Salvaguardia dell’uomo, della natura o della libertà di inquinare?

Le operazioni di greenwashing vengono poste in atto esclusivamente nella misura in cui favoriscono i profitti dei ceti dominanti ai danni delle classi #subalterne.


Salvaguardia dell’uomo, della natura o della libertà di inquinare?

Nella società capitalistica in cui sopravviviamo tutto è ridotto a merce e l’unico fine, l’unica divinità a cui tutto è sacrificabile è il profitto privato. Così anche la questione ambientale, sino a che poteva porre dei limiti alla sete di profitti privati, era sostanzialmente negata o, ancora peggio, semplicemente non se ne parlava. Il problema sembrava essere la sovrappopolazione in un’ottica apertamente malthusiana. Più recentemente il grande capitale ha compreso che era possibile sfruttare anche la questione della devastazione ambientale per accrescere i tassi di profitto privati, sempre più messi a rischio dalla caduta tendenziale del saggio del profitto. Innanzitutto la questione ambientale è stata ampiamente sfruttata per imporre la politica dei sacrifici, dell’austerità con cui giustificare ideologicamente l’attacco ai salari e alle pensioni con l’ideologia della decrescita felice e altre amenità del genere. Tale attacco ideologico mira a scaricare le responsabilità del grande capitale e di una società finalizzata al profitto privato sulle classi subalterne, a partire dalla colpevolizzazione dei consumi, fino a riprendere l’ideologia reazionaria di Schopenhauer che sosteneva beati i poveri, in quanto sono i più vicini alla vita ascetica, quale sola possibilità di sfuggire al male di vivere.

Tutta l’ideologia della critica al consumismo, volta a colpevolizzare moralisticamente il singolo membro delle classi subalterne, è stata poi rovesciata nel suo contrario, cioè nell’induzione al consumo forzato di beni altrimenti difficilmente vendibili con profitto a causa della crisi di sovrapproduzione. Con la scusa di dover sostituire beni anche di prima necessità tradizionali, ancora utilizzabili, con merci nuove meno inquinanti, gli individui delle classi subalterne si sono visti costretti a sostituire i propri principali mezzi di locomozione con nuovi prodotti che sarebbero meno nocivi per l’ambiente. In tal modo è divenuto impossibile continuare a utilizzare i vecchi ciclomotori o le vecchie automobili. Allo stesso modo si vogliono far cambiare anche le caldaie e le stesse strutture abitative. In quest’ultimo caso, non potendo costringere i singoli subalterni a pagare da soli i troppo pesanti lavori di ristrutturazione, tali spese sono state accollate con bonus del 110% al bilancio dello Stato, per meglio giustificare svendite di beni pubblici ai privati e politiche di austerità, di lacrime e sangue per i ceti subalterni con il conseguente taglio delle spese e sovvenzioni sociali, che hanno decurtato pesantemente il salario indiretto.

Naturalmente questa continua rottamazione dei prodotti in uso funzionanti per fabbricarne e venderne di sempre nuovi, che in teoria dovrebbero avere un impatto ambientale minore, in realtà ha costi energetico-ambientali indubbiamente maggiori che mantenere in vita e in uso i precedenti. Senza contare che mentre si utilizzano tutti i mezzi per colpevolizzare il singolo subalterno, si fanno ponti d’oro per chi fabbrica e costringe a usare armi di distruzione di massa che hanno un impatto ambientale infinitamente maggiore. Senza contare che i beni di lusso dei più ricchi, che consumano e inquinano smisuratamente di più dei più poveri, continuano a essere sempre più detassati, fino ad arrivare all’attuale proposta indecente della flat tax, che elimina persino la proporzionalità nel pagamento delle imposte.

Il problema è che la lotta per l’egemonia sulla società civile la stiamo perdendo in modo sempre più rovinoso, tanto che persino i pochi subalterni con coscienza di classe e volontà di lotta ritengono che il problema sia che le classi dominanti vogliono far pagare alle classi subalterne le spese per contrastare una devastazione dell’ambiente che proprio i più ricchi e potenti hanno principalmente sulla coscienza.

In tal modo, si finisce con il credere che le classi dominanti starebbero comunque realmente operando per evitare la catastrofe ambientale, mentre in realtà stanno facendo tutto il possibile per aggravarla, nella misura in cui ciò favorisce l’accumulazione capitalistica. Mentre le operazioni di greenwashing vengono poste in atto, come abbiamo visto, esclusivamente nella misura in cui favoriscono i profitti dei ceti dominanti ai danni delle classi subalterne.

Peraltro le politiche pesantemente antipopolari portare avanti dalla classe dirigente che impongono dei sacrifici, naturalmente che colpiscono essenzialmente i più deboli, con la scusa della difesa dell’ambiente, non possono che favorire le campagne negazioniste e complottiste della destra radicale, che continua a capitalizzare la presunta opposizione alle politiche liberiste antipopolari. Così visto che la sensibilità in materia ambientale è tipica naturalmente delle forze di sinistra e progressiste, le forze populiste dell’estrema destra mietono consensi accusando delle politiche antipopolari pseudoambientaliste i radical chic, che avrebbero inventato e gonfiato la questione ambientale.

È perciò essenziale che le forze realmente di sinistra non si mescolino e, anzi, prendano il più possibile le distanze dalle politiche della destra demagogica che butta il bambino, ma conserva l’acqua sporca. In altri termini i populisti radicali di destra inaspriranno le politiche antipopolari e negano la decisiva questione ambientale, coprendo così proprio quei poteri forti che fingono di attaccare, in quanto non mostrano come stiano per mettere a repentaglio la sopravvivenza della specie umana sulla terra. Da questo punto di vista bisogna evitare la concezione dell’antropocene, che tende in modo reazionario a incolpare lo sviluppo stesso del genere umano del disastro ecologico. Sicuramente più sensata appare la concezione del capitalocene che individua, in modo più corretto, le cause delle devastazioni dell’ambiente nel modo capitalistico di produzione. D’altra parte, anche tale concezione non è in realtà corretta e rischia di avere dei risvolti reazionari considerando come corresponsabili o addirittura principali responsabili della crisi i paesi che, in funzione di uno sviluppo in senso socialista, hanno sviluppato forme di capitalismo di Stato, come hanno fatto in passato diversi paesi del blocco sovietico e, ancora oggi, Cina e Vietnam. In tale caso si perde di vista che questi sistemi intermedi fra il capitalismo e il socialismo hanno rappresentato un eccezionale sviluppo per il genere umano, in quanto hanno consentito di uscire da una povertà estrema centinaia di milioni di esseri umani, oltre che favorire l’emancipazione dall’imperialismo dei popoli coloniali. Il vero responsabile della devastazione ambientale, che rischia di portare alla estinzione della specie umana, non è il capitalismo che costituisce uno sviluppo progressista rispetto ai precedenti modi di produzione, ma l’imperialismo quale forma del capitalismo in crisi, con cui questo modo di produzione diviene il maggior ostacolo a ogni ulteriore sviluppo del genere umano. Anche qui è necessario fare una precisazione, la questione non è la difesa della natura, come sostiene l’ambientalismo reazionario – non a caso sviluppatosi in simbiosi con il nazismo, come nel caso di Heidegger – per cui il nemico sarebbe lo stesso sviluppo scientifico e tecnologico che avrebbe messo in questione la sacralità della natura. Per cui a finire sotto accusa è di nuovo l’uomo in quanto tale, come in tutte le concezioni reazionarie anche animaliste e anti umanistiche. Al contrario ciò che il modo di produzione capitalistico nella sua fase di crisi imperialista mette realmente in pericolo è la sopravvivenza stessa del genere umano e non certo della natura che è infinita e non può essere minimamente messa in questione da un modo di produzione umano.

Dunque è essenziale sia sul piano teorico che pratico distinguere nel modo più netto la difesa dell’ambiente antimperialista delle forze della sinistra, progressiste e rivoluzionarie, rispetto alle posizioni teoriche e pratiche della destra radicale. Dal punto di vista pratico bisogna opporsi alla posizione reazionaria della destra che vuole dare la libertà agli individui di inquinare a volontà l’ambiente, con posizioni ultra individualiste, antiscientifiche e negazioniste, sostenendo al contrario che la reale soluzione è sostituire il più possibile il trasporto privato con un efficiente e gratuito o tendenzialmente gratuito trasporto pubblico, per quanto possibile eco-sostenibile in quanto principalmente su rotaia ed elettrico.

Tale posizione sarebbe essenziale per smascherare lo pseudo-ambientalismo della sinistra liberista e liberale che finge di tutelare l’ambiente per mascherare il proprio efferato attacco alle masse popolari, che non può che spalancare la strada al governo della destra più reazionaria. Se la sinistra liberale, un vero e proprio ossimoro, fosse minimamente interessata all’ambiente piuttosto che degradare, depotenziare, privatizzare il trasporto pubblico, dovrebbe puntare proprio su questo, tagliando al contempo le spese militari realmente incompatibile con l’ambiente. Occorre sostituire il trasporto privato e le spese militari con il rilancio del servizio pubblico a prezzi politici calmierati e gratuiti, efficiente proprio perché non lasciato in gestione ai privati o gestito in modo privatistico. Soltanto in tal modo la sopravvivenza del genere umano non sarebbe più a rischio, dal momento che a metterle realmente in pericolo sono le politiche guerrafondaie e liberiste del capitalismo imperialista.

Naturalmente in tali soluzioni non vi è nulla di utopistico, infatti con le risorse rese disponibili dal superamento del trasporto privato e delle spese militari, si potrebbe realizzare un efficientissimo servizio sociale pubblico, completamente gratuito, con trasporto su rotaia realmente compatibile e taxi (socializzati) elettrici gratuiti o a prezzi politici per chi ne avesse bisogno. Con le risorse risparmiate dalle inutili ed esclusivamente distruttive spese militari, si potrebbe investire in primo luogo nella ricerca, per garantire energia pulita e produzione ecocompatibile. Utopistico è, proprio al contrario, sognare un imperialismo dal volto umano, intento alla transizione ecologica e soprattutto non guerrafondaio. Al contrario il capitalismo giunto alla sua fase imperialista non può che, necessariamente, mettere sempre più a rischio la sopravvivenza della specie umana devastando il suo habitat naturale e costruendo e facendo consumare sempre più armi di distruzione di massa.

22/07/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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