Molti esponenti della “sinistra” vedono nella elezione di Landini a segretario della Cgil un’importante svolta a sinistra, che certamente non potrà che favorire una ripresa di quest’ultima, anche dal punto di vista politico. La realtà delle cose, però, non corrisponde mai alla loro apparenza, dal momento che, in caso contrario, anche la scienza diverrebbe superflua. Tanto più che il noto, proprio in quanto tale, come metteva in evidenza già Hegel, non è in realtà conosciuto.
In primo luogo, l’elezione di Landini non è stata il prodotto di grandi lotte sociali, in cui la componente da lui precedentemente guidata, la Fiom, ha svolto il ruolo di avanguardia nel rilancio, attraverso le lotte, del movimento dei lavoratori. Al contrario, l’elezione di Landini è stata più che altro il prodotto dell’affermazione della volontà della Camusso che si affermasse un candidato che il più possibile si facesse garante della continuità con la Cgil da lei diretta negli anni precedenti. Tale risultato, quindi, non può evidentemente rappresentare una vittoria della sinistra, di chi negli anni precedenti aveva rappresentato, anche agli occhi della maggioranza dei lavoratori, un’alternativa reale e incentrata sul conflitto rispetto alla deriva sempre più neocorporativa della maggioranza della Cgil.
L’elezione di Landini, dunque, non rappresenta affatto uno spostamento a sinistra del più grande e influente sindacato italiano, ma lo spostamento del principale e più credibile esponente di una possibile e auspicabile svolta a sinistra della Cgil sulle posizioni continuiste di una linea ultra-concertativa che pure, per un periodo piuttosto lungo, l’ex segretario della Fiom sembrava voler contrastare.
In effetti, l’elezione di Landini non è stata il prodotto di uno sviluppo della coscienza di classe all’interno della Cgil (e neanche della Fiom) in grado di rilanciare una linea capace di rispondere alla lotta di classe ormai da anni portata avanti, quasi unilateralmente, dal padronato con un rilancio della lotta di classe dal basso o, quantomeno, mediante il rilancio di una linea maggiormente conflittuale, in grado di contrastare la deriva neocorporativa. Al contrario, l’affermazione di Landini è stata il prodotto di lotte tutte interne alle burocrazie sindacali. Da parte sua, il nuovo segretario generale ha avuto la meglio proprio perché ha dato le massime garanzie di continuità, mediante la volontaria eutanasia di quella componente conflittuale della Cgil che egli – per molto tempo, agli occhi dei più (complici al solito i grandi mezzi di comunicazione di massa) – aveva rappresentato. Si potrebbe dire che Landini si è svenduta la primogenitura, ovvero di poter rappresentare la tanto attesa e auspicata ripresa di un sindacato conflittuale e, anzi, per un certo periodo, di una sinistra conflittuale, per il piatto di lenticchie, ossia per assicurarsi la poltrona di segretario generale.
Tanto è vero che la tattica scelta per conseguire l’obiettivo lo ha portato a traghettare la Fiom da cuore dell’opposizione di sinistra, alla linea sempre più concertativa e neocorporativa della maggioranza della Cgil, al ritorno del sindacato dei metalmeccanici all’interno di una maggioranza che, non per questo, si è spostata su posizioni conflittuali. Anche perché Landini, per conquistarsi la piena fiducia della Camusso, – della quale per un periodo non breve era sembrato il più credibile e temibile oppositore di sinistra – ha portato sempre più lo stesso sindacato dei metalmeccanici ad adeguarsi alla linea ultra-concertativa della maggioranza. Al punto che proprio la Fiom guidata da Landini ha firmato un contratto drammaticamente al ribasso con il padronato, che ha portato ad “aumenti” ridicoli, in realtà ben al di sotto dell’inflazione reale, in cambio di una quasi completa rinuncia alla conflittualità che pure aveva a lungo differenziato la Fiom dal resto della Cgil.
Per altro il contratto della Fiom ha aperto la strada a uno degli obiettivi storici del padronato, ovvero al suo mirare a portare a compimento l’abbattimento del cosiddetto Welfare universale da sostituire, sulla base dell’organizzazione del lavoro di stampo toyotista, con il Welfare aziendale. In un’ottica sempre più apertamente neocorporativa che porta i lavoratori a dover sottostare alla linea concertativa imposta dal padronato, in quanto portare avanti una linea conflittuale porterebbe al rischio di perdere non solo il salario ma lo stesso, cosiddetto, Stato sociale. Senza contare che questo davvero pessimo contratto – tanto da essere criticato da sinistra persino dai settori più destri della stessa Cgil – è stato firmato in un momento decisivo dello scontro portato avanti dallo stesso sindacato contro il governo Renzi che mirava a una controriforma in senso bonapartista della Costituzione. In effetti la firma del contratto, per altro così nefasto, a pochi giorni dal fatidico referendum ha offerto uno scellerato assist al governo Renzi, che pure tante politiche antisindacali e filopadronali aveva portato avanti, svendendo – nei fatti – lo sforzo della Cgil di prendere le distanze da un governo a ragione sempre più impopolare fra le classi subalterne.
In tal modo, Landini ha fatto tramontare definitivamente l’illusione, coltivata a torto anche da tanti lavoratori salariati in perfetta buona fede, che intorno a lui si potesse coagulare un’alternativa di sinistra alla inarrestabile deriva a destra del Pd renziano. Ciò non poteva che portare ai risultati catastrofici sotto gli occhi di tutti sul piano politico, ovvero in mancanza di una credibile alternativa di sinistra, le politiche apertamente antioperaie del governo Renzi hanno oggettivamente favorito l’affermazione di un governo dominato da demagoghi di destra e populisti qualunquisti, ossia il peggiore degli scenari allora possibili.
Tanto più che questa decisa svolta a destra della Fiom – sino a quel momento il settore decisamente più avanzato, combattivo e credibile agli occhi degli sfruttati della Cgil – è stata possibile solo dopo che Landini ha portato avanti un attacco letale alla residua sinistra interna, che manteneva il proprio caposaldo nel sindacato dei metalmeccanici. Tale lotta senza quartiere portata avanti da Landini contro la sinistra interna – di cui, prima delle sue mire a una rapida ascesa ai vertici della Cgil, era stato il più noto e influente esponente – non poteva che contribuire a spostare ulteriormente a destra l’asse del sindacato. In quanto, privati dell’agibilità sindacale, il maggiore rappresentante della sinistra interna e diversi esponenti dell’opposizione di sinistra della Fiom sono passati armi e bagagli nel principale sindacato di base conflittuale. Riducendo, così l’opposizione di sinistra residua a un ruolo per lo più di testimonianza, non disponendo più della massa critica necessaria a incidere efficacemente sulla deriva a destra del sindacato italiano maggiormente rappresentativo.
In tal modo, si sono rafforzate le componenti apertamente neocorporative della Cgil, pienamente subalterne al Pd, al punto che la stessa linea continuista della Camusso – per quanto proveniente dai settori più destri della componente ex socialista della Cgil – ha trovato una significativa opposizione da destra. Anche in tal caso Landini, invece di aprire un confronto-scontro franco e alla luce del sole – portando il sindacato, quanto meno in occasione del recente congresso, a una battaglia delle idee su quale linea perseguire – ha contribuito a tenere i motivi di dissidio con la destra interna del tutto sottotraccia. Anzi, si è presentato al congresso sostenendo lo stesso documento della destra apertamente neocorporativa e subalterna al Pd, per isolare e depotenziare ulteriormente la residua sinistra interna. La battaglia di quest’ultima, poi, è stata depotenziata dal fatto che la maggioranza ha potuto efficacemente utilizzare, ancora una volta, la foglia di fico dell’appoggio di Landini – massimo rappresentante della sinistra interna agli occhi della maggioranza degli iscritti privi di coscienza di classe. Una volta ricacciata nell’angolo la reale opposizione di sinistra interna – il successo per quanto relativo della quale avrebbe potuto favorire un reale spostamento a sinistra della Cgil – ha portato a un semplice regolamento interno dei conti fra il centro continuista rappresentato dall’asse Camusso-Landini e la componente di destra. Anche in tal caso si è evitato un reale scontro alla luce del sole, giungendo a un compromesso, fondato sull’affidabilità di Landini – dimostrata da quando dall’opposizione è tornato in maggioranza – di poter svolgere nel modo migliore la funzione di sintesi fra il centro e la destra, a detrimento della sinistra.
Del resto, la migliore dimostrazione che la fantomatica svolta a sinistra della Cgil sia, purtroppo, nei fatti un’ulteriore slittamento a destra, lo dimostra la pressoché totale incapacità di contrastare il governo per molti versi più reazionario della storia repubblicana del nostro paese. Non solo le politiche apertamente razziste del governo non sono state efficacemente contrastate dalla Cgil guidata da Landini, ma le stesse politiche più smaccatamente reazionarie portate avanti dall’esecutivo gialloverde non hanno incontrato una reale opposizione da parte del principale sindacato italiano. Tali casi particolarmente eclatanti di politica smaccatamente di destra – dinanzi alle quali la Cgil ha portato avanti un’opposizione soltanto a parole e non conseguente nei fatti – sono la Flat tax, da sempre principale cavallo di battaglia della componente più a destra del blocco sociale borghese dominante, e l’autonomia differenziata, ovvero l’autonomia delle ricche regioni del centro-nord che rappresenta la peggiore conclusione possibile della già tragica questione meridionale.
Anche su queste due battaglie campali la Cgil di Landini non è stata in grado di rappresentare un’opposizione reale al governo, sebbene all’interno di quest’ultimo ha avuto sempre più il sopravvento la componente apertamente reazionaria. Con il brillante risultato che, in mancanza di una reale e credibile alternativa di sinistra, anche sul piano sindacale, è in costante crescita, come primo partito, la destra radicale da sempre sostenitrice della totale autonomia del ricco centro-nord dal sempre più arretrato centro-sud, tanto da mettere più volte in questione la stessa rivoluzione mancata del Risorgimento, in una direzione per molti aspetti simile alla tragica dissoluzione della Jugoslavia.
In effetti la Cgil, sotto la guida di Landini, ha lasciato sola e nei fatti marginalizzato l’unica componente di questo sindacato che si è realmente iniziata a mobilitare contro l’autonomia differenziata, ovvero i lavoratori della scuola organizzati nella Flc. Tale isolamento rendeva nei fatti la lotta del comparto scuola della Cgil una lotta, per quanto importante, più di testimonianza che capace di contrastare i disegni eversivi della classe dirigente. Per altro, alla decisa critica della Flc – che poi non è stata conseguente avendo disdetto lo sciopero annunciato – si è di fatto contrapposto il sindacato confederale sostenendo una sedicente autonomia differenziata dal volto umano, che non penalizzerebbe le regioni del sud. In tal modo, la maggioranza della Cgil si è nuovamente lasciata egemonizzare dalla sua componente più destra, subalterna al Pd, nella difesa nei fatti dell’autonomia differenziata dell’Emilia Romagna governata dal Partito democratico, rivendicando ancora una volta la scellerata controriforma del titolo V della Costituzione, che ha aperto la strada alla secessione dei ricchi, per altro introducendo il pericolosissimo precedente di una modifica della Costituzione con il semplice voto di maggioranza, da parte di un governo ormai del tutto impopolare, come avrebbero certificato le di poco successive elezioni politiche.
Infine, occorre ricordare che il primo atto politico della segreteria Landini è stata la firma di un documento comune con il padronato di chiaro stampo neocorporativo, che invitata a sostenere i partiti europeisti. Del resto il pieno appoggio all’ultraliberista Unione europea è stata confermata da Cgil, Cisl e Uil nell’ultimo concerto del 1 maggio a essa dedicata. Perciò, lo stesso processo di unificazione sindacale con Cisl e Uil portato avanti da Landini non nasce dall’esigenza reale di rilanciare un sindacato unitario e conflittuale, ma sembra andare nella direzione opposta, ovvero della riproduzione di un sindacato unico nei fatti neocorporativo.