Programma Minimo e Potere al Popolo

Una possibile articolazione del progetto e dei compiti dei comunisti.


Programma Minimo e Potere al Popolo

Sulla scena politico-elettorale italiana, in vista delle prossime elezioni, nel “campo di sinistra”, si è imposta una nuova proposta elettorale, politica e organizzativa: “Potere al Popolo”.

L’iniziativa, lanciata da Je so’ pazzo di Napoli, ha suscitato subito un notevole entusiasmo ed ha coinvolto una quantità di soggetti che, pur essendo da tempo attivi nei conflitti sociali territoriali e protagonisti di lotte significative, finora non hanno potuto o saputo creare un coordinamento a livello nazionale. Lo stesso interesse ha toccato numerosi compagni che spesso militano in organizzazioni comuniste, o che quanto meno proprio al comunismo fanno riferimento. Stante le numerose assemblee e iniziative che stanno partendo in numerose città, con il risultato di aver creato minimi, seppur significativi, contatti, sinergie e livelli organizzativi, vi sono motivi per sperare che questo fermento non vada perduto dopo le elezioni, anche in caso negativo, e che il coordinamento rimanga attivo ed operante in riferimento agli obiettivi politici esplicitati nel manifesto elettorale. Non è impossibile che Potere al Popolo possa costituire un embrione di movimento politico organizzato con obiettivi di difesa del proletariato e delle masse subalterne e dunque necessariamente anticapitalistici.

Certo, il fatto che Potere al Popolo sia sorto in relazione ad un obiettivo primariamente elettorale costituisce, per molti, motivo di sospetto e di scetticismo. A ragione, si potrebbe dire, viste le passate esperienze negative, rivelatesi distruttive per i residui di resistenza di classe e ancor più per i residui comunisti. Esperienze elettorali che andavano dalla pura riproposizione di se in quanto organizzazione/partito ideologico (che valeva per loro come “certificato di esistenza in vita”) a pateracchi elettoralistici inventati nel tentativo di sopravvivere mediaticamente, col risultato di aggravare pesantemente lo sfacelo dell’organizzazione e della coscienza di classe.

Scetticismo e perplessità sono presenti anche in molti comunisti. In taluni casi si tratta del giusto timore di trovarsi di fronte all’ennesimo tentativo, da parte di un “personale politico” squalificato, di riciclarsi in un qualcosa di “nuovo”. In altri casi, dell’annosa questione della partecipazione o del boicottaggio delle elezioni dei parlamenti borghesi e neppure delle scarse probabilità di successo sul piano elettorale. Soprattutto però sono dubbi e perplessità che riguardano l’ipotesi politica complessiva di Potere al Popolo: ci si chiede perché sostenere tale iniziativa, giacché il manifesto elettorale esplicita un orizzonte politico che nulla ha a che fare con il “Comunismo”, la soppressione dei rapporti sociali di produzione capitalistici e con una immediata prospettiva di transizione socialista.

Molti, giustamente, fanno notare come i concetti sottesi al programma sono interni ad una logica riformista. Lo stesso utilizzo del termine “popolo” potrebbe portare, qualora non fosse articolato in relazione alla discriminante del rapporto sociale capitalistico (l’unico in grado, nella nostra società, di “definire” materialisticamente le classi) e alla dinamica della lotta di classe, a posizioni politiche che spesso nella storia sono sfociate nei populismi neocorporativi, nazionalisti e “antipopolari”. Ci si chiede altresì cosa ha a che vedere Potere al Popolo con “la progettualità comunista”, dato che il problema principale in questa fase è la sopravvivenza dei comunisti stessi a partire dal loro minoritarismo al limite della scomparsa e della residua frammentazione in numerosi micro soggetti al limite del ridicolo. Soprattutto ci si chiede cosa abbia a che vedere Potere al Popolo con un percorso di ricostruzione del “partito” e di unità dei comunisti.

Tutte queste domande e perplessità devono inoltre fare i conti realisticamente con un’altra questione, questa si fondamentale: quale deve essere la posizione dei comunisti quando, in assenza di un “partito” che possa dirsi tale, (così come lo/i abbiamo conosciuto/i nel secolo scorso, con una effettiva base sociale di classe, ovvero radicato nel proletariato), si trovano di fronte a una aggregazione politica che, pur non essendo “comunista”, si pone in opposizione alle politiche ultra liberiste correnti con obiettivi di difesa delle classi subalterne e di resistenza contro le politiche repressive e la negazione-riduzione dei diritti e degli spazi democratici? La più grande crisi capitalistica sta accelerando ogni processo sociale e politico travolgendo l’attuale scenario politico sociale, obbligandoci a fare i conti, prima ancora che con la mancanza del partito, con la mancata sistematizzazione e focalizzazione di una teoria e di una politica che risulti adeguata ad interagire con gli sconvolgimenti sociali derivanti dalla pauperizzazione delle masse e con i movimenti spontanei che ne derivano.

Dando per scontato l’indiscusso apprezzamento verso quei compagni che, dall’implosione dell’esperienza del “Brancaccio”, hanno coraggiosamente (è proprio il caso di dirlo) lanciato la “sfida” è proprio interrogandoci sul progetto politico dei comunisti in questa fase che potremo cogliere gli aspetti di positività e novità che sono insiti nella proposta di Potere al Popolo e nel contempo, sempre dalla “prospettiva comunista”, di verificarne eventuali limiti, contraddittorietà ed errori.

E’ evidente che materialisticamente l’unità dei comunisti non potrà essere risolto in tempi brevi, ciò per problemi e ostacoli di natura sia a) teorica: inerenti allo stato e ai limiti del nostro patrimonio teorico conoscitivo (il marxismo quale teoria del socialismo scientifico così come ci è storicamente pervenuto nella seconda metà del secolo scorso); sia b) ideologico-politica: inerenti ai limiti di sviluppo e utilizzo del patrimonio ideologico conoscitivo di trasformazione sociale della nostra classe e delle sue avanguardie; sia c) storico sociale: che si riferiscono alle condizioni sociali e materiali della classe e delle masse popolari quale effetto della vittoria storica epocale della classe dominante, ossia del successo ottenuto dal grande capitale imperialistico transnazionale nella restaurazione e nel perfezionamento di rapporti di classe di tipo “neocorporativo”, la cui efficacia in termini di controllo politico e di intensificazione dello sfruttamento del proletariato, già testata fra le due guerre, è stata ulteriormente sviluppata dalla fine degli anni ’70 in concomitanza con il processo di trasformazione della crisi economica da crisi del capitale in crisi del lavoro e dei lavoratori.

Il progetto politico dei comunisti, in una fase non rivoluzionaria come questa, che tale è, al di là della sua potenzialità storica, per i motivi sopraddetti, deve rapportarsi alle modalità con le quali sia possibile il superamento di tali limiti. Diventa fondamentale attuare una tattica che consenta di accumulare le forze, riconquistando la maggioranza della classe al progetto di cambiamento sociale e stabilire alleanze sociali e politiche con settori popolari in crisi non immediatamente riconducibili al proletariato, al lavoro salariato e al lavoro subordinato al capitale in genere (si pensi per esempio al così dettopopolo dellepartite IVA), ma che, in forza dei processi di oppressione sociale, espropriazione economica e subalternità al comando capitalistico connaturate alla fase attuale dell’imperialismo finanziario transnazionale, possono rendersi disponibili ad una lotta per il cambiamento (tali processi di proletarizzazione e di pauperizzazione, se non ricondotti all’interno del nostro progetto di cambiamento sociale, purtroppo diventano facilmente terreno di coltura per derive populiste, fasciste e razziste).

In questo contesto non rivoluzionario, che esclude a priori la praticabilità di obiettivi di transizione socialista, si pone la necessità di ricostruire l’unità della classe e le sue alleanze attorno ad un “programma minimo” che (in riferimento strategico ad una prima fase di transizione dopo la rottura rivoluzionaria) deve assumere in questa fase un carattere popolare, democratico e di resistenza sociale di massa; un programma che sia capace, agendo sugli elementi di crisi del capitale e sulle contraddizioni e divisioni del fronte avversario, non solo di ricompattare il potenziale blocco sociale anticapitalistico, ma anche di strappare quegli obiettivi che di volta in volta si rendano praticabili in base ai reali rapporti di forza.

E’ sulla scorta di questa impostazione tattica (che trova i suoi riferimenti in quella che fu denominata di Fronte Unico e di Fronte Unito) che possiamo delineare le forme e le discriminanti che, sul piano politico della lotta di classe, assumono il “fronte”, la sua struttura, e il suo programma: quello di un movimento politico organizzato (e non quella di un partito ideologicamente comunista che tra l’altro non c’è e non potrà esserci per molto, come abbiamo visto), un soggetto politico unitario connotato politicamente (dalle discriminanti anticapitaliste, antiliberiste, democratiche ecc.), “largo”, espressione diretta della classe e delle sue “avanguardie”, un organismo di “fronte” che sappia essere coagulo e organizzazione dal basso dei diversi movimenti e lotte che, appunto sulla base del programma minimo e della sua articolazione, devono sorgere nel paese ai vari livelli, da quello economico sindacale (fondamentale), a quello politico e democratico, fino a quello culturale e strutturarsi come organismi di massa e di base (come provarono a essere per un certo periodo oltre ai consigli di fabbrica anche i consigli di zona).

Quindi un movimento politico organizzato e centralizzato su un progetto di cambiamento politico, che si dovrà dotare di strutture consiliari, territoriali, democratiche (una testa un voto), fino ad essere un soggetto politico unitario che agisce anche sul piano istituzionale e elettorale ( con un nome e un simbolo che ne evidenzi i caratteri di “fronte unitario proletario e popolare” nella prospettiva socialista). Strutture/comitati che possano esercitare minimi rapporti di forza e di controllo popolare in contrapposizione all’avversario di classe, la grande borghesia sovranazionale e i suoi subalterni alleati, al suo stato, al suo governo e alle sue politiche liberiste, antipopolari e antidemocratiche.

I comunisti, quelli che siano, devono porsi il problema di far crescere questo “movimento politico organizzato”, strutturato su organismi di base che potremmo definire di “unità popolare”, che come discriminante politica (quindi non ideologica) ha il “programma minimo” e devono porsi il compito di sostanziarlo in termini di analisi, di indicazioni politiche, di obiettivi e di lotte, di presenza di compagni che ai vari livelli il movimento selezionerà come quadri dirigenti.

In questa fase l’obiettivo della costruzione di un “movimento politico organizzato” rappresenta l’obiettivo e l’ambito in cui i comunisti operano politicamente in prima persona fin da subito, misurandosi con i reali problemi politici di un processo di alternativa sociale, affrontando i problemi teorici sottesi alla formulazione del “programma minimo”, ristabilendo il rapporto con le avanguardie di classe e innescando un generale processo di crescita politico-sociale che le sappia centralizzare. Questo è il “progetto politico” dei comunisti in questa fase [1].

In riferimento agli elementi fondanti di questo “progetto politico” (un movimento politico organizzato imperniato attorno ad un programma minimo e strutturato su organismi di base che potremmo chiamare di ”unità popolare”) siamo ora in grado di apprezzare alcuni elementi della proposta politica e elettorale di Potere al Popolo.

Innanzitutto c’è da rilevare come Potere al Popolo parta con una giusta impostazione rispetto a precedenti ed anche recenti tentativi politico elettorali che hanno caratterizzato le forze alla sinistra del PD (si veda l’esito del “Brancaccio”): non è una operazione verticistica ai limiti del settarismo, di “fusione a freddo” delle diverse forze politiche di sinistra (più o meno progressiste o comuniste) e dei loro rispettivi gruppi dirigenti (e in taluni casi parlamentari). Inoltre la strutturazione che sta acquisendo, sulla base di numerose assemblee territoriali dove spesso si intercettano momenti di antagonismo politico sociale, lo fanno connotare come un movimento autorganizzato, non “calato dall’alto”, dove è possibile trovare momenti di unitarietà politica attorno ad obiettivi condivisi da praticare nella realtà locale e non solo.

Diventa chiaro a questo punto come Potere al Popolo rappresenti in questa fase una concreta ipotesi politica che oggettivamente può far parte del nostro progetto politico e che l’articolazione e il dibattito sul programma diventa fondamentale tanto quanto quella sulle strutture di base su cui si articolerà il movimento di Potere al Popolo.

Proprio sul programma si scontano i primi oggettivi problemi. Il fatto che a fronte di un programma iniziale vi sia la necessità/possibilità, non solo di procedere nella discussione e nell’approfondimento, ma di porre obiettivi che provengono dalle realtà locali implica che vi sia il concreto pericolo di divergenza e contraddittorietà tra i vari obiettivi. Il rimarcare che un programma minimo, di fase, debba avere come discriminante il “punto di vista di classe”, come intento la ricomposizione e l’unità di tutto il mondo dei lavoratori subordinati al capitale, come obiettivo fondante la difesa della democrazia e delle condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori, è l’unica strada che ci possa permettere di appianare le divergenze e giungere ad una “sintesi” condivisa.

Inoltre sul programma incombe, e questo avviene da sempre, il pericolo “massimalista” di scambiare un programma politico di fase, tattico, (che permetta al nostro “popolo” di riacquisire le condizioni di forza e di esperienza diretta per andare oltre il perimetro borghese anche a livello istituzionale e statuale), con un programma “massimo”, strategico, di transizione ad una società socialista. Tale “ottusità dogmatica” sarebbe il meno, peggio sarebbe scambiare il “Programma minimo” con un programma che altro non è che un libro dei sogni, un programma dove si può trovare “di tutto e di più”, dove accanto a semplici obiettivi rivendicativi, si trovano obiettivi per le cui realizzazioni necessiterebbe il controllo politico popolare dell’economia (quantomeno dei settori finanziari e industriali/primari fondamentali) e dello Stato e delle sue articolazioni. Correlati a questi aspetti c’è ne un altro che ne è una conseguenza. Se Potere al Popolo non è e non deve essere un “partito”, il nuovo “partito comunista” sotto mentite spoglie, ma potenzialmente un movimento politico basato su un programma minimo, sarebbe assurdo, se non deleterio, richiedere ad esso discriminanti programmatiche che esulino appunto dal quadro politico del programma minimo. E’ come se ai tempi dei fronti popolari antifascisti la discriminante per potervi aderire fosse quella di essere per una “repubblica popolare socialista”!

Correlato alla questione del programma, c’è anche quella del “programma elettorale”.

Un primo aspetto vale la pena di chiarire e accantonare. Sulla scena elettorale nazionale assistiamo all’onda degli indignati piagnistei di tutti coloro che “responsabilmente” si chiedono “quanto costano le promesse elettorali dei partiti”. Ebbene, va riaffermato che, ovviamente, anche per il programma elettorale, come per il programma minimo in genere, vale il discorso che quello che la borghesia sarà costretta a concedere noi lo consideriamo, come diceva F. Engels, un “acconto” su ciò che ci poniamo come obiettivo generale, e che non ci accolliamo nessuna compatibilità con un bilancio che si basa sulla espropriazione di classe attuata dalla grande borghesia e che proprio la riappropriazione di quella ricchezza sta alla base della praticabilità di riforme per migliori condizioni di vita, cioè di tutto ciò che si sostanzia nel nostro salario sociale globale di classe(e ciò al di là di una socialdemocratica logica di “redistribuzione del reddito”).

Un secondo ed ultimo aspetto (anche se meno importante) è quello riferito alla forma del programma elettorale. Un programma elettorale, ancor più di quello politico, o è sintetico o semplicemente non è. Il problema è che, a maggior ragione che rispetto al programma in genere, c’è una oggettiva difficoltà a coniugare, senza un dibattito organizzato e centralizzato, la sinteticità con una generalità che non sia genericità, a scriverlo “…..in modo succinto e chiaro per le masse”, sempre per dirla con Engels.

In ultimo vale la pena accennare, in merito alla questione delle strutture di base, ad un aspetto importante. Se Potere al Popolo dovrà costruirsi, quale espressione di strutture territoriali, anche a livello nazionale come movimento organizzato, come soggetto politico che agisce sulla scena politica della lotta di classe italiana e non solo, i comitati/consigli di Potere al Popolo dovranno avere due caratteristiche fondamentali.

La prima quella di essere, a livello di dibattito, organizzazione e operatività, delle strutture democratiche dove, per dirla con una formula da taluni fin troppo abusata, “uno vale uno”, “una testa un voto”. In pratica strutture che non dovranno essere degli “intergruppi” (o partiti che siano), ma strutture dove i compagni militano e lavorano al di là della loro appartenenza organizzata ai propri partiti/organizzazioni comuniste.

Legata a questa è l’altra caratteristica fondamentale. Appunto perché strutturate democraticamente i comitati/consigli di base di Potere al Popolo potranno e dovranno essere strutture di auto-organizzazione politica del “popolo” (o come era uso dire una volta delle “masse”), dove per diretta esperienza di lotta si potrà porre il problema del “potere” e del “controllo” del “popolo”. Il corretto funzionamento delle strutture di base è poi l’unica garanzia per cui anche le strutture intermedie e nazionali, lungi dal diventare momenti di separazione e opportunismo, possano essere espressione del reale livello dello scontro politico di classe nel nostro paese.

L’autore è candidato alle elezioni nella lista Potere al popolo

nel collegio plurinominale Sardegna 02 e nel collegio Uninominale di Olbia

Note:

[1] Si veda anche: Enzo Gamba - Gianfranco Pala IL PROGRAMMA MINIMO per la classe e i comunisti in una fase non rivoluzionaria, Ed. La città del sole 2015; Enzo Gamba Partito, movimento politico organizzato, programma minimo. Sul progetto politico dei comunisti. https://rivistacontraddizione.wordpress.com 2016.

10/02/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Enzo Gamba

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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