a cui abbiamo fatto cenno sopra):
- l'interferenza del mezzo, quindi dell'osservatore che lo prepara e lo somministra
- la tautologia, ovvero la ricerca solo di quello che ci si aspetta di trovare
- il paradosso dell'uso censuario e di quello statistico campionario per l'analisi dei risultati; la mancanza di proiezioni (su cui fa una larvata critica all'INVALSI anche l'ISTAT)
- l'eliminazione della ricerca originale, la ripetizione di schemi (scarsa varianza negli ultimi dieci anni nelle composizione dei fascicoli)
- l'addestramento all'uso del mezzo che l'INVALSI dice di non promuovere ma che è ormai veicolato in ogni libro di testo sotto il logo dell'istituto
Concludendo, per evitare che la valutazione sia un feticcio, e dunque una misura che mercifica educazione, apprendimento, saperi, provo a ricordare, con Dardot e Laval, che la scuola come altre istituzioni è "in-appropriabile", non è nemmeno un bene comune, secondo una vulgata poco chiara della locuzione, è "un comune da istituire", in una logica a-sovrana, non proprietaria. La scuola può farlo, se re-istituisce gli spazi comuni, cooperativi, pubblici, di tutti e di nessuno in particolare, che già esistevano, in parte sopravvivono.
All'interno del gioco discussivo (quel che scioglie un ingorgo), nella discussione, nella condivisione anche conflittuale, lavorando al "munus", etimologia del comune, nell'accezione di dono e di compito, ancora molto è possibile.
Note
[1] È stato di recente redatto dall’INVALSI il format di autovalutazione per la Scuola dell’Infanzia (RAV-Infanzia).
[2] Istituti in posizione di terzietà, in funzione di garanti fra cittadini, fra cittadini e imprese di servizio, fra cittadini e stato; sulla terzietà esercitata dalle authority ci sarebbe molto da dire, basta fare mente locale alla CONSOB e al suo ruolo durante tutta la crisi degli istituti bancari.
[3] D. Borrelli, Contro la valutazione. L’ANVUR e l’arte di rottamazione dell’università Ed Jouvence, Milano, 2015, pag. 57
[4] Era arrivato a questa conclusione, in un dialogo con noi sul blog, anche Giorgio Israel, sicuramente non un bolscevico, si veda in www.genitoreattivo.workpress.com
[5] M. Young, The Rise of the Meritocracy,Transaction Publishers USA - UK, 2008
[6] D. Borrelli, Contro l’Ideologia della Valutazione, Jouvense, Milano, 2015
[7] Si veda in tal senso il documento Linee guida per la certificazione delle competenze nel primo ciclo di istruzione, MIUR 2015, p. 3.
[8] V. Romitelli, Perché il neoliberismo appare irresistibile, in Sinistrainrete del 24/03/2016
[9] M.A.Garretón, Neoliberismo corregido y progresismo limitado. Los gobiernos de la Concertación en Chile, 1990-2010, Arcis-CLASCO, Santiago de Chile, 2012
[10] P. Dardot,C.Laval, La nuova Ragione del mondo. Critica alla razionalità neoliberista, Derive Approdi, Roma, 2009; Del Comune o della Rivoluzione del XXI secolo, Derive Approdi, Roma, 2014
[11] Si veda il rapporto BES 2015 a cura dell’ISTAT
[12] G. Forges Davanzati La scuola che piace a Confindustria ROARS, 9 giugno 2015
[13] www.orizzontescuola.it 23 marzo 2016
[14] In www.genitoreattivo.workepress.org si possono trova i commenti a diverse prove somministrate nel ciclo dell’obbligo, nonché l’analisi del rapporto dell’INVALSI sulle prove 2104/15.