Ha vinto Renzi? Alla riscossione è andato innanzitutto Berlusconi…
Gongolo di Rignano continua a millantare di aver ottenuto l’obiettivo che perseguiva: Draghi presidente del Consiglio. Tutta la cricca di Italia Viva si ascrive (attribuisce) il risultato di aver portato Draghi a Palazzo Chigi, ma Renzi ha un unico “merito” che gli va riconosciuto: quello di aver pugnalato alle spalle, per l’ennesima volta, un presidente del Consiglio alleato; in questo caso, però, l’esecutivo che ne è scaturito è sostenuto da una maggioranza bulimica e politicamente deforme tanto da avere reso la componente di Iv del tutto ininfluente e insignificante, e Renzi è ormai ai margini e completamente esautorato dal ruolo di ago della bilancia (tradotto: ha perso il suo ruolo di ricattatore). Non è un caso, peraltro, che non si parli più di attingere ai 36 miliardi del Mes sanitario: non solo per la maggiore convenienza derivante dalla diminuzione del differenziale tra gli interessi da pagare rispetto ai buoni del Tesoro, ma perché politicamente non è più il punto di scontro, il che dimostra (se ce ne fosse bisogno) come la richiesta di accedere al Mes sanitario fosse solo una scusa (piuttosto misera) finalizzata a far saltare Conte (presidente di un governo neocentrista e in qualche modo interclassista). Il risultato è il deciso spostamento a destra dell’asse politico, con l’ingresso di Forza Italia e alla fine persino della Lega nell’esecutivo Draghi. Il parco ministri presentato dal nuovo presidente del Consiglio è un salto nel passato, oltreché nel precipizio, con Brunetta (il fustigatore dei “fannulloni” della pubblica amministrazione), Maria Stella Gelmini (la ministra dell’Istruzione tra le più amate, per il balzo impresso verso la scuola classista degli anni ’50), gettati nell’agone come mummie riesumate dal sepolcro della cosiddetta “seconda repubblica”. Il regalo offerto da Renzi a Forza Italia sul piatto d’argento non è certo inaspettato: in realtà Berlusconi e i suoi sodali (tra cui l’elfo maligno Brunetta) sono mesi che si distinguono da Salvini e Meloni, mostrandosi come campioni di moderazione e di rispetto istituzionale, e alla fine sono stati ricompensati in quanto espressione sia della borghesia padronale e finanziaria sia dei poteri oscuri che si muovono nell’ombra, il cui obiettivo era una netta svolta a difesa dei loro interessi. Chi meglio di Draghi avrebbe potuto interpretare questa svolta?
Draghi come Ciampi: fase di transizione alla costituzione del polo subimperialista europeo
I confronti storici servono ad affrontare le situazioni date tramite alcune analogie, riflettendo sugli aspetti di similitudine e di differenza. Perciò analizziamo sinteticamente i governi “tecnici” della storia repubblicana: Ciampi, Dini e Monti. Tra questi, ritengo che il primo sia quello a cui occorre fare maggiormente riferimento per capire quale potrebbe essere, più che i provvedimenti specifici, la linea “politica” del governo Draghi, la prospettiva e gli obiettivi strategici che perseguirà: infatti, la fase storica – senza dimenticare la profonda diversità segnata dai quasi trent’anni che ci separano da quell’esperienza – presenta similitudini importanti.
Ciampi fu chiamato nel 1993 dall’allora presidente Scalfaro in una fase di profonda crisi del sistema italiano (fine di partiti storici della repubblica e nella tempesta di Tangentopoli, attentati mafiosi, crisi economica incombente), ma anche in una situazione in cui occorreva un rilancio del processo di costruzione europeista, con l’unificazione monetaria come passaggio necessario a conferire una maggiore omogeneità alla configurazione comunitaria dei paesi europei. Si era appena consumata la demolizione dell’Unione Sovietica, si avviava un’accelerazione della concorrenza commerciale e dei conflitti militari che acuivano le contraddizioni internazionali, gli scenari aperti erano di profonda instabilità e al contempo di grandi opportunità (per gli interessi delle borghesie) e avevano cambiato il quadro internazionale e la collocazione dei singoli paesi negli equilibri planetari.
Ciampi dovette gestire la transizione verso quella che è stata chiamata “seconda repubblica”, con il rimodellamento del sistema di potere e di equilibrio tra le classi con l’arretramento del movimento dei lavoratori (in buona parte provocato dalla sconfitta storica del movimento operaio sul piano internazionale, e in buona parte dalla rinuncia delle formazioni politiche e sindacali storiche a mantenere il conflitto sociale aperto) e la rimozione delle macerie dei partiti storici della “prima repubblica”.
Contestualmente furono affrontate le turbolenze monetarie (speculative) che si erano scatenate attorno alla lira: Ciampi dovette quindi affrontare una transizione epocale di sistema, costruendo le condizioni affinché la prospettiva della formazione del polo imperialista europeo si potesse delineare, processo ancora in fase progettuale, che sarebbe stato poi realizzato sotto la sua presidenza della repubblica.
L’Italia concorrenziale nell’impianto globalizzato dell’Ue
Le analogie, dunque, sono da rintracciarsi nel quadro dell’immane e irrisolta crisi economico-sociale, gravemente aggravata dalla pandemia, e nella profonda delegittimazione del sistema politico-istituzionale liberaldemocratico, che non riesce più a fornire né risposte all’aggravamento delle condizioni di vita per sempre più ampie fasce di popolazione sulla via della miseria, né tantomeno immagini di futuro e prospettive di valori etico-politici e storico-sociali per cui battersi. In questa profonda crisi sistemica, organica, del mondo occidentale liberaldemocratico dominato dal libero mercato, si fa appello all’uomo della Provvidenza, che in questo caso dovrà preparare il terreno con le riforme richieste per poter accedere e gestire i fondi del Next Generation Eu.
Il grande afflusso di miliardi sarà condizionato al rimodellamento delle forme socioeconomiche fondate sulla Costituzione nata dalla Resistenza (che non a caso è stata considerata sostanzialmente un ostacolo alla modernizzazione del sistema di mercato da J.P. Morgan): Draghi è stato chiamato a demolire e smantellare le residue protezioni sociali e politico-istituzionali del mondo del lavoro e delle classi subalterne, garantite dai principi costituzionali frutto del compromesso storico tra i rappresentanti della borghesia e le formazioni espressione delle classi lavoratrici, per consentire il definitivo superamento dello Stato sociale in vista di un più efficiente e moderno sistema di feroce selezione sociale.
Quali saranno dunque gli obiettivi di fase del governo di SuperMario? Sicuramente Draghi non è così ingenuo da pensare di poter trasformare il paese in poche settimane o in qualche mese: la partita che si apre nell’immediato è di fatto una pars destruens in cui, contestualmente alla gestione dell’emergenza sanitaria, verranno attaccati diritti del lavoro, alla salute, all’istruzione già pesantemente indeboliti da numerose aggressioni (tra cui le controriforme della scuola, dell’autonomia differenziata che ha polverizzato il sistema sanitario nazionale e infine del lavoro con il Jobs Act), saranno travolti i limiti già traballanti contro la devastazione del territorio e dell’ambiente (con il rilancio delle grandi opere inutili, dannose e gravose), si procederà probabilmente a una nuova controriforma delle pensioni, verranno impostate riforme sul piano economico che daranno mano libera agli imprenditori nell’applicazione discrezionale dei contratti e nella libertà di licenziamento.
Sono queste le riforme invocate a gran voce da padronato e speculatori finanziari, sollecitate dalle istituzioni dell’Ue.
Il doppio corpo di Draghi e la nuova “lotta di classe”
Draghi è un abile manovratore e ha distinto con sagacia i ministeri economico-finanziari e dell’innovazione tecnologia sia digitale che verde da quelli della gestione dell’esistente: il pool di vertice tecnocratico è formato dai manager Vittorio Colao (Innovazione tecnologica), Roberto Cingolani (Transizione ecologica), Daniele Franco (Economia e finanze) ed Enrico Giovannini (Infrastrutture e trasporti), mentre la parte politica ha una composizione “arlecchino” con il ritorno di personaggi che ricordiamo come altamente tossici e dannosi (Brunetta torna alla Pubblica amministrazione, Gelmini agli Affari regionali, dopo aver devastato la scuola pubblica).
La scelta dell’assemblea di Sinistra Italiana e la conseguente dichiarazione di Fratoianni di non votare la fiducia (decisione non condivisa da De Petris e da Palazzotto) è un estremo tentativo di mondarsi la coscienza sottraendosi all’abbraccio mortale con Draghi, e mostra ancora una volta il completo fallimento della strategia di Sinistra Italiana di costruire un nuovo centrosinistra col Partito Democratico che ha trascinato la “sinistra” in un gorgo da cui, come in un buco nero, è ormai impossibile uscire.
Di fronte alla crisi complessiva del sistema politico-istituzionale, espressione della decomposizione capitalistica, è ormai inderogabile lavorare per un fronte sociale e politico che unifichi le lotte sindacali e politiche e avvii il rilancio di un progetto di transizione al socialismo, che sciolga le contraddizioni sempre più drammatiche e stringenti che strangolano intere popolazioni e le classi proletarie (frammentate nelle forme di lavoro sempre più precarie e impoverite) nei centri dell’imperialismo scossi dalla crisi.