Tagli, tagli e ancora tagli all’istruzione pubblica (mentre si finanzia quella privata). Il “gioco delle tre carte” del ministro Giannini non può nascondere le conseguenze dei tagli che colpiscono da anni l’Università pubblica portandola al collasso: il precariato per tutti e per sempre, 30mila immatricolazioni in meno rispetto al 2011, 80mila in meno rispetto al 2003. Intanto 160.000 studenti hanno diritto all’assegno di studio, ma solo 130.000 lo potranno ricevere perché non ci sono i soldi.
di Luigi Mazza
Sembrava che almeno l'Università fosse esente dai tagli del governo Renzi previsti nella Legge di Stabilità, tanto da far festeggiare addirittura l'incremento di 150milioni di euro su un budget che conta oltre un miliardo di sforbiciate dall'era Tremonti-Gelmini.150milioni per rimediare, o quasi, a quel taglio di 170milioni annui che la finanziaria 2014 era riuscita a scongiurare, o a rinviare. Il ministro Stefania Giannini si è addirittura spinta a prevedere l'assunzione immediata a tempo determinato di 700-800 ricercatori per gli atenei “virtuosi”, così come la messa a regime di 2.000 nuovi ogni anno. Accanto a questo, la promessa di spianare la strada agli atenei (sempre quelli “virtuosi”, manco a dirlo) che vogliano portare in cattedra nuovi docenti: ma a cadere dovrebbe essere proprio il “paletto” del tempo indeterminato. I ricercatori precari, dunque, potrebbero essere assunti ma per restare precari, poi diventare docenti precari o essere mandati a casa a fine contratto. Questo perché, nell'ottica renziana di togliere diritti per rilanciare le assunzioni, dovrebbe essere archiviato anche il già disastroso meccanismo del tenure track, ovvero l'attesa di conferma in ruolo a tempo indeterminato, di gelminiana memoria.
A fronte di questi obiettivi, il Miur dovrà fare i conti con una spending review che sottrarrà 34 milioni nel 2015 e altri 32 per i due anni successivi: “non sono tagli - aveva giurato in primavera il ministro Giannini - ma solo accantonamenti per motivi di contabilità”. Tali “accantonamenti”, che per giustizia noi continueremo a chiamare “tagli”, saranno spalmati su più voci, ma colpiranno in generale la capacità di spesa e di acquisto degli atenei. A farne le spese saranno sicuramente il FOE (Fondo Finanziamenti per gli Enti) e il FFO (Fondo Finanziamento Ordinario). Studenti e precari, già scesi nelle piazze di tutta Italia il 14 novembre scorso in occasione dello Sciopero sociale, giurano battaglia; la Conferenza dei Rettori, pur contraria all'ennesima razionalizzazione, latita.
Come se non bastasse, il poco chiaro articolato della Legge di Stabilità relativa all'Università fa prevedere che in realtà perderemo per strada ben 1.431 milioni di euro, con una sottrazione di 159 milioni ogni anno agli atenei italiani. Questo perché dal 2023, secondo i conti fatti da Antonio Banfi sul sito di «ROAR. Return On Academic Reaearch», quel taglio annuo, finora posticipato, di 170 milioni dovrebbe salire a 278 milioni (+64%). Il conto da pagare, dunque, spetta alla prossima generazione. I ragazzi di oggi, invece, sono alle prese con un'università che è ormai un lusso per le famiglie italiane: nel 2013-2014 si sono registrate 30mila immatricolazioni in meno rispetto a tre anni prima, e quasi 80mila in meno rispetto al 2003.
A causa dello Sblocca Italia, infine, non solo i 150milioni erogati dallo Stato per il diritto allo studio non saranno più vincolati alle borse di studio in quanto posti sotto il patto di stabilità, ma le Regioni dovranno destinare 560milioni di euro allo Stato entro la fine dell'anno. Questa duplice sforbiciata, secondo studenti e sindacati, costringerà le Regioni a dimezzare proprio le borse di studio: le attuali 130mila (che già non bastano se contiamo i 160mila studenti idonei) potrebbero diventare 60mila, ovvero le uniche garantite con i soli introiti delle tasse.