Un anno di lotte contro la “Buona Scuola”: movimenti e sindacati e fronte comune dal basso di chi nel mondo dell’istruzione ci lavora. Un grande movimento di massa che non è riuscito a impedire l’approvazione della vergognosa legge voluta da Renzi, ma che ha ottenuto un dilazionamento dei tempi e procedure complesse per attuarla. Ora è necessario estendere il fronte di lotta al Governo ad altri settori (pubblico impiego e iniziative contro la devatsazione ambientale) per un nuovo “autunno caldo”.
di Guido Masotti
Fare un bilancio della lotta alla “Buona Scuola” di Renzi, dopo mesi di mobilitazioni, non è cosa semplice, ma certamente può essere utile per capire con quali prospettive ripartire dal prossimo anno scolastico, dopo che il provvedimento è stato approvato in via definitiva alla camera a luglio.
Lo farò a partire dalle esperienze che ho vissuto in prima persona in Toscana, dove ho partecipato direttamente con molti altri colleghi a gruppi autoconvocati, sia di soli precari (come me), sia di lavoratori della scuola in genere. Gruppi che hanno avuto un ruolo molto importante nel far crescere il livello di attenzione nel mondo della scuola, soprattutto nella lunga fase iniziale (da settembre a marzo-aprile), in cui i sindacati, con poche eccezioni, non avevano ancora messo in campo azioni efficaci contro il progetto di Renzi.
E’ sempre utile, per capire come andare avanti adesso, ricordarsi del livello di passività che c’era nelle scuole durante tutta la prima parte dell’anno scolastico (fino almeno a febbraio), nonostante la “Buona Scuola” fosse stata messa in campo dal Governo Renzi già da metà settembre. Moltissimi erano i colleghi che del progetto avevano sentito parlare solo in tv e in termini propagandistici (“assumono 150.000 precari”), anche per responsabilità della quasi totalità dei sindacati che al più avevano fatto qualche assemblea, anche in conseguenza delle loro posizioni ambigue sul testo (“con luci ed ombre”) e della speranza che ci fossero spazi per emendamenti sostanziali.
Gli insegnanti, al tempo assolutamente passivi e in larga parte poco o per niente informati, nel momento in cui venivano a conoscenza dei contenuti della riforma che avrebbe stravolto il mondo della scuola, cancellato gli scatti di anzianità e fatto licenziare oltre 100.000 precari, si mostravano per lo più increduli, tanta era la distanza dalla propaganda governativa, e comunque erano scettici sulle reali possibilità che tale provvedimento fosse poi approvato. Non pochi erano quelli che credevano realmente al fatto che Renzi avrebbe ascoltato l’opinione del mondo della scuola grazie alla consultazione online, nonostante fosse già chiaro che era un’operazione di mera propaganda.
Con le compagne e i compagni de “Il sindacato è un’altra cosa”, ci mettemmo a fare controinformazione sulla “Buona Scuola”, ma eravamo davvero in pochissimi a farlo in quel periodo durato mesi, che vide in campo un solo sciopero della scuola (quello dei Cobas del 10 ottobre, che appoggiammo), con una adesione assai modesta.
Fu alla fine di novembre che in Versilia si costituì il Coordinamento Scuole della Versilia che, dopo un’assemblea autoconvocata molto partecipata, mise insieme tutti quei lavoratori della scuola (docenti e ATA), che avevano preso coscienza della gravità della situazione e intendevano muoversi in modo coordinato, nonostante la passività dei colleghi e l’assoluta inadeguatezza della maggioranza dei sindacati della scuola. Un gruppo costituito da persone con diverse appartenenze sindacali e da insegnanti non sindacalizzati, che organizzò assemblee, momenti di controinformazione rivolti anche verso l’esterno della scuola, fino ad arrivare ad un primo presidio pubblico svoltosi il 21 febbraio a Viareggio, quando ancora nulla si era mosso.
Un’attività che si intrecciò con le mobilitazioni promosse dal coordinamento “Assemblea Precari della Scuola 18 febbraio”: un gruppo di precari di diverse graduatorie e di varie parti della Toscana, che si costituì a febbraio a Pisa in seguito a un’assemblea autoconvocata molto partecipata, nata dall’esigenza di mettere insieme i precari delle diverse fasce, fino a quel momento divisi e in lotta feroce tra di loro (GAE contro seconda fascia, PAS contro TFA, ecc.), tutti presi dalle proprie rivendicazioni e in una sterile azione lobbistica indirizzata al mondo politico. Come coordinamento cercammo di far capire ai nostri colleghi che non potevamo continuare a dividerci, visto che con la riforma di Renzi ci perdevano tutti i precari: sia gli oltre 100.000 licenziati (i PAS, i TFA e i 3° fascia), sia coloro cui era stato promessa l’assunzione, a condizioni inaccettabili. Ne seguì un presidio sotto la Torre di Pisa a fine febbraio, che ebbe una buona visibilità, e un’intensa attività di controinformazione e mobilitazione che sfociò nel presidio regionale a Pisa del 31 marzo (“la Toscana boccia la Buona Scuola”), organizzato assieme a studenti medi e universitari e fatto in contemporanea con mobilitazioni svolte a Firenze da un altro gruppo di precari. In quel presidio di precari e studenti venne chiesto a gran voce ai sindacati, che erano stati invitati a partecipare, di rompere gli indugi contro il progetto renziano e proclamare uno sciopero generale unitario.
Da allora in poi, come nel resto del paese, il livello di mobilitazione e consapevolezza nelle scuole è cresciuto sempre di più e, anche su questa spinta proveniente dal basso, i sindacati dopo alterne vicende e spostamenti di date, hanno deciso di proclamare in maniera unitaria lo sciopero della scuola del 5 maggio che ha raggiunto un livello di partecipazione mai visto nella storia repubblicana, e ha visto in piazza quel giorno centinaia di migliaia di persone, in moltissime città d’Italia. Un livello di mobilitazione che è rimasto molto alto fino alla fine delle lezioni, con flash-mob, mobilitazioni, presidi davanti alle scuole, azioni di ogni tipo, sfociate in un inedito sciopero degli scrutini, promosso da tutto il fronte sindacale (cosa impensabile), che ha fatto slittare moltissimi scrutini; come in Versilia dove nella quasi totalità delle scuole superiori e in moltissime altre scuole gli insegnanti stessi si sono autorganizzati e hanno bloccato il 100 per cento degli scrutini.
Un’intera categoria, tendenzialmente passiva, individualista e spesso conservatrice (che aveva in larga parte votato il centro-sinistra), ha costituito il primo movimento di massa duraturo che si è opposto al Governo Renzi, facendo perdere milioni di voti al PD, percepito ormai come ostile e autoritario, e ha imposto ai sindacati della scuola un’inedita unità sindacale su contenuti radicali e avanzati (imposti dal basso), e con pratiche assolutamente impensabili per molti di essi.
Questo non è bastato a fermare l’approvazione della controriforma, imposta forzando ogni procedura parlamentare e regola democratica: complice una classe politica supina e opportunista (il ruolo della “Sinistra PD”, determinante nel voto e contraria a parole, è stato vergognoso), un quadro istituzionale inerte o complice, e il fatto che il Governo di larghe intese di Renzi, pur di portare a compimento i progetti ultraliberisti dettati dai poteri forti italiani ed europei che l’hanno messo in carica, è disposto a minare le basi stesse del consenso al PD e a radere al suolo il partito. E’ mancato soprattutto, in un quadro così difficile, l’allargamento della lotta della scuola agli altri settori, ugualmente colpiti dalle politiche del governo (basti pensare al jobs act).
Una lotta imponente quella della scuola, ma di fatto isolata dal resto della società che non vi ha preso parte, se non in misura limitata, nonostante la centralità del tema dell’istruzione. Si sconta la divisione tra categorie, la mancanza di volontà della CGIL e di altri sindacati confederali di affondare veramente il colpo in assenza di alternative politiche, le campagne di denigrazione contro gli insegnanti e i lavoratori pubblici portate avanti negli ultimi anni.
La battaglia contro la “Buona Scuola” va avanti, ma in che modo?
Nel ragionare su come andare avanti si riparte da qui, da quel che di positivo è stato costruito, ovvero un movimento di protesta di massa, dai risultati parziali ottenuti - l’applicazione della riforma è dilazionata nel tempo e prevede una serie di deleghe molto pesanti da attuare - e dai limiti oggettivi che ci sono stati.
Molti saranno i piani che si andranno a sovrapporre a partire dalla ripresa dell’anno scolastico. Innanzitutto c’è da aspettarsi ricorsi di ogni tipo, collettivi e singoli, contro gli aspetti anti-costituzionali contenuti nella riforma e contro le palesi ingiustizie perpetrate a danno dei precari, che vanno anche contro la sentenza europea che impone l’assunzione di chi ha più di 36 mesi di servizio. Una situazione che, anche per le norme caotiche e confuse, renderà l’attuazione della riforma assolutamente poco praticabile in molti aspetti. Andandosi a sommare ai problemi organizzativi già presenti che si accentueranno in seguito al taglio dell’organico degli ATA.
Rispetto però alla questione centrale, ovvero la ripresa della lotta che ci dovrà essere nelle scuole, se vogliamo rigettare questa pessima riforma, c’è da considerare alcuni aspetti a mio parere centrali. In molti, tra sindacati e movimenti, sostengono giustamente di voler bloccare ogni attività aggiuntiva nelle scuole, e di provare a stoppare molti aspetti della riforma (a partire dal comitato di valutazione). Per rendere praticabile una forma di lotta di questo genere e farla diventare una lotta di massa, partecipata e condivisa come lo sono state molte lotte quest’anno, bisogna però dare una prospettiva a questa lotta. Bisogna cioè partire realisticamente dal fatto che gli insegnanti prenderanno parte a questo boicottaggio di massa della “Buona Scuola” solo se percepiranno che così facendo si possono ottenere dei risultati a breve e medio termine, e non solo perché sono contrari alla riforma stessa. Se non verranno individuati obiettivi chiari e raggiungibili, si rischia altrimenti la riduzione della lotta a gruppi sempre più esigui di insegnanti, sempre più isolati dentro alla scuola autoritaria e aziendalista del PD. Dalla “guerriglia vietnamita” si rischia altrimenti di passare al “soldato giapponese” che continua da solo la propria lotta a guerra ormai persa. Per rendere efficace questa lotta andranno individuati quindi questi obiettivi: la battaglia contro le molte deleghe che il governo deve approvare potranno essere centrali, visto che si parla di nuovo di aumentare l’orario di lavoro per legge.
Altri punti centrali saranno il mantenimento di un fronte unito dei sindacati della scuola, su posizioni radicali e nette, e la costruzione di un movimento che metta insieme lavoratori della scuola, studenti e genitori. Soprattutto, sarà cruciale l’allargamento della lotta con la costruzione di un fronte comune contro il Governo Renzi per respingere insieme alla controriforma della scuola, anche gli altri provvedimenti devastanti che ha approvato o porta avanti: dal Jobs Act, alla riforma delle pensioni, alla devastazione del territorio, alla legge elettorale e tutto il resto. Fondamentale sarà saldare fin da subito la lotta del mondo della scuola con i movimenti di protesta che potranno svilupparsi nell’Università (che Renzi vuole spianare con la “Buona Università”), nel pubblico impiego anch’esso sotto attacco e in tutto il resto del mondo del lavoro. Operazione certo complessa, e che dovrebbe sfociare in manifestazioni nazionali e uno sciopero generale, ma che se attuata darà certo maggior respiro ed efficacia alle lotte della scuola.
Rispetto poi al referendum che dovrebbe azzerare la riforma, se ne è discusso molto nei movimenti e nei partiti e la confusione è notevole: buona parte del movimento della scuola lo vorrebbe lanciare in tempi più lunghi. C’è però da considerare una contraddizione di fondo: per quanto sia vero che promuovere entro il 30 settembre la raccolta delle firme per il referendum della scuola rischia di non coinvolgere gli interessati e l’opinione pubblica, è anche vero che andare oltre significa rimandare il referendum al 2017. Ovvero tardissimo e a riforma e deleghe attuate e operative. Per di più nel 2017 il referendum potrebbe pure essere fatto saltare sciogliendo prima la legislatura (Napolitano lo fece). La soluzione non è semplice, ma non si può far finta che la questione dei tempi sia irrilevante per l’efficacia di uno strumento del genere.
Guido Masotti
(Il Sindacato è Un’altra cosa)