Milano. Girano già delle petizioni da parte di cittadini preoccupati di mantenere aperti consultori familiari che una ASST della Città Metropolitana di Milano vorrebbe chiudere. Le Assistenti Sanitarie, professioniste della prevenzione e promozione della salute, sono preoccupate per la chiusura di questi importanti servizi che negli anni, grazie all’impegno e alla professionalità degli operatori, sono ancora un prezioso riferimento per la popolazione, soprattutto donne, coppie e famiglie straniere. Questo nonostante i periodici attacchi al servizio che si sono verificati nel corso degli anni e alla carenza di personale. La legge istitutiva dei Consultori è la Legge 405 del 1975. I consultori sono stati aperti in Italia negli anni seguenti, con differenze tra Regioni come è ben descritto dal film documentario Vogliamo anche le rose, che ha messo in luce l’impegno di donne che a loro rischio ne hanno permesso l’apertura.
L’art.1 della Legge 405/1975 descrive il Consultorio come “servizio di assistenza alla famiglia e alla maternità”. Gli scopi della norma vengono così specificati: assistenza psicologica e sociale per la preparazione alla maternità e alla paternità responsabile e per problemi della coppia e della famiglia, anche in ordine alla questione minorile. Questi scopi vengono ampliati, per la regione Lombardia, con la legge regionale 44 del 1976. Questa norma dà importanza alla sessualità, allo sviluppo armonico della persona, fattore importante per gli adolescenti. Per il raggiungimento di questo obiettivo negli anni si sono sviluppati progetti coinvolgenti i preadolescenti e gli adolescenti con interventi nelle scuole medie e superiori e in parte nelle scuole elementari. Si è inoltre creato uno spazio all’interno dell’attività propria consultoriale, denominata “Spazio Giovani”.
Il consultorio è anche il luogo in cui viene applicata in modo non strumentale la legge 194/1978. Le assistenti sanitarie - mi dice una di loro, Cristina Sonvico - ritengono importante, in un momento di revisione e di continui assalti alla legge, ricordare che l’interruzione della gravidanza (IVG) è solo uno degli aspetti della legge, che infatti cita” Norme e tutela sociale della gravidanza e sull’interruzione volontaria della gravidanza”. Negli anni il prezioso lavoro di informazione sull’uso della corretta contraccezione ha portato alla diminuzione dei casi di IVG. La donna che facesse questa scelta viene “accompagnata” durante tutto il percorso che questa comporta.
Ora in un momento in cui il sistema famiglia appare sempre più fragile e bisognoso di aiuto per tutti i suoi componenti, dalle donne agli adolescenti, ai bambini e ai padri, la chiusura dei consultori porterebbe di fatto a una riduzione dell’offerta dei Servizi dedicati alla prevenzione, all’educazione e all’assistenza, con la perdita di equipe di operatori sanitari e sociali formati specificatamente in questo ambito e il conseguente aumento del disagio e ripercussioni sulla spesa pubblica e dei cittadini. Inoltre, la chiusura dei servizi in cui il lavoro multidisciplinare è stato efficace in questo particolare settore della tutela della salute, sarebbe una grande perdita culturale, che non può essere sostituita dalla routinaria attività ambulatoriale.
Con Cristina Sonvico si sono fatte portavoce dei rischi insiti nella chiusura dei Consultori anche le sue colleghe Assistenti Sanitarie Maria Grazia Alloisio, Lucia Cassanelli e Giusy Maganuco.
Il 17 febbraio su change.org è stata lanciata la campagna “Salviamo il consultorio di Via Ricordi”, che ha raccolto 75.000 firme e che sembrava potesse bloccare lo spostamento del consultorio. Il motivo ufficiale del ridimensionamento o della chiusura del consultorio era la necessità di trovare uno spazio per il CPS ( Centro Psico Sociale) e il NOA ( Nuclei Operativi Alcologia) sgomberati dalla sede di via Settembrini.
Ora, tra le fasi Covid19, il progetto accantonato viene ripreso e con lo spostamento dei due servizi in via Ricordi si ridurrà la capacità erogative non solo del Consultorio, ma anche del CPS e del NOA: pochi spazi, pochi servizi disponibili. Le operatrici e gli operatori sono già in difficoltà a causa delle aree di lavoro molto limitate. Questa scelta, inoltre, data la mancanza di locali, farà probabilmente perdere al CPS il suo Centro Diurno, punto di forza della sua attività, con grave ricaduta sulle famiglie e su un tessuto sociale già messo a dura prova dall'emergenza Covid19 e da quella che si preannuncia anche un’emergenza economico-sociale.
Operatori e operatrici sottolineano come queste scelte, che sembrano solo di logistica e di ristrutturazione, in realtà comportino meno spazi per l'utenza che continua a perdere luoghi dove poter programmare ed effettuare interventi di prevenzione ed educazione e assistenza sanitaria.