Nella Roma di Marino prosegue la messa all'asta dei beni e dei servizi pubblici. Aumentano le privatizzazioni e diminuiscono sempre di più i servizi per le famiglie e gli stanziamenti destinati agli investimenti. Parabola discendente delle amministrazioni della Città Eterna.
di Claudio Ortale
Roma, 16 marzo 2015. Da quasi 14 anni, ormai, ho avuto modo di seguire l’andamento dell’atto più importante dell’Amministrazione Capitolina leggasi il suo Bilancio di previsione e di certo i quattro documenti dell’era Alemanno (i bilanci dal 2009 al 2012, approvati sempre con una enorme dose di ritardo al punto da farli divenire dei semplici bilanci consuntivi più che previsionali, come ad esempio quello del 2012 approvato solo a novembre dello stesso anno), sembrano quasi confermare il vecchio adagio romano : “A Nerone, potessi campà 100 anni”.
In effetti al di là del tentativo, pur condivisibile, di riportare il bilancio di previsione entro i termini di chiusura indicati dal Testo Unico per gli Enti Locali (D.Lgs n.267 del 2000) e dunque al 31 dicembre scorso, a livello di Giunta Capitolina ciò che più deprime, per usare un eufemismo, è il constatare che la nostra città continua ad essere commissariata dai piani superiori (Governo e Troika) e che, al di là di chi l’amministra, sia esso Alemanno o Marino come negli ultimi due anni, il binario è già del tutto precostituito e da questo non si può attualmente deviare. Rileggendo bene le delibere di Giunta propedeutiche al bilancio previsionale 2015, compresa la più pesante che prevede la presunta “razionalizzazione delle partecipazioni di Roma Capitale” e che potrebbe diventare a breve una bomba ad orologeria nel caso in cui il fronte della mobilitazione cittadina delle forze sociali e politiche, riunitesi in “Roma non si vende”,dovesse continuare a crescere nei prossimi tempi (riprova ne sia il corteo del 12 Marzo dal Colosseo al Campidoglio, così come già accadde nell’estate del 2012 con la propedeutica che prevedeva la vendita del 21% delle quote di ACEA s.p.a.), quello che appare evidente è che il terzo Bilancio dell’era Marino serve solo a far sopravvivere la città e non di certo a permetterne un suo reale e ormai indispensabile cambiamento radicale. I numeri sono i numeri ed hanno la testa dura.
Proviamo solo a prenderne alcuni dal quadro riassuntivo del Bilancio 2015: le entrate previste sono quasi 6 miliardi e 319 milioni di euro e la stessa cifra è indicata chiaramente nelle uscite. Ma se andiamo a vedere dentro i diversi titoli in cui vengono ripartiti tali importanti denari, ecco che emerge come l'intento sia quello di voler far galleggiare la maggioranza dei romani in uno stato di crisi perenne che continua e continuerà a mordere la stragrande maggioranza dei cittadini e non quello di predisporre un risoluto cambiamento rispetto agli anni precedenti, segnati prima da Parentopoli/Assuntopoli e poi da Mafia Capitale. Basti solo leggere e confrontare nel Titolo I ciò che viene riportato per le entrate dovute a tributi imposti ai cittadini da Roma Capitale quasi 2 miliardi e 940 milioni di euro, pari al 46,52 % del totale complessivo delle entrate (in pratica quasi la metà) con quello che viene indicato al Titolo II per le entrate derivanti dai trasferimenti e contributi dello Stato, della Regione ed altri, pari a neanche 808,5 milioni di euro, con una percentuale che per questo titolo di bilancio va sempre più assottigliandosi: il 12,79%. Ancora l’ultimo Veltroni, nel chiudere in fretta e furia il previsionale del 2008 prima del suo “I have a dream: I wish my Africa”, aveva come Titolo II una percentuale ben diversa di contributi e trasferimenti, quasi identica a quella che oggi impone il Titolo I sulla schiena dei romani.
Ma ciò che lascia ancora più amarezza è la conferma della presenza di un piano volto alla concreta privatizzazione dei beni e dei servizi dei cittadini romani, piano perpetuato sin dai tempi del doppio mandato di Veltroni e che ormai appare oggi sempre più attuale e reale. Si pensi ad esempio, fin dall'ultimo Veltroni sindaco, allo smantellamento dei nidi comunali ed il loro appaiamento come numero di sedi con quello dei nidi privati e in convenzione. Infatti il quadro che fotografiamo parla in maniera chiarissima, se passiamo all'analisi della parte relativa alle uscite confrontando il Titolo I della spesa corrente ovvero quella che potremmo definire come la quantità di denaro spesa da una famiglia in un anno con il Titolo II delle spese in conto capitale e qui leggasi investimenti e cioè l'ammontare che ogni famiglia cerca di accantonare ogni anno per arrivare a permettersi spese che durino nel tempo o comunque per numerosi anni ( quali l’acquisto di una casa, una seria ristrutturazione della propria abitazione, una cucina e degli elettrodomestici, l’acquisto di una macchina euro five od elettrica, l’apertura di una propria attività economicoproduttiva ed ormai da numerosi anni, purtroppo, va considerata come spesa di tal genere persino la possibile nascita di un figlio). Per la “spesa di casa annuale” si prevedono 4 miliardi e meno di 434 milioni di euro, cioè il 70, 17 % delle uscite complessive. E quid, invece, per le spese che “durino nel tempo”, quelle che danno il senso del come si vuole davvero investire sulla città per cambiarne in meglio il volto, a partire dalle nostre sempre più sterminate e degradate periferie? Neppure 120 milioni di euro, il che equivale all’1,89 % delle uscite. E chi penserà a “compensare” questo evidente gap e a far giungere i soldi necessari per gli investimenti, posto che il Sindaco va ripetendo che con gli eventuali introiti derivanti dalla vendita di ACEA Ato 2, Farmacap, Eur s.p.a., Assicurazioni di Roma, ecc. (così come annunciato col varo del bilancio 2015, oltre alla chiusura di importanti agenzie capitoline come la Istituzione Biblioteche di Roma) potrà finalmente tappare le buche delle strade e riparare le scuole romane ormai fatiscenti? Ma certo, come sempre, ci penserà il miglior benefattore di Roma, dell’Italia e non solo: il Signor Privato. Così il re resterà nudo, una volta che si sarà venduto, bilancio dopo bilancio, tutti i beni di famiglia (che sono in realtà di tutti noi cittadini romani, si veda a tal proposito anche la vendita di quasi 600 immobili, tra residenziali e non, passata in aula Giulio Cesare meno di un mese fa come proposta 88/2013). E forse, arrivati a quel punto, non servirà neanche più avere un Sindaco poichè con la sua Giunta non avrà più nulla da vendere ai privati che, allora, saranno divenuti i veri proprietari della Città Eterna. Proprio come nella favola del Principe Infelice, in cui la bella statua del Principe, piena di gemme d’oro e che campeggia al centro della piazza più importante della città, perde le sue preziose pietre giorno dopo giorno, sino a restarne priva.
Fino a che la gente, alla fine, non decide di buttare giù una statua ormai rimasta... nuda, inutile e senza alcun valore. Peccato che, nella favola, il Principe Infelice si spogliasse ogni giorno di una sua gemma preziosa per farla arrivare, tramite un suo amico passerotto, ad una famiglia indigente; mentre il nostro Sindaco e i suoi collaboratori evidentemente sono guidati da ben altri sentimenti.
Arrivederci nelle piazze.