di un lavoratore della Provincia di Roma
In Italia, le province, già presenti nel regno di Sardegna, fanno parte dell’ordinamento dello Stato fin dagli esordi. Hanno accompagnato lo sviluppo del paese, come organo erogatore di servizi. Fino ad oggi. Perché smantellare le Province allora? Perché non le Regioni che a tanti scandali e a tante ruberie ci hanno abituati? Vogliamo dirlo che si tratta di una operazione del tutto ideologica e non politica o economica come vogliono farci credere?
Già da qualche anno politici di ogni genere e caratura hanno iniziato a sparare a zero sulle Province, affermando che sono enti inutili e costosi, sperperano denaro pubblico ed hanno, come unico fine, quello di foraggiare una miriade di politici magari trombati in altre elezioni. Nessuno, ma proprio nessuno, si sofferma su cosa effettivamente questa istituzione significhi per il territorio e su cosa facciano i circa 50.000 lavoratori dell’Ente Provincia nei territori di loro competenza. Si dimentica costantemente di dire che i lavoratori della province d’Italia sono quelli che tengono aperti i cosiddetti “Centri per l’impiego”, che distribuiscono il pochissimo lavoro che di questi tempi è reso disponibile da una economia colpevolmente disastrata e che, in assenza di loro, sarebbe completamente affidata al caporalato privato.
Si dimentica di dire che è l’unico ente che si adopera fattivamente, per il poco che è reso possibile dagli stanziamenti e dalle attrezzature disponibili, alle indagini e alle attività relative al dissesto idrogeologico del Paese.
Sono dipendenti della Provincia quelli che si vedono sulle strade provinciali a spalare la neve d’inverno; sono tecnici della Provincia quelli che sovrintendono alla riparazione delle scuole quando necessario (quando ci sono i soldi per farlo); sono dipendenti della Provincia quelli che vigilano contro il bracconaggio e la pesca nelle acque interne. Queste, ed altre, sono le attività che i lavoratori delle province svolgono quotidianamente, malgrado la malapolitica.
Ed ora? Ora vogliono semplicemente dismettere l’organo politico più vecchio, dopo i comuni, che il Paese abbia. Dismetterlo con tutti i lavoratori, senza che si sia prima pensato a come collocare diversamente le competenze, le attrezzature, le conoscenze e, non da ultimo, i lavoratori.
Si dice (ma nell’ultima Legge approvata questo non è per niente chiaro) che i lavoratori verranno ricollocati in altri enti dello Stato. Non viene esplicitato che tutti gli altri enti hanno serie difficoltà economiche e non possono assumere altro personale senza adeguati trasferimenti di risorse.
Eppure, aiutandoci con studi prodotti dall’UPI (Unione delle Province Italiane) e con il testo della “spending review” di Cottarelli, rimasto nel cassetto, è possibile dare delle cifre che dimostrano come le Province in questi ultimi anni siano state enti “virtuosi”.
Il dossier Cottarelli prevedeva una rivisitazione del modello Provinciale ma non la sua totale chiusura, come invece la legge di stabilità e l’itinerario politico Renziano prevede, e che di fatto andrà ad ingolfare le macchine Regionali e Comunali, di per sé già provate dai continui tagli alla spesa pubblica.
Dal 2012 le Regioni e i Comuni – nonostante il blocco del turn over - hanno avuto un incremento di organico di circa il 3,5%, benché si parli di rivisitazione delle competenze dal lontano 1990 (Legge 142, riguardante le città metropolitane e il riassetto degli enti territoriali).
Da tempo studi dell’UPI hanno dimostrato, anche nelle varie audizioni presso il Parlamento, che le Province, hanno di fatto esercitato politiche di austerità, portando la spesa in conto capitale (la spesa “cattiva”) a meno 12%, a differenza dei Comuni che l’hanno aumentata di circa il 6%.
Ora con il taglio di 1 miliardo alle Province, enti tutt’ora esistenti, si strozzeranno solo i servizi e, con l’assorbimento “teorico” dei dipendenti Provinciali negli altri Enti locali, avremmo una crescita del debito insostenibile per rimanere sotto il tetto del 3% dettato dalla Commissione europea; ci troveremmo nella situazione, così come si sta delineando con il maxi-emendamento alla Legge di stabilità, di licenziabilità per migliaia di dipendenti pubblici.
In sintesi, il risparmio che si avrà dalla enunciata ma non ancora attuata abolizione delle Province, ammonterebbe all’ 1,35% del debito pubblico.Troppo poco per incidere seriamente sul debito pubblico.
Era possibile fare qualcosa di diverso?
Si, per esempio si potrebbe razionalizzare la spesa per acquisti di beni e servizi attraverso la “Centrale unica”, accorpare le province, “licenziare” i Direttori Generali (ci sono già i Segretari Generali), rivedere la situazione delle società partecipate e altro ancora. Tutto senza toccare il dettato costituzionale, sviluppando politiche di vero risparmio e riorganizzando gli enti locali attraverso uno studio più puntuale delle realtà territoriali.
E invece il Governo dell’ex Presidente della Provincia di Firenze Renzi, ha di fatto – con questo emendamento appena approvato alla Legge di Stabilità - svuotato le Province, non ha riallocato i servizi, licenzia i dipendenti, aumenta la spesa e il debito, e (per cominciare!) annulla la rappresentatività politica di un ente fondamentale, facendolo diventare di secondo livello, non eleggibile quindi direttamente dai cittadini (cfr. l’articolo di Beatrice Baldelli già pubblicato in “La Città Futura”). Non male per un Governo che si definisce di centro-sinistra.